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di Maurizio Troccoli Quell'Umbria che lavora e che non resta a guardare dalla finestra, avverte: “I nostri salari sono più bassi che altrove, se la trattativa tra governo e sindacati non andrà a buon fine incalzeremo per uno sciopero generale”. Ha il sapore di un ultimatum l'appello che arriva da Mario Bravi, segretario provinciale della Cgil, a proposito della trattativa “no stop” che da domani si apre con il governo per adeguare il potere d'acquisto dei salari dei lavoratori dipendenti. “No a misure una tantum – sottolinea accodandosi alle dichiarazioni del segretario nazionale della Cgil Guglielmo Epifani - , sì all'uno percento del pil da destinare ai salari dei lavoratori dipendenti, sì all'abbattimento delle tariffe e all'aumento della tassazione sulle rendite che dal 12,5 percento attuale dovrebbe passare al 20 percento, contro una media europea del 25 percento”. L'annuncio di uno sciopero generale unitario ha scosso il governo. Quali le attese per i lavoratori di casa nostra? Partiamo da un dato: ovvero che il 70 percento dei contratti collettivi non è stato rinnovato e che le tariffe aumentano progressivamente. Tutto questo a danno soprattutto dei lavoratori dipendenti che perdono terreno sul fronte del proprio potere d'acquisto. Ci attendiamo misure strutturali che possano servire anche a rilanciare i consumi. I sindacati umbri premono sull'acceleratore e minacciano iniziative di protesta contro il governo. Sembrano impazienti... Impazienti sono i 188 mila lavoratori dipendenti dell'industria, dell'artigianato e dell'agricoltura, senza voler contare il pubblico impiego, che devono fare i conti con la fine del mese, con salari medi più bassi di circa il 10 percento, rispetto a quelli nazionali. I salari dei nostri lavoratori sono già più bassi di quelli di tante altre regioni italiane per un motivo molto semplice: il nanismo aziendale, ovvero le piccole imprese che in Umbria raggiungono quota 94 mila, una cifra enorme rispetto ad altre realtà. Questo non consente una contrattazione integrativa, quella di secondo livello per intenderci, che consentirebbe di dare una boccata d'ossigeno al mondo del lavoro. Perché non valutare l'ipotesi di agganciare i salari alla produttività, così come richiesto dall'ala riformista della maggioranza? Sono sciocchezze. Se si vuole rilanciare la produttività bisogna fare scelte di lungo periodo chiedendo di più all'impresa. Essere più competitivi non significa avere salari bassi, ce lo insegnano la Francia e la Germania i cui lavoratori hanno salari più alti dei nostri ed una produttività altrettanto avanzata. La responsabilità è da addebitare alla forte presenza di micro imprese, alla scarsa capacità delle nostre aziende di essere competitivi sull'alta qualità e agli inadeguati investimenti in ricerca e innovazione. Vorrebbe dire che il governo premia le imprese mentre queste frenano lo sviluppo? Sì. Basti pensare che in Umbria l'ultimo contratto del mondo dipendente artigiano è stato rinnovato nel 1999, ancora prima dell'entrata in vigore dell'euro. Di contro le politiche della redistribuzione della ricchezza hanno determinato un aumento del potere d'acquisto del lavoro autonomo che dal 2000 al 2004 ha recuperato il 25 percento, mentre i lavoratori dipendenti, nello stesso periodo, hanno perso il 4 percento del valore del proprio reddito. I più ottimisti parlano di circa 100 euro in più al mese nelle buste paga, per restituire ai lavoratori quanto hanno perso in questi anni. Basterà a tenere buoni i sindacati? Alleggerire il peso fiscale sul lavoro dipendente, unitamente alla riduzione delle tariffe è quanto chiediamo. I pensionati ed i lavoratori utilizzeranno queste risorse per vivere più dignitosamente, quindi per rilanciare i consumi. Occorre incentivare le imprese ad innovarsi. Tutto questo sarebbe un buon punto di partenza per far ripartire il welfare. Poi occorrono interventi sul precariato e sui giovani. LE IMPRESE DEVONO FARE DI PIU' “La morsa che soffoca i lavoratori umbri si chiama nanismo aziendale”. E' quanto sostengono i sindacati respingendo al mittente la richiesta di maggiore flessibilità del mondo del lavoro. Richiesta avanzata dagli imprenditori e da larga parte del mondo politico, per far fronte alle sfide del mercato che impongono più competitività. “Ecco un esempio per tutti – dice Mario Bravi – che vale a chiarire la situazione in cui versa il sistema imprenditoriale umbro: con la ricostruzione post terremoto avevamo immaginato che le imprese si facessero trovare pronte all'appuntamento per mettere in ordine il sistema organizzativo del lavoro, viste le ingenti risorse che sono piovute sul nostro territorio. Risultato? Le imprese edili si sono ancora di più sgretolate e polverizzate. Dal 2000 al 2006 siamo passati da 1700 aziende a 3100. E ciò che preoccupa maggiormente è il fatto che dai cinque lavoratori dipendenti che ogni azienda aveva assunto mediamente siamo arrivati a 3 per ciascuna impresa. Se a questo aggiungiamo le problematiche che provengono dal mondo bancario e dal sistema creditizio, comprendiamo quali difficoltà vivano oggi i lavoratori della nostra regione”. Insomma, stando a quanto sottolineato dal sindacato si è fatto un gran parlare di consorzi e di rete tra piccole aziende che potessero mettere a sistema le proprie risorse così da rafforzarsi ed essere più competitive. L'aggregazione appariva, qualche anno fa, come la metamorfosi che avrebbe trasformato il mondo in miniatura del sistema del lavoro in soggetto integrato pronto a sfidare il mercato globale. I lavoratori ancora attendono che qualcosa accada. Condividi