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di Isabella Rossi Secondo dati riferiti agli anni 2002/03 recentemente pubblicati dal Ministero dell’Istruzione il mondo della scuola è popolato prevalentemente dalle donne. Il corpo docente è composto per circa l’82% da donne e mentre nella scuola primaria quasi la totalità dei docenti è donna (oltre il 99% nella scuola dell'infanzia e il 95% in quella elementare), in quella secondaria la percentuale scende al 75% nel I grado e al 59% nel II grado. Ma quali sono i motivi di questa massiccia presenza? Una breve analisi storica fornisce suggestive chiavi di lettura del presente. 1/3 dello stipendio maschile Già alla fine dell’ottocento l’insegnamento nella scuola elementare e superiore stava perdendo di attrattiva per gli italiani di sesso maschile. Una nuova forza lavoro si prestava a svolgere le stesse mansioni con un 1/3 dello stipendio, finché nel 1901 le maestre arrivarono ad essere 44.561 contro i 21.178 maestri. Fu allora che ad esse venne tolta la possibilità di partecipare ai concorsi pubblici per insegnare le materie umanistiche nelle scuole superiori. Divieto di partecipare ai concorsi pubblici La spiegazione di questa discriminazione si trova in una lettera che Giovanni Gentile scrisse nel 1918 all’allora ministro della pubblica istruzione Berenini, il quale era in procinto di attuare una riforma della scuola. L’obbiettivo di Gentile era quello di creare una scuola pubblica che divenisse una scuola di élite, che formasse meno giovani ma in modo migliore, perché essi sarebbero poi divenuti la classe dirigente e gli insegnanti del futuro. A questo scopo egli consigliò di aumentare gli stipendi degli insegnanti (maschi), così da permettere loro di approfondire gli studi anziché fare il doppio lavoro nelle numerose “classi aggiunte”. Il pensiero chiave di Giovanni Gentile sulle donne Ma soprattutto nella lettera Gentile dichiarò apertamente il suo pensiero sulle donne, in particolare su quelle che ambivano ad una carriera scolastica scrivendo: “essa (la scuola, ndr) verrà abbandonata dagli uomini, attratti verso carriere più vantaggiose e virili; e invasa dalle donne, che ora si accalcano alle nostre università, e che, bisogna dirlo, non hanno e non avranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoria spirituale, che sono le forze superiori, intellettuali e morali, dell’umanità, e devono essere i cardini della scuola formativa dello spirito superiore del Paese”. “Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa” E’ nel 1938 che si raggiunge in Italia il culmine della discriminazione del lavoro intellettuale femminile, quando viene imposta, insieme all’esclusione di studenti e insegnanti ebrei dalle scuole italiane, una riduzione al 10% del personale femminile impiegato sia in ambito pubblico che privato. Scopo di queste manovre era confinare il genere femminile all’interno delle mura domestiche e scoraggiare le famiglie che avrebbero voluto istruire le loro figlie, visto che per le loro le possibilità di trovare spazi nell’insegnamento, uno tra i rarissimi ambiti dove le donne potevano svolgere professioni intellettuali, non era più garantita. La strategia volta al confinamento delle donne era precisa. Colpire l’autonomia lavorativa per ottenere la sottomissione come era già stato stabilito nell’enciclica papale Arcanum Divinae, dove Leone XIII manifestava la sua avversione all’emancipazione femminile e al divorzio ritenendoli portatori di corruzione e dichiarava fondamentale per la donna la maternità e i valori familiari, ribadendo inoltre che "Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa". Nel 1929, infatti, con i Patti Lateranensi, il pensiero cattolico si intrecciava all’ideologia fascista, determinando per le donne dell’epoca una sempre più pesante sottomissione alla famiglia. A Qualcuno non sorprenderà apprendere che ciononostante le iscrizioni di donne alle facoltà indirizzate all'insegnamento non diminuirono. Condividi