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Giovanna Reggiani se l’è cercata. Questa la conclusione che è lecito trarre dalla lettura della sentenza che la terza Corte di assise di Roma ha dato dell'omicidio commesso da Nicolae Romulus Mailat ai danni di Giovanna Reggiani, la donna uccisa il 30 ottobre 2007 a Roma vicino alla stazione ferroviaria di Tor di Quinto. Romulus Mailat è stato condannato a 29 anni per omicidio volontario, violenza sessuale e rapina. A lui non è stata inflitta la massima pena, quella dell’ergastolo. I suoi 24 anni e l'ambiente degradato in cui è cresciuto, il fatto di essere incensurato sono stati gli elementi che hanno concorso al riconoscimento delle attenuanti generiche. Ma c'è ancora una circostanza attenunante: la reazione della vittima. Secondo la terza Corte di assise di Roma, infatti, la violenza sessuale e la violenza che ha portato alla morte di Giovanna sono scaturite "del tutto occasionalmente dalla combinazione di due fattori contingenti: lo stato di completa ubriachezza e di ira per un violento recente litigio sostenuto dall'imputato, e la fiera resistenza della vittima». Senza quella resistenza, argomenta la sentenza, “l'episodio criminoso, con tutta probabilità, avrebbe avuto conseguenze assai meno gravi”. Qual’è la lezione da trarre? E’ sera una donna cammina per strada. Sta tornando a casa quando viene aggredita da un uomo. Prova a difendersi con tutte le sue forze ma viene brutalmente uccisa. Il suo corpo martoriato da una violenza inaudita. Ma proprio quel suo ultimo tentativo di difendere se stessa, secondo i giudici, è stata la molla (insieme allo stato d'ebrezza dell'assassino) della violenza omicida che ha determinato la sua stessa fine. Questo vuol dire che Giovanna se l’è cercata? Così sembrerebbe. Fosse stata ferma, "con ogni probabilità" non sarebbe morta. Fosse rimasta a casa non sarebbe successo nulla. Fosse nata in un altro paese, forse avrebbe avuto giustizia. Ma l’Italia, ormai è chiaro, non è un paese per donne, tanto meno per donne che, vive o morte, hanno diritto alla giustizia. Condividi