da SopraIlVostroSettembre.

I nodi irrisolti del chavismo

Non ci sembra inutile, come già abbiamo fatto per quanto riguarda altri paesi dell’America Latina, un tentativo di dare una prospettiva storica all’attuale crisi venezuelana. Anzitutto per un motivo forse politico ma anche eminentemente storico: il Venezuela di Chavez ieri e di Maduro oggi viene utilizzato come metro di paragone oggi per giudicare come “fallimentare” qualsiasi alternativa all’ordine neoliberale che le dittature militari degli anni Settanta-Ottanta hanno imposto nel continente. Ciò che le democrazie della transizione avevano mantenuto, i governi progressisti e rivoluzionari, che nel decennio 1999 (vittoria di Chavez in Venezuela) – 2009 (golpe in Honduras) hanno conquistato per via elettorale l’egemonia continentale, hanno radicalmente messo in discussione, insieme alla sua premessa imprescindibile: la dottrina Monroe statunitense.

Motivo eminentemente storico, dicevamo: nel giudizio euroccidentale sul chavismo e il Venezuela c’è il tipico errore di chi legge nel tempo presente da un lato l’esito già scritto, secondo una sorta di determinismo storico per cui non poteva andare diversamente; dall’altro lato considerano il presente il finale della vicenda, mentre invece la partita è ancora tutta aperta e gli scenari possibili molteplici. In secondo luogo, l’errore che anche gli stessi “chavisti duri e puri” commettono è semplificare la complessa storia venezuelana, dividendola in una sorta di “prima di Chavez” e “dopo Chavez”, negando appunto le contraddizioni del quindicennio chavista e la crisi sociale aperta dal 2013 con Maduro, ignorando che né la destra né la sinistra venezuelana (Chavez compreso) vengono dal nulla.

La crisi venezuelana ha indubbiamente cause endogene ed esogene. Tra le prime vi sono molti dei nodi irrisolti dal chavismo[1] (modello “rentista”, la monocoltura energetica a base petrolifera e la mancanza di una strategia economica di lungo periodo che andasse oltre la redistribuzione; la debolezza – o non collaborazione – dell’apparato statale nel controllo del territorio; il rallentamento del processo rivoluzionario di riforma verso l’Estado Comunal, lo Stato Comunale, decentralizzato e a democrazia radicale) e le uscite fuori dai suoi stessi binari di Nicolas Maduro[2] (la virata radicale verso il modello estrattivista e la privatizzazione delle terre a colossi dello sfruttamento minerario ed energetico, contro lo stesso movimento campesiño che aveva sostenuto Chavez; il sottrarsi al confronto elettorale e ai vincoli parlamentari, cosa cui Chavez invece non aveva mai rinunciato; l’aumento del potere alla sfera militare e poliziesca, causando spaccature interne agli stessi movimenti sociali chavisti).

venezuela-riserve-energetiche

Ma c’è anche una sfera tra i motivi interni della crisi che si interseca con le cause esogene, che troppi fingono di ignorare, radicata nella storia del Venezuela dalla fine del cosiddetto periodo caudillista (1935) fino all’era chavista. Il “crimine” più grande di Hugo Chavez, imputato dalla destra venezuelana e latinoamericana e dagli Stati Uniti, non è il mancato rispetto delle regole democratiche (accusa tra l’altro poco fondata, che non considera all’opposto la profonda e radicata trama sociale chavista[3]), con buona pace delle anime belle liberali: <<è stato distribuire socialmente i redditi petroliferi tra l’80% della popolazione precedentemente esclusa. Questa novità senza precedenti ha allarmato l’oligarchia americana (del Nord e del Sud), ivi inclusi quei ceti della popolazione venezuelana comodamente installati nell’economia miamicentrica>>. Il modello monocolturale petrolifero non lo ha inventato Chavez, è stata un’eredità della borghesia appunto detta “rentista”, che però a differenza del lìder bolivariano ignorava cosa significasse la parola “redistribuzione” e di conseguenza “democrazia”.

