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TERNI - L’Umbria, negli ultimi anni, ha fatto sforzi crescenti per ridurre lo strutturale e storico “gap” di internazionalizzazione delle proprie imprese. Oggi persiste ancora questo differenziale, sebbene nel corso del tempo si sia andato riducendo. Di come proseguire in Umbria nel cammino intrapreso di crescente presenza, con le proprie medie imprese manifatturiere, sui mercati internazionali, in particolare di quelli emergenti, e per preservare e valorizzare l’insediamento di molte multinazionali estere nel territorio regionale, allo scopo di rafforzare la competitività e l’innovazione del “sistema” Umbria, si è parlato nel convegno “L’Umbria multinazionale” che si è svolto oggi a Terni e con il quale la Regione Umbria ha proseguito la riflessione avviata nel 2007 sulla presenza nel modello produttivo regionale dei gruppi multinazionali, sia di proprietà estera che umbra e italiana. Al centro del convegno, che è stato concluso dall’assessore regionale allo Sviluppo economico Mario Giovannetti, l’analisi di contesto, l’impatto sulle strategie di internazionalizzazione delle imprese della nuova congiuntura economica che si profila all’orizzonte, caratterizzata da una riduzione del tasso medio del “Pil” (Prodotto interno lordo) in tutti i Paesi, gli obiettivi e le politiche da perseguire. La riflessione è continuata sulla base del rapporto di ricerca 2008, incentrato sulla “internazionalizzazione delle imprese umbre tramite investimenti diretti esteri”, in un quadro comparato con il resto dell’Italia, che è stato elaborato da Marco Mutinelli dell’Università degli studi di Brescia e del quale hanno discusso – tra gli altri - Luca Ferrucci, dell’Università degli studi di Perugia, il presidente di Confindustria Umbria Umbro Bernardini e il segretario generale della Cgil Umbria Manlio Mariotti. I dati – è stato sottolineato - registrano, innanzitutto, a livello mondiale una “infelice” contrazione dei valori complessivi degli investimenti diretti esteri, forma più evoluta dell’internazionalizzazione delle imprese, tornati sui livelli del 2000. Ciò “segna l’inizio di una nuova fase, nella quale la sfida dell’internazionalizzazione diverrà più complicata e difficile da perseguire per tutte le imprese”. Tutto questo suscita “una particolare preoccupazione per un Paese, quale l’Italia, che, ormai in modo strutturale, non riesce ad intercettare i flussi di investimento internazionale proveniente da multinazionali estere”. Negli ultimi cinque anni “l’Italia ha ospitato, infatti,solamente 125 progetti di investimento di imprese estere, comparativamente ai 601 della Francia, ai 404 della Gran Bretagna e ai 397 della Spagna. Si tratta di un risultato che conferma la crescente marginalità del nostro Paese nell’intercettare questi flussi internazionali di investimenti diretti esteri, anche quando questi sono diretti nell’ambito dell’Europa occidentale e non sono influenzati dal fattore del costo del lavoro”. In Umbria, a testimoniare gli sforzi crescenti di internazionalizzazione delle imprese umbre, oggi il 7% dei dipendenti delle imprese manifatturiere umbre opera all’interno di consociate estere. “È un valore ancora oggi significativamente inferiore – è stato rilevato - rispetto sia a quello medio nazionale (25%) che a quello dell’Italia centrale (in Toscana, ad esempio, è il 12% circa). I settori umbri maggiormente proiettati a fare investimenti diretti all’estero sono il tessile-abbigliamento (con circa 1330 dipendenti nelle sedi estere), i materiali da costruzione (con circa 503 dipendenti all’estero) e la meccanica (con 472 dipendenti all’estero)”. Le determinanti di questa internazionalizzazione “non sono solamente quelle riconducibili alla delocalizzazione ‘selvaggia’; al contrario, modelli societari finalizzati a presidiare i mercati di sbocco e a ridurre i costi di logistica appaiono particolarmente frequenti. Sul fronte delle multinazionali estere presenti in Umbria, viene confermato il valore storico di tali insediamenti. Nell’industria manifatturiera, l’Umbria presenta – in termini di dipendenti – un percentuale superiore a quella riconducibile ad altre regioni del centro Italia: con il suo 9,4%, l’Umbria si posiziona al di sopra della Toscana e dell’Emilia Romagna, oltreché delle Marche. Settori quali la metallurgia, il tabacco, la chimica e la gomma sono fortemente influenzati dalle “performance” di queste multinazionali estere presenti storicamente in Umbria. “È, tuttavia, da rilevare che, sin dal 2002 si denota una lieve ma costante riduzione del numero degli stabilimenti presenti in Umbria e controllati da multinazionali estere. Si tratta, dunque, di un sintomo preoccupante di contrazione della competitività di questi impianti, con evidenti ripercussioni negative in termini di occupazione diretta ed indiretta”. LA SCHEDA Le imprese umbre “multinazionali”, ovvero le imprese non controllate da investitori esteri che detengono almeno una partecipazione in imprese attive all’estero, sono 62. Le imprese da esse partecipate all’estero (sia di controllo, sia paritarie e minoritarie) sono 134; esse occupano circa 4.300 dipendenti e il loro fatturato è pari a 569 milioni di euro. Il grado di internazionalizzazione attiva delle imprese umbre, misurato dal rapporto tra i dipendenti delle affiliate estere e l’occupazione interna, è pari al 4,3%, contro una media nazionale del 16,7%. Le imprese con sede in Umbria partecipate da multinazionali estere sono 39, con 5.808 dipendenti e un giro d’affari di oltre 4,6 miliardi di euro. Sono presenti, inoltre, 18 unità produttive di imprese a partecipazione estera con sede principale in altre regioni: tra queste figurano anche grandi imprese come Nestlè, Alcantara e Basell. Nel complesso, in Umbria sono attive 41 unità produttive di imprese a partecipazione estera, con 7.632 dipendenti; considerando anche le altre attività industriali, di commercio all’ingrosso e di servizi reali, il numero totale dei dipendenti delle imprese a partecipazione estera in Umbria è pari a circa 8.500 unità. Il grado di multinazionalizzazione passiva, calcolato rapportando i dipendenti delle imprese a partecipazione estera ai dipendenti totali delle imprese della regione, è per l’Umbria al 6%, contro una media nazionale del 10,5%. Il divario si riduce se si restringe il confronto all’industria manifatturiera (9,4% contro 12,7%) e soprattutto se l’indicatore viene calcolato rapportando il numero degli addetti occupati negli stabilimenti umbri delle imprese a partecipazione estera al numero dei dipendenti di tutte le unità locali manifatturiere della regione: così calcolato, il grado di multinazionalizzazione passiva dell’industria manifatturiera raggiunge sostanzialmente la media nazionale, attestandosi al 12,5%; in altri termini, nell’industria manifatturiera umbra 1 dipendente su 8 risulta occupato in imprese a partecipazione estera. Le analisi si basano sulle informazioni estratte dalla banca dati “Reprint”, realizzata al Politecnico di Milano nell’ambito delle ricerche sull’internazionalizzazione delle imprese italiane promosse dall’”Ice” (Istituto per il commercio estero), e che copre l’intero sistema delle imprese industriali e l’insieme delle attività commerciali e di servizi reali che ne supportano le attività. Condividi