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Ing. Giocondo Talamonti 44 secondi e 9 centesimi è il tempo minimo richiesto ai quattrocentisti per maturare il diritto di partecipare ai giochi olimpici di Pechino. La miglior prestazione di Oscar Pistorius, l’atleta privo delle gambe, è di 45 secondi e 9 centesimi, ottenuta grazie a protesi in carbonio con le quali si misura negli stadi di tutto il mondo. Gli addetti ai lavori sanno che annullare quel secondo di differenza è impresa ardua, quasi impossibile, specie quando sono state utilizzate tutte le strategie per ridurre il gap e affinati i metodi di allenamento. Pistorius ha avanzato la richiesta alla federazione mondiale di atletica di poter accedere con le sue protesi ai giochi, nell’ipotesi di raggiungere il limite di tempo fissato. La risposta è arrivata: Oscar non potrà schierarsi in pista perché le sue “gambe” lo favorirebbero rispetto ad altri concorrenti privi del vantaggio di cui lui dispone. Le protesi del richiedente, a detta degli esperti e degli studiosi di biomeccanica, assicurano una risposta al caricamento dei passi superiore del 25% rispetto a quella di un normodotato; quindi, Pistorius sarebbe favorito e le sue abilità non comparabili con i colleghi. Ammessa la veridicità delle risultanze tecniche, che si manifesterebbero nella parte finale del percorso, più esattamente negli ultimi cento metri, l’analisi non ha preso in considerazione che nella parte iniziale della corsa, egli sarebbe fortemente svantaggiato, proprio per lo stesso motivo, impossibilitato a caricare le lame come vorrebbe. Insomma, Pistorius sarebbe troppo forte per gareggiare con i disabili e troppo favorito per farlo con i normodotati; sicché l’umana aspirazione a confrontarsi gli è ottusamente preclusa. La sentenza dei “capoccioni” della federazione suona come un’eccellente opportunità perduta. Negando l’autorizzazione a Oscar e a tutti quelli che come lui sono portatori di limitazioni fisiche, hanno troncato le speranze a giovani più sfortunati di trovare nello sport uno strumento di socializzazione o di dialogo, confinando i normali in un isolamento supponente. La decisione della federazione mondiale non boccia solo Pistorius, ma l’umano desiderio di riscatto della schiera infinita di persone che condivide con lui gli stessi problemi; boccia lo sforzo della ricerca, punisce l’impegno tecnologico, stronca lo slancio naturale a volersi confrontare su piani di parità presunti o reali. Brutta storia questa bocciatura. Il timore che il risultato di Pistorius sia stato considerato solo nella prospettiva olimpica e omologativa, sottrae all’atleta il doveroso riconoscimento della sperimentazione e penalizza la speranza dei suoi simili di poter confidare nei progressi della scienza. Anche le luci che stanno per accendersi sui prossimi giochi di Pechino avrebbero acquistato più senso; non avrebbero discriminato e avrebbe dato voce a quanti si adoperano per cancellare ogni differenza fra gli esseri umani, contribuendo al progetto di uguaglianza con ogni mezzo, compresa una protesi. Condividi