<<Per lungo tempo i governi del Venezuela sono stati incapaci di diversificare un’economia che aveva nel petrolio la sola fonte di reddito. Era più facile importare tutto, in un Paese dove l’80% della popolazione non contava assolutamente nulla. Il 20% restante, l’oligarchia ed i suoi assistenti ben oliati, incassava tutti i benefici di un’economia che aveva il suo centro a Miami. Quando l’80% scendeva dalle colline a richiamare la sua parte, veniva schiacciato, come avvenne nel caracazo del 1989, un massacro che coincise temporalmente con quello di Piazza Tiananmen, ma non trova mai qualche ricordo sui media>>.[4]

Le giunte militari e il caudillismo

Chavez e Maduro sono stati spesso definiti caudillos, facendo riferimento ai capi militari creoli che controllavano il potere politico-militare nei neo-nati Stati sudamericani nell’Ottocento. Osservando però cosa si intende per caudillismo nella storia venezuelana e considerando la sua cultura di governo, sorge forse il dubbio che più affine alla storia sarebbe definire caudillo Jaime Guaidò. Andiamo con ordine.

In Venezuela è noto come caudillismo il periodo storico che va dal 1831 fino al 1935. Nell’anno 1830 successero vari eventi che determinarono la fase finale dell’indipendenza venezuelana (proclamata nel 1810 in seno alla Grande Colombia): la morte di Simon Bolivar, la separazione dalla Grande Colombia, l’adozione di una nuova costituzione. Nel 1831, José Antonio Páez, eroe dell’indipendenza, assunse la presidenza. Questo sarebbe stato il suo primo mandato ed anche l’inizio di una serie di cambiamenti nel potere, da un comandante militare ad un altro in seguito a diverse guerre civili, con la conseguente violenta repressione dell’opposizione politica e dei nascenti movimenti sindacali e contadini verso la fine del secolo.

I tentativi di apertura politica e modernizzazione statale in senso democratico ebbero il loro momento più importante negli anni 1890 (sempre per opera di un generale, Antonio Guzmán Blanco), ma il colpo di Stato di Cipriano Castro, definito rivoluzione restauratrice, consolidò la trama conservatrice e autoritaria della modernizzazione venezuelana. La fine ufficiale del caudillismo viene fatta corrispondere con la transizione verso la democrazia liberale, secondo la storiografia ufficiale[5]. Nel 1935 la morte del dittatore Juán Vincenzo Gómez (ex braccio destro di Castro, creatore dell’Industria petrolifera venezuelana), dopo 27 anni al potere, non interruppe la serie di capi del governo militari. L’ultima dittatura militare in senso proprio fu quella del generale Marcos Pérez Jiménez, terminata nel 1958 con l’esilio nella Spagna franchista.

Le truppe di Cipriano Castro durante la “rivoluzione restauratrice”, 1899.

In questo ventennio si verificano alcuni aspetti decisivi per gli sviluppi storici successivi: entra per la prima nella legalità, anche se per soli 3 anni (1945-1948), il Partito comunista venezuelano (PCV), fondato nel ’31; si organizzano e si pongono a capo dell’opposizione politica alla giunta di Jimenéz i due principali partiti destinati a dominare la scena politica nazionale fino a Chavez: la Acciòn democratica – AD(centrosinistra) e il Comité de Organización Política Electoral Independiente – COPEI (democristiano); si verificano i primi movimenti guerriglieri e di lotta armata contro la dittatura militare, da parte dei settori di sinistra dell’opposizione riunita nella Junta Patriotica.

