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di Michael Braun La politica dell’istruzione in Italia sconnette il paese dagli sviluppi internazionali Spietata la diagnosi fatta dal Ministro per l’Istruzione e la Ricerca, Mariastella Gelmini, subito dopo la sua entrata in carica cinque mesi fa. Il sistema d’istruzione italiano sarebbe caratterizzato da „inefficienza“ e „sperpero“, così la giovane donna di successo del partito di Berlusconi, Forza Italia. E chi avrebbe potuto controbattere qualcosa? L’Italia si è guadagnata un posto fisso tra i paesi con i peggiori risultati negli Studi di PISA [Programme for International Student Assessment, eseguito dalla OECD, N.d.T.]. Anche le università italiane rischiano di non poter concorrere a livello internazionale; contando con l’1-2% di studenti stranieri, non attraggono quasi più studenti stranieri. Invece in Germania, Francia e Inghilterra sono circa il 10% gli studenti stranieri. Tanto più sorprendente è la terapia prescritta dalla Gelmini e Berlusconi al sistema dell’istruzione. „Avanti verso il passato“ potrebbe essere lo slogan del decreto per la scuola elementare. Come ai bei vecchi tempi i piccoli dovrebbero portare il grembiule e alzarsi quando il maestro entra in classe. Verrebbe reintrodotto il voto in condotta. E nelle materie gli attuali commenti differenziati dovrebbero venire sostituiti dai cari vecchi voti. Soprattutto però gli allievi delle elementari dovrebbero tornare ad avere un maestro unico. Questo ha il piacevole effetto collaterale, che il Ministero dell’Istruzione potrebbe così risparmiare 8 miliardi di euro nel giro di tre anni, perchè si eliminerebbero circa 90 000 posti di maestro. Il secondo effetto collaterale, spiacevole per bambini e genitori è che in ogni modo scomparirebbe anche la scuola a tempo pieno in atto finora. Nel migliore dei casi al suo posto nel pomeriggio avrebbe luogo solo lo svolgimento assistito dei compiti. La scuola elementare di domani è una scuola dell’altroieri – e ambedue gli elementi della „riforma“ si fondono splendidamente. La destra italiana non si adopera neanche, cercando di mettere becco sui piani di studio, non lotta nemmeno con sfide come „l’ economia del sapere“ o la „società del sapere“. Le basta prescrivere „meno scuola“ con più buona vecchia disciplina. Con questo fanno il paio i tagli brutali imposti alle università: nei prossimi anni non l’80% dei contratti dei docenti verrebbero rinnovati. In altre parole: l’Italia di Berlusconi semplicemente non vuole più concorrere a livello internazionale nell’istruzione e nella ricerca. Già adesso il paese ha un ruolo marginale nei settori ad alto valore aggiunto come il settore informatico, biotecnologico o farmaceutico, guadagnandosi la sua parte sui mercati mondiali soprattutto con l’abbigliamento, i mobili e i prodotti alimentari. E già da molti anni l’Italia presenta valori pessimi di crescita di produttività nel confronto internazionale e si contenta con spese per la ricerca e lo sviluppo che ammontano appena all’uno per cento del PIL (la Germania ha il 2,7%). La riforma “restauratrice” della scuola di Berlusconi va ben oltre il mondo dell’istruzione e mostra quale ecomonia, quale società la destra Italiana riserva ad un’Italia che si prepara al declino. Conseguentemente la destra tratta l’educazione sempre più come un lusso inutile, pur avendo l’estate scorsa miliardi in eccesso, tanto da finanziare l’eliminazione dell’ ICI, promessa da Berlusconi durante la campagna elettorale. Questo non senza tagli radicali nell’istruzione. Quando le riforme hanno causato – non soprendentemente – forte resistenza nelle scuole e nelle università, Berlusconi ha visto un’ulteriore opportunità: la possibilità di rendere il pacchetto di riforme esemplare anche per i cambi ai quali intende sottoporre anche il sistema politico. Sia il confronto con l’opposizione parlamentare che il dialogo con le parti della società colpite dai decreti per Berlusconi altro non sono che freni al governare autoritario. Già la forma con la quale sono stati presentati i tagli – non come leggi, bensì come decreto governativo da sottoporre al parlamento solo a posteriori – parlava chiaro. Ancora più chiaro è diventato il messaggio quando il decreto per la scuola elementare è giunto infine al parlamento inizio ottobre. Nonostante la coalizione di Berlusconi disponga di una netta maggioranza parlamentare di 100 voti, il capo del governo ha chiesto la fiducia – spegnendo così sul nascere la discussione parlamentare sul suo piano dei tagli Berlusconi non è però riuscito a soffocare l’ondata di protesta nel paese. Di questa si è occupato adottando lo stesso sistema usato per risolvere sia il dramma della spazzatura a Napoli che la crisi dell’Alitalia. Chiunque si opponesse alle soluzioni volute dal governo, veniva denunciato mediaticamente nelle emittenti televisive quasi completamente controllate dal governo. I primi colpiti sono stati gli abitanti, ai quali sono state rifilate nuove discariche d’emergenza, poi gli impiegati dell’Alitalia ed i sindacati non subito disposti a cedere. Tutti loro sono stati dati in pasto al disprezzo pubblico in quanto „estremisti“, „solo preoccupati dei propri privilegi“. Quindi tutti traditori della patria, questo quello che si voleva suggerire. Ora il governo prova proprio questo stesso gioco con la scuola e l’università. Secondo il governo, molti dei docenti sarebbero in gran parte „piuttosto pelandroni“. Con grande disappunto della destra italiana nelle ultime settimane si è però venuto a formare un movimento di protesta nel quale maestri, professori, allievi, genitori e studenti si sono uniti in un fronte contro il governo. A quel punto Berlusconi ha dichiarato la settimana scorsa che avrebbe mandato la polizia nelle scuole e nelle università per mettere fine alle occupazioni. Il ministro Gelmini ha rincarato: la protesta contro la sua riforma sarebbe semplicemente „terroristica“. Tanto più pacifiche sono le centinaia di manifestazioni di protesta che si sono svolte pacificamete – solo a Milano si è giunti ad uno scontro tra studenti e polizia, mentre a Cosenza è stata rotta una finestra di una scuola – tanto meno gli uomini dello schieramento di Berlusconi si lasciano scoraggiare dall’evocare addirittura „infiltrazioni delle brigate rosse“ nel movimento di protesta. Seppure ancora vengano lasciati da parte i manganelli, Berlusconi da già da intendere che tipo di rapporti prefereirebbe avere con i contestatori. Per l’opposizione parlamentare invece il capo del governo ha già messo in gioco i suoi metodi: al capo dell’opposizione Walter Veltroni ha consigliato di ammettere finalmente la sua sconfitta elettorale e di „andare in vacanza per cinque anni“. A Berlusconilandia un’ opposizione che non „approva costruttivamente le proposte ragionevoli del governo“ è insomma fuori luogo tanto quanto ogni protesta sociale. Pubblicato il 29.10. 2008 sulla Taz, in Germania Condividi