da Invictus.

28 giugno 1928, Roma. Allo “Stadio Nazionale”, attuale “Stadio Flaminio”, si disputa un incontro di pugilato senza precedenti. Al cospetto di 40.000 spettatori, di gerarchi fascisti e di Gabriele D’Annunzio, Leone Jacovacci e Mario Bosisio si sfidano per la corona di campione europeo dei pesi medi. L’incontro è storico. Per la prima volta, due italiani si sfidano per il titolo europeo. Per la prima volta, l’incontro è in radiocronaca diretta. È interamente organizzato dal partito fascista. Il match è ripreso dall’”istituto Luce”. 15 riprese, durante le quali, i due italiani se le danno di santa ragione. Leone Jacovacci avrà la meglio su Bosisio, ma le immagini di quella vittoria, i fotogrammi che testimoniano la gloria di Leone, sono stati cancellati per sempre…
Leone Jacovacci nasce, in Congo, da padre italiano e madre congolese. Il padre, Umberto, è un agronomo emigrato nel continente nero in cerca di fortuna. Lavora per una società belga. La mamma è Zibu Mabeta figlia di un capo tribù. Nel 1905, all’età di tre anni, viene strappato dalla madre e dall’Africa e portato, da Umberto, in Italia, a Roma. Leone è nero, Leone è italiano. Viene cresciuto dai nonni e da una zia. Fin da bambino mostra una certa irrequietezza, vivacità. Il suo è uno spirito nomade, libero. Scappa sempre. Scappa dal collegio di Frascati dove studia. Scappa da un’Italia che non accetta il suo colore della pelle. All’età di 14 anni, scappa da casa, da Roma. Giunge a Taranto. Si spaccia per un povero ragazzo di Calcutta desideroso d’imbarcarsi e privo di documenti. S’imbarca su una nave inglese. Su quella nave Leone inizia a boxare e cambia il suo nome. Su quella nave, per tutti è John Douglas Walker.
Giunge a Londra. Una sera, mentre sta passeggiando sulle rive del Tamigi, fuori da un locale, viene ingaggiato per un incontro di boxe. Uno dei due contendenti si era ritirato all’ultimo istante. Leone, ormai John, vince quell’incontro in tre round, contro uno dei migliori pesi medi dell’epoca. Inizia la sua carriera da pugile professionista. Cambia il suo nome in Jack Walker. Walker è una furia, ha talento. Vince i primi 14 incontri tutti per K.O. Nonostante in Inghilterra ci siano meno pregiudizi che in Italia, si rende conto che la sua carriera, nel Regno Unito, non può avere un futuro. Il suo spirito nomade lo porta in Francia, a Parigi. Nella “ville lumiere” si finge un afroamericano. Sa che, spacciandosi per americano, essendo la Francia maggiormente tollerante, può accaparrarsi borse più onerose. Walker è un pugile forte e talentuoso. Vince tanto e perde poco, affrontando i più forti
Nel 1922, Leone, ormai Jack Walker, famoso pugile afroamericano, torna in Italia per un incontro. Per tutti è americano, ma ad un certo punto sul ring, mentre combatte, si esprime in romanesco. Leone è romano, è italiano lo è sempre stato. Dopo quell’incontro manifesta alla F.I.P., federazione pugilistica italiana, il suo desiderio di combattere per l’Italia, il suo vero, unico paese. La Federazione, imbottita di fascisti, non può soddisfare questo desiderio. Leone è nero, è “inferiore”. L’Italia è impegnata nelle guerre coloniali. Gli uomini di colore non possono essere italiani, sono dei sudditi, sono subalterni alla razza italica. Un campione nero il fascismo non poteva tollerarlo. Leone inizia il più grande match della sua vita: il riconoscimento del suo “status” di cittadino e pugile italiano. Combatte contro il fascismo e il duce per rivendicare il suo diritto e il suo sogno. Combatte come una sorta di apolide. In quegli anni, fuori dal ring, è umiliato e ignorato dal regime. Sul ring, sconfigge campioni. Vincendo, conquista la gente. Il fascismo lo snobba, gli italiani lo amano. Le sue vittorie inducono la federazione a rivedere la propria posizione. Nel 1926 Jacovacci finalmente viene riconosciuto un pugile italiano. La F.I.P. non solo gli riconosce lo “status” di pugile italiano, gli dà, anche, la possibilità di combattere per il titolo italiano dei pesi medi contro il campione in carica: Mario Bosisio.
16 ottobre 1927. Nonostante Bosisio, fervente e convinto fascista, abbia fatto di tutto per evitare il match con Leone, quell’incontro per il titolo italiano dei medi è inevitabile, va fatto. Leone surclassa l’avversario lo domina. Al termine, il risultato sembra palese. Leone è il nuovo campione italiano. Invece, con un “coupe de theatre”, i giudici sovvertono le sorti del match. L’incontro è nullo. Per i giudici, incredibilmente, quel match è pari. Per regolamento, il titolo resta a Bosisio. Leone, nello spogliatoio, piangendo e consapevole di aver meritato la vittoria, rimugina sul risultato dell’incontro. L’opinione pubblica, i tifosi, la stampa non accettano il verdetto. A furor di popolo, si richiede una rivincita. Leone la merita. La federazione è messa con le spalle al muro, non può che cedere e concedere la rivincita. Nel frattempo, Bosisio, in attesa di incontrare di nuovo Leone, si laurea campione d’Europa dei “medi” il 1° aprile del 1928. Nel nuovo incontro con Leone, non c’è solo in palio il titolo italiano, ma anche quello europeo.
L’attesa è febbrile. La rivincita tra Bosisio e Jacovacci è la resa dei conti tra la razza bianca e la razza nera. È l’occasione per il regime fascista di riaffermare la superiorità italica sulle colonie africane, sui sudditi. La rivincita è organizzata dal partito fascista. È filmata dall’”Istituto Luce”. Tutti gli italiani devono sentire, vedere e acclamare la vittoria del bianco sul nero. Leone in quelle 15 riprese domina e vince. Le immagini di quella vittoria vengono cancellate. Il regime non può accettare la vittoria di Leone. Nessun italiano deve vedere e celebrare la vittoria di quel nero indesiderato. Per il fascismo, Jacovacci deve essere cancellato, dimenticato
Dopo quell’incontro Leone se ne tornerà in Francia. Per l’ennesima volta, la sua amata Italia lo aveva “rifiutato”. Quella vittoria segnerà, paradossalmente, in un certo senso, la fine della sua carriera. Durante la Seconda guerra mondiale, combatterà con gli inglesi. Nel 1945, a guerra finita verrà riconosciuto definitivamente italiano e tornerà nella sua amata patria. Morirà nel 1983. Negli ultimi anni della sua vita, lavorava come portiere di uno stabile.
Questa è la storia di un italiano, di un pugile che ha combattuto e vinto sul ring. Questa è la storia di un uomo “scomodo”. La sua “colpa”? Il colore della pelle. Non era quello “giusto”. Per sconfiggerlo non potevano che “cancellarlo”…ma non ci sono riusciti…
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