Democrazia repressiva: lotta armata e conflitto sociale

Questi elementi determineranno la fase di cosiddetta democrazia repressiva a partire dal 1958. È qui che bisogna concentrarsi se si vuole comprendere il retroterra politico-culturale dell’attuale opposizione venezuelana e quello da cui è nato il chavismo. La democrazia repressiva venezuelana si caratterizza per i seguenti elementi:

Bipolarismo clientelare e autoritario tra AD e COPEI;
Potenziamento del ruolo della polizia e creazione di corpi repressivi militarizzati e paramilitari alternativi all’esercito, più legati al potere politico;
Asse di ferro con gli Stati Uniti e contenimento anticomunista e anticastrista;
Privatizzazione delle principali risorse energetiche e minerarie del paese, a partire dal petrolio;
Interferenza reciproca con il vicino colombiano, soprattutto in chiave antiguerriglia.

È in particolare con il governo azionista di Rómulo Betancourt che la repressione verso le forze di sinistra, in particolare il Partito comunista e il Movimiento de Izquierda Revolucionaria – MIR (nato nel 1960 come scissione da parte della base giovanile della AD), si fa più intensa, fino a porli fuorilegge e così avviare la fase di lotta armata e guerriglia urbana contro il governo.

La fine della dittatura di Jimenéz aveva portato con sé grande tumulto e aperto la strada alle diverse aspirazioni di emancipazione e progresso presenti nella società civile venezuelana, presenti anche internamente ai due principali partiti dell’opposizione democratica. Tuttavia con il governo azionista di Rómulo Betancourt inizia una progressiva e violenta repressione verso le forze di sinistra, in particolare il Partito comunista e il Movimiento de Izquierda Revolucionaria – MIR (nato nel 1960 come scissione da parte della base giovanile della AD). Obiettivo principale di Betancourt era quello di rendere il suo partito “l’elemento di unione e riconoscimento di tutti i venezuelani”. Una serie di eventi portano il governo a porli infine fuorilegge:

Nel 1960 squadroni armati della destra sindacale legata all’Azione democratica (conosciuti come sotopoles) iniziano ad aggredire i sindacalisti comunisti, in sciopero contro le politiche economiche del governo; per diversi mesi manifestazioni e disordini si verificano, aumentando la repressione da parte del governo. Gli attacchi dei sotopoles si dirigono anche contro il settore giovanile dell’Azione democratica, di sinistra, causando così la nascita del MIR;
L’11 gennaio 1961, durante una manifestazione di protesta contro la chiusura da parte della DIGEPOL (servizi di sicurezza) di diversi quotidiani di sinistra, la polizia apre il fuoco facendo 3 morti, decine di feriti e arrestati: con la scusa dei disordini, Betancourt sospende le libertà costituzionali;
Nel corso di tutto il ’61 vengono sospesi dal parlamento e arrestati diversi deputati e dirigenti comunisti;
Nel maggio-giugno ’62 si verificano due sollevazioni militari da parte di ufficiali e reparti di sinistra contro il governo: sono il Carupanazo e il Porteñazo, durante il quale si calcolarono oltre 400 morti negli scontri tra militari ribelli e truppe governative.

Soldati insorti prigionieri dopo il fallimento del Carupanazo

Al termine delle due sollevazioni Betancourt, con il Decreto 752, mise fuorilegge il PCV e il MIR. I due partiti avevano già riavviato la riorganizzazione delle loro cellule armate fin dal 1960, ma sarà con il famoso discorso al Congresso del deputato indipendente di sinistra Fabricio Ojeda, che annuncerà le sue dimissioni da una Camera svuotata delle sue funzioni e partirà alla volta delle montagne per fondare il primo nucleo guerrigliero, che nasceranno ufficialmente nel ’62 le Fuerzas Armadas de Liberación Nacional. Le FALN costituiranno la forza unitaria della sinistra democratica e rivoluzionaria venezuelana, formata dalle brigate armate del PCV, del MIR e di altre formazioni castriste indipendenti; compiranno diverse azioni di lotta armata rurale e urbana contro lo Stato (come l’attentato a Betancourt o il sequestro dell’addetto militare americano a Caracas Michel Smolen), con l’appoggio attivo di Cuba (fatto che aprirà diverse crisi diplomatiche tra i due paesi, nel ’62 e nel ’66), mirando alla liberazione nazionale attraverso una piena democrazia parlamentare, l’abbattimento della miseria estrema tramite la nazionalizzazione delle risorse, la loro equa distribuzione e la riforma agraria.

