ceramica.jpg
di Isabella Rossi Bilancio positivo per la mostra mercato che ha visto impegnate negli spazi del Centro Espositivo Fabbrica ex Maioliche di Deruta dal 28 dicembre al 6 gennaio, diverse artiste artigiane coadiuvate da Mary Mancinelli, presidente del Pair Opportunity System. Obbiettivo delle espositrici era ed è la conquista di nuovi spazi visibilità sul territorio umbro, a livello nazionale ed internazionale. Soddisfacente anche l’esperienza dell’aggregazione per valorizzare le capacità individuali e migliorare la promozione della categoria, ma la visibilità, secondo le espositrici, non è l’unico problema. Se, infatti, un miglioramento della promozione commerciale sta alla base dello sviluppo di un’attività, il primo problema delle artigiane è sopravvivere. Quando Giovanna Mascheroni ha iniziato la sua attività nel 1997 le cose ancora andavano bene. Poi nel 2000 è arrivato il primo figlio, nel 2002 il secondo. E’stata dura conciliare casa e lavoro, soprattutto non potendo usufruire dell’assistenza dei nonni che vivono fuori. Nel frattempo la crisi del settore. Dopo tanti sforzi sarebbe stato triste chiudere bottega, così Giovanna ha tirato avanti. Pochi i guadagni, praticamente una rimessa. Una scommessa sopravvivere e continuare a versare i contributi necessari. Ma la brutta sorpresa è arrivata con gli accertamenti degli studi di settore. “E’stato difficile riuscire a far capire che non si trattava di evasione, ma alla fine”, afferma Giovanna, “niente multa. E’ stato riscontrato che non c’era vendita. Il mio è un caso palese”. Il problema è che i parametri adottati sono lontani dalla realtà dei piccoli artigiani. Un esempio calzante, secondo le artigiane della ceramica, è l’utilizzo del forno. Lo studio di settore prevede che venga utilizzato sempre a pieno carico, la realtà invece dice che spesso si “infornano” anche piccoli quantitativi. Ed è fisiologico che a volte si lavori di meno e a volte di più. Oltretutto, fanno presente le artigiane, lo studio adotta gli stessi metodi di accertamento sia per artigiani che “infornano” manufatti carissimi, che per quelli che producono oggettistica a basso prezzo. E tutti, poi, sono sempre colpevoli fino a prova contraria. Anche per Anita Deiana di Mamoiada, in provincia di Nuoro, residente in Umbria da molti anni, riuscire a far fronte alla crisi di settore, con ben quattro maternità nel frattempo, non è stato uno scherzo. “Quest’anno nell’ultimo accertamento”, rivela Anita, “non ero congrua. Ho dovuto pagare pur non avendo prodotto reddito. Io ho 54 anni e quando ho fatto presente la situazione mi hanno detto chiuda se non ce la fa”. Qualità dell’artigianato, tempo, sesso, età non interessano lo studio di settore, sembra. Tuttavia, certi lavori artigianali, come le bellissime pecore di argilla che ricordano la terra di origine di Anita, richiedono molta dedizione. Nella bottega di Anita, inoltre, lavorano da diversi anni anche due ragazzi disabili. Per questo suo impegno l’artista artigiana ha ricevuto anche un riconoscimento dal Comune di Perugia. Ciononostante, produrre ricchezza non significa necessariamente produrre reddito ed è questo il problema. “Io con la mia arte produco qualcosa che rende felici le persone e mi dispiacerebbe chiudere.” Sostiene Anita. E poi gli accertamenti sono spesso pesanti, per “stanare” il reddito invadono la vita dell’artigiano. “E’una proceduta umiliante, che toglie la dignità ad una persona”. Denuncia Anita. Gli studi di settori, del resto, non si occupano di dignità o di patrimonio artistico. Alla loro logica sono estranee bellezza e tradizione, tempo e condizione di quegli stessi artigiani che, non rientrando nei parametri stabiliti, rischiano di dover chiudere bottega. Condividi