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PERUGIA - La violenza sulle donne non lascia più tutti indifferenti. C’è qualcuno in città che si rifiuta di considerarlo un fatto scontato o di negare la sua incidenza sul territorio umbro. Silenzio mediatico, silenzio Istituzionale. Troppo silenzio, lamentano le organizzatrici di “un giorno per Mez”, durante la riunione che si è tenuta ieri Palazzo Broletto, per mettere insieme le idee ed il programma della prima tappa del dibattito itinerante, che coinvolgerà diverse località dell’Umbria. All’appello di Marina Toschi, Consigliera di Parità dell’Umbria e promotrice dell’iniziativa, hanno risposto donne delle Istituzioni e della società civile, libere professioniste, artisti, artiste e associazioni di volontariato, come Argia Simone, vice Presidente del Centro Pari Opportunità -, Fiorella Patiti – Educatrice d’Infanzia -, Antonella Barbati – Comitato Pari Opportunità dell’Università di Perugia -, Fabiola de Toffol –Studio Poliedra -, Mary Mancinelli - Pair Oppurtinity System -, Alessandra Angiolini – Studentessa di Giurisprudenza e membro dell’Associazione Nazionale “Ossigeno”, Chiara Meloni – regista e attrice-, Marina Antonini – scrittrice -. Ben 26 i partecipanti, un piccolo spaccato di quella società che oppone alla logica della violenza e, dell’ancora più pesante silenzio sulla violenza, le strategie della partecipazione, della consapevolezza e del contrasto. Parlare di Mez, dunque, per riallacciarsi ad un più ampio discorso sulla violenza di genere. Una partenza che ha sollevato qualche critica come riferisce Marina Toschi, Consigliera di Parità dell’Umbria e madrina dell’iniziativa. “Si può discutere sul fatto che nel caso di Mez si tratti più o meno di femminicidio, ma sta di fatto che Meredith è stata vittima di un’orribile violenza.” E gli interventi ad illuminare questo “mondo oscuro e oscurato” nel corso della lunga riunione non sono mancati. Secondo Michèle Adam - consigliera del Centro Pari Opportunità, Commissione violenza alle donne – la donna, nei casi di violenza è doppiamente vittima. Spesso, quando dopo anni di violenza subìta trova il coraggio di andare a denunciarla, al Commissariato gli viene chiesto perché voglia rovinare suo marito. Si innesca, così, un meccanismo per il quale la donna viene scoraggiata a denunciare la violenza subita in famiglia. Per questo motivo la quasi totalità delle violenze sulle donne non compaiono sulle statistiche ufficiali Istat. Occorre, perciò, fare formazione e non solo nei Commissariati. Anche negli ospedali, come riferisce Giuseppina Sciarrillo, ostetrica al S.Maria della Misericordia. “Ci si trova di fronte a casi di violenza “ginecologica” ma molto spesso non si hanno gli strumenti per rispondere in maniera adeguata alle necessità che scaturiscono dagli accertamenti. Non c’è, infatti, un servizio strutturato in grado di prendersi cura di questi casi specifici e seguirli passo per passo.” Nei Pronto Soccorso, poi, anche in casi di accertata di violenza, sembra, non scatti l’obbligo di denuncia da parte dei medici se non per prognosi superiori ai 20 giorni. Ed il Pronto Soccorso, operando 24 ore su 24, è la struttura che maggiormente accoglie le donne che hanno subito violenza. “Spesso”, spiega Michéle Adam, “non c’è tempo per indagare ulteriormente”. Sono cose delicate e il personale deve avere una preparazione specifica. Ma oltre alle numerose difficoltà di ordine pratico c’è un aspetto fondamentale che non deve essere trascurato. Siamo disposti ad ammettere che il fenomeno della violenza sulle donne sia un fenomeno radicato sul territorio umbro? Adelaide Coletti – responsabile per le politiche di genere di Rifondazione Comunista – ha toccato con mano quanto ancora sia grande il tabù intorno alla violenza sulle donne in Umbria. “Al Consiglio Comunale aperto di Marsciano, tenutosi dopo la tragica morte di Barbara Cicioni, e che aveva per tema proprio la violenza alle donne”, riferisce Adelaide Coletti, “in entrambi gli schieramenti, eccezion fatta per alcuni interventi, la discussione è stata ricondotta al privato o al cosiddetto problema della criminalità ad opera di extracomunitari”. Sembra che il desiderio di attribuire ad altro, ricondurre ad altro, per negare, in sostanza, quanto invece sia anche“nostro” il fenomeno della violenza sulle donne anche in Umbria, sia un po’ una tendenza trasversale. E in Umbria, a differenza di tante altre regioni d’Italia, non esiste ancora un centro Antiviolenza Una struttura,cioè, che sia in grado di accogliere le donne non che non sono più disposte a subire violenza. Condividi