Di fronte all’irruzione della lotta armata, il governo venezuelano reagì rompendo le relazioni diplomatiche con Cuba e intensificando la collaborazione militare con gli USA[6]. Vennero istituite leggi e carceri speciali contro gli oppositori (non solo guerriglieri) e creati reparti speciali “antiterrorismo” in seno all’esercito, noti come Cazadores. La campagna più eclatante portata avanti dalle FALN e dall’opposizione fu il boicottaggio delle elezioni presidenziali del dicembre 1963, dove il conflitto sociale e quello armato raggiunsero un tale livello (consegna delle FALN era “uccidere un poliziotto al giorno”) che il successore di Betancourt, il democristiano Raúl Leoni, decise di avviare un processo negoziato di pacificazione internache però sarà realizzato solo dal suo successore.

Attentato delle FALN al capo del governo Romulo Betancourt, giugno 1960

Tuttavia durante il governo Leoni proseguirono i massacri da parte dei cazadores nelle zone di montagna e contadine dove più forte era la guerriglia, assieme alla censura dei giornali democratici e l’assassinio degli oppositori. Tra il 1966 e il 1969 si verificano anche i primi casi di desaparecidos della storia venezuelana, mentre Leoni avvia la cosiddetta militarizzazione della giustizia, con leggi speciali, operazioni militari clandestine e legalizzazione di misure repressive estreme.[7]

Il Partito comunista, dopo i duri colpi subiti in seguito al sequestro Smolen[8], decise di accettare il dialogo offerto dal governo e avviò una politica di progressivo smantellamento dell’apparato armato, fatto che si concluderà nel 1969 quando il governo di Rafael Caldera lo riammetterà nella legalità. In questa data si verifica anche la separazione definitiva tra PCV e FALN, le quali restano legate al Partito della rivoluzione venezuelana – PRV, nato da una scissione nel ’66 e guidato dal guerrigliero Douglas Bravo[9].

L’accettazione da parte del Partito comunista di entrare nel Comitato di pacificazione nazionale non trovò il favore di molti militanti della lotta armata e del movimento studentesco, che proprio nel 1969 entrò nella scena pubblica con l’occupazione dell’Università centrale del Venezuela, contro la privatizzazione del sistema universitario da parte del governo. Dopo mesi di scontro, anche di piazza, il 31 ottobre su autorizzazione di Caldera forze dell’ordine ed esercito entrarono nell’ateneo facendo un massacro: 10 studenti morirono durante la cosiddetta Operazione “Canguro”, mentre oltre 100 vennero arrestati e fatti scomparire[10].

Le truppe governative si preparano a entrare nell’Università

Nel corso degli anni Settanta e Ottanta la guerriglia delle FALN dissidenti e di altri gruppi armati di estrema sinistra proseguì, parallelamente alla crescita della mobilitazione sociale da parte delle fasce più povere della popolazione. Il decennio 1973-1983 è conosciuto come il periodo del Venezuela saudita, a causa dell’imponente crescita economica dovuta al rialzo dei prezzi del petrolio in seguito alla Guerra del Kippur in Medio Oriente. Tuttavia, lo sviluppo del settore petrolifero non corrispose alla diminuzione delle profonde disuguaglianze economiche che sarebbero esplose di lì a pochi anni: il 18 febbraio 1983, “venerdì nero” della storia venezuelana, il crollo dell’economia nazionale comportò l’avvio di una fase di aggiustamento strutturale da parte del Fondo monetario internazionale e l’approvazione di misure ultraliberiste da parte del governo di Luis Herrera Campíns.

Impianto petrolifero della Shell, anni ’70

Sotto il governo Campíns il clientelismo e la corruzione di Stato crebbero in modo sensibile rispetto al passato, come sarebbe stato poi documentato dal processo contro il suo predecessore e successore, Carlos Andrés Péres, poi condannato per peculato, appropriazione indebita di fondi e malversazione. Parallelamente crebbe la violenza repressiva da parte degli organismi di sicurezza messi in piedi nei decenni precedenti, che mostrarono tutta la loro efferatezza nella repressione del Caracazo: la grande rivolta che coinvolse Caracas e i distretti circostanti dal 27 febbraio all’8 marzo 1989, contro le misure economiche annunciate da Péres. Per poco meno di due settimane il cuore del Venezuela venne messo a ferro e fuoco, in una esplosione di rabbia popolare senza precedenti che ebbe storicamente due esiti:

nell’immediato, il massacro di centinaia di persone e un saldo di oltre 3000 scomparsi [11];
politicamente, invece, segnò la crisi del bipolarismo su cui si reggeva la democrazia repressiva la quale, dopo alcuni tentativi falliti di colpo di Stato a inizio degli anni Novanta (tra cui quello del giovane ufficiale Hugo Chavez e del suo Movimento bolivariano nel 1992), venne definitivamente spazzata via dal trionfo elettorale chavista nel 1999.

Repressione nelle strade durante il Caracazo, 1989

Il significato storico del chavismo e dell’anti-chavismo

Alla luce di questa ricostruzione, possiamo avanzare alcune conclusioni, ovviamente temporanee vista la rapidità con cui si susseguono gli eventi, riguardo il significato storico del chavismo e del momento di passaggio che sta vivendo il Venezuela.

1) La battaglia che si combatte nel paese latinoamericano non rientra solo nei suoi confini, ma fa parte di quella generale rivoluzione restauratrice che gli Stati Uniti (già prima di Donald Trump) e le destre del Centro e Sud America hanno avviato e stanno vincendo contro il tentativo di nuovo ordine progressista che per un decennio ha provato ad emergere nel continente, senza tuttavia riuscire a consolidarsi, travolto dall’offensiva (anche militare) avversaria;

2) Il chavismo è figlio di diverse correnti della storia venezuelana e nasce dal patto sociale e politico tra esse, il cui garante e architetto è stato proprio Hugo Chavez:

l’antico progetto di liberazione nazionale di cui si fece portatrice la sinistra rivoluzionaria, dentro e fuori il Partito comunista, dove la componente lottarmatista e guerrigliera è stata centrale e che progressivamente confluì nel progetto bolivariano di Chavez;
l’assorbimento della base elettorale di massa di sinistra della Azione democratica, progressivamente allontanatasi negli anni Novanta dopo il Caracazo e a causa delle politiche economiche del dopo-crisi;
l’assorbimento delle istanze del vecchio PCV, logorato dopo gli accordi di pacificazione degli anni Settanta;
lo spostamento a sinistra dell’esercito, storicamente allineato su posizioni autoritarie e di interesse settoriale autonomo dalla politica, ma con una significativa sebbene minoritaria componente rivoluzionaria e democratica; la morte di Chavez è stata determinante nel causare lo sfaldamento della disciplina politica delle Forze armate bolivariane e il ritorno alle antiche tendenze clientelari e da “piccoli caudillos” tra alti e medi ufficiali.

3) L’attuale opposizione, per inverso, proviene da quelle strutture e famiglie politiche che hanno ereditato dal caudillismo la concezione elitaria e autoritaria dello Stato e dello sviluppo economico, cresciute nella democrazia repressiva che hanno contribuito a costruire. Nel presente, si alimenta sicuramente dello sfaldamento del patto sociale chavista e della crisi politica dello Stato bolivariano rappresentato da Maduro.

Non possiamo sapere cosa succederà nei prossimi giorni. Quello che sappiamo però è che la storia venezuelana è infinitamente più complessa di come la vulgata mediatica “buoni Vs cattivi” semplifica e racconta. In una prospettiva storica, non è possibile valutare e analizzare l’attuale situazione del paese dimenticando ciò di cui questa destra ora all’attacco si è resa responsabile in trent’anni di democrazia protetta e all’opposto l’aspirazione emancipatrice che ha mosso e muove, al di là di dirigenti di partito e capi militari, la trama sociale chavista[12]. Non per giustificare o giudicare, ma per comprendere, secondo l’obiettivo principale del lavoro storico nel presente.

 

NOTE:

[1] https://jacobinitalia.it/le-cause-del-disastro-venezuelano/

[2] http://www.communianet.org/rivolta-globale/venezuela-la-disputa-è-i-territori

[3] https://www.pagina12.com.ar/171128-la-trama-social-chavista

[4] Questa e la precedente citazione sono tratte da: http://rodrigoandrearivas.com/2019/02/16/labc-della-situazione-venezuelana-a-pochi-giorni-dallinizio-del-probabile-massacro/

[5] G. Casetta, Colombia e Venezuela: il progresso negato (1870-1990), Giunti, Firenze 1991

[6] Pedro Pablo Linárez, La Insurrección Armada en Venezuela. Colección Memoria de la Insurgencia, Ediciones de la Universidad Bolivariana de Venezuela, Caracas 2012

[7] 13 aprile 1965 Il quotidiano L’Unità – organo ufficiale del PCI – spiegava così la situazione in Venezuela:

“Quando Nelson Rockefeller si sente stanco di New York prende il suo aereo e va in una delle sue haciendas in Venezuela. Più corretto sarebbe dire che va nella sua “proprietà” perchè il Venezuela, in un certo senso, è una grande hacienda del vasto impero Rockefeller. (…) È il paradiso di vari imprenditori nordamericani, solo Rockefeller guadagna 600 milioni di dollari l’anno sfruttando il Venezuela, una cifra quasi uguale a quella della Shell. (…) La tragedia del Venezuela è quella di tanti altri paesi nel mondo, vittime dell’imperialismo, enormi ricchezze sfruttate da potenze straniere e mostruose metropoli formate, al centro, da immensi grattacieli e in periferia da distese di baracche di legno, cartone, fango e paglia abitate da disoccupati, manovali, contadini, braccianti impoveriti, attirati dalla speranza di un lavoro meno brutale, di un cibo meno miserabile ma caduti in una povertà ancora più grande e disperata. (…) A Caracas, la capitale, nei 65.000 ranchos, cioè baracche, sulle colline intorno alla città vivono 300.000 disperati in condizioni disumane: né acqua, né luce, né fogne, né latrine. In queste terribili bidonville la tubercolosi, la dissenteria, le malattie veneree e la fame fanno stragi di esseri umani e soprattutto di bambini.

Lo dicono le stesse statistiche ufficiali: su 55.019 decessi registrati in Venezuela nel 1960, 14.310 avevano come causa la fame.

Contro uno stato di cose così infame i venezuelani lottano valorosamente da lunghi anni. Gli omicidi degli avversari politici commessi dal regime commessi dalla polizia e da una specie di milizia fascista organizzata da Betancourt assoldando delinquenti comuni sono stati 130 fino al 1964, molti di loro erano ragazzi.

Nella lista non sono compresi i guerriglieri caduti negli scontri con l’esercito. Le cronache dei quotidiani locali (…) sono piene di notizie drammatiche: manifestazioni, scioperi, brutalità poliziesche, saccheggi effettuati dai governativi, aumenti paurosi dei prezzi, inflazione”.

[8] https://cronicasdeltanato.wordpress.com/el-secuestro-de-smolen/

[9] Juan Bautista Fuenmayor, Historia de la Venezuela Política Contemporánea 1899-1969, Tomo II, Caracas, 1979

[10]«Se cumplen 45 años del allanamiento a la UCV por órdenes de Rafael Caldera». AVN. 31 de octubre de 2014 : http://www.avn.info.ve/print/268550

[11] https://www.bbc.com/news/world-latin-america-12593085

[12] A. Zaccaria, La revolucion bonita. Colibrì edizioni, Milano 2008

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