di Roberto Bertoni.

Con l'approvazione alla Camera del Decreto Dignità, il cui passaggio al Senato la prossima settimana è praticamente scontato, e le schermaglie sulla presidenza della RAI sta per concludersi uno degli anni più caldi ed inquietanti della nostra vita pubblica.
Una politica senz'anima e spesso senza alcun progetto a lungo termine, travolta da scandali, partiti che ormai non son più tali e una classe dirigente complessivamente non all'altezza, sta per andare in vacanza, per poi riaprire i battenti a inizio settembre, quando la priorità sarà l'economia, con una Legge di Bilancio che si preannuncia tutt'altro che semplice da redigere.  
Il punto, infatti, è questo: o Tria allarga i cordoni della borsa, facendo infuriare l'Unione Europea, sfasciando i già disastrati conti pubblici e causando dei crolli a Piazza Affari, con inevitabile aumento esponenziale dello spread, che potrebbero riportare l'Italia in uno scenario da 2011 o l'esecutivo rischia. Perché all'elettorato di Salvini basta qualche fanfaronata sui migranti, un po' di cattivismo a buon mercato, trovate disarmanti come l'idea del ministro Fontana di abrogare la legge Mancino e la certezza di poter condurre un'esistenza provinciale e tranquilla, chiusi nel proprio microcosmo: lo dico senza alcuna spocchia né mancanza di rispetto, è così. L'elettorato di Di Maio, al contrario, viene prevalentemente da sinistra, non vede di buon occhio questa soluzione di governo, l'ha accettata di buon grado anche per via della linea twittarola seguita dal PD (parlare di linea politica sarebbe francamente eccessivo), non apprezza granché le uscite di buona parte dei ministri leghisti, non intende rinunciare alle istanze sociali che hanno dato vita al Movimento 5 Stelle e non potrebbe mai tollerare una retromarcia su un argomento cruciale come il reddito di cittadinanza o, comunque, una misura in grado di alleviare le sofferenze effettive di milioni di italiani, specie al Sud.
Pertanto, o Tria verrà incontro alle richieste dell'ala sinistra della compagine pentastellata o la stessa leadership di Di Maio sarà messa fortemente in discussione e, con essa, la tenuta dell'esecutivo.
Se a ciò aggiungiamo il fondato sospetto che Salvini non aspetti altro, al fine di capitalizzare un consenso che, da quando siede al Viminale, non ha fatto altro che aumentare, è chiaro che in autunno i riflettori saranno puntati in pianta stabile sulla bizzarra creatura di Grillo, la cui svolta governista è riuscita solo ad attenuare, non certo a spegnere, le pulsioni dei primordi. Cosa farà, ad esempio, Roberto Fico? È vero che il ruolo di presidente della Camera gli impone una pacatezza e dei toni che in passato non ha avuto, impedendogli di esprimere a pieno la sua carica movimentista e di sinistra; fatto sta che questo impedimento vale solo per lui, non per la pattuglia di deputati e senatori che fanno capo a quella che possiamo definire una sorta di corrente, per quanto i pentastellati ci tengano, da sempre, a rimarcare la loro estraneità a queste logiche.
Soltanto inscritto in questo contesto si può comprendere ciò che sta avvenendo in RAI dove, dopo aver designato l'amministratore delegato, scegliendo il navigato Fabrizio Salini, la maggioranza gialloverde si è incagliata sul nome del sovranista Marcello Foa, giornalista proveniente dal Giornale della famiglia Berlusconi ma da tempo, di fatto, sostenitore del ministro degli Interni e delle sue politiche nonché utile grimaldello per ottenere più scopi. Se alla fine dovesse passare il nome di Foa, difatti, il leader del Carroccio potrebbe dire di aver definitivamente egemonizzato il centrodestra, costringendo Berlusconi alla resa e riducendo Forza Italia ad una sorta di partito satellite. Se su Foa dovesse definitivamente saltare il centrodestra come lo abbiamo conosciuto negli ultimi vent'anni, invece, Salvini potrebbe spalancare le porte ai forzisti in fuga, ben coscienti del fatto che la stagione berlusconiana sia finita e che il predominio dell'uomo di Arcore appartenga ormai al passato, lanciare ulteriormente la Lega e occupare tutto lo spazio di un centrodestra in cui il centro, in pratica, non esiste più. Una soluzione "win win": il sogno di ogni politico, in particolare di quelli di primo piano.
Le schermaglie di questi ultimi giorni di attività politica servono, dunque, ad indicarci la rotta dei prossimi mesi e, forse, anni. Salvini, per ora, dal suo punto di vista, per quanto si possa dissentire dal soggetto in questione, non ha sbagliato una mossa, e se domani si andasse a votare, con ogni probabilità, supererebbe quota 30.
È probabile, pertanto, che la destra salviniana, rafforzata dal partito della Meloni e dell'ala conservatrice del M5S, nel corso del prossimo anno costituisca un polo unico sovranista, che in Europa sta con la Le Pen, in America con Turmp e sempre e comunque contro il concetto stesso di democrazia liberale, almeno per come l'abbiamo conosciuto e declinato negli ultimi decenni.
È altrettanto probabile che nasca una sorta di polo unico liberista, o comunque in stile Macron, fra l'ala europeista di Forza Italia che fa capo a Tajani e Gianni Letta e i renziani del PD, i quali in ottobre, alla Leopolda, potrebbero sia annunciare la nascita del loro nuovo partito sia far capire agli Zingaretti, ai Cuperlo e agli Orlando che, se davvero vogliono continuare a parlare di sinistra, non possono che farlo altrove, in quanto un congresso rifondativo del PD non ci sarà mai.
Il PD è finito, si mettano l'anima in pace, così come sono convinto che si sia conclusa l'esperienza di LeU e che sia assolutamente necessaria una ricostruzione della sinistra sulla base di valori e ideali che nulla hanno a che spartire con tutto ciò che abbiamo visto negli ultimi anni. Sarà un processo lungo e complesso ma guai a non mettersi in cammino: ulteriori attese e perdite di tempo comporterebbero l'estinzione di una storia già parecchio in affanno.
Quanto al M5S, non è assurdo ipotizzare una spaccatura interna fra l'ala sinistra e l'ala destra, smentendo clamorosamente i dogmi post-ideologici su cui quel soggetto si fonda. Tutto dipende dalla durata e dalle ragioni di un'eventuale caduta del governo: se Salvini continua a tirare la corda, è evidente che, prima o poi, la sinistra grillina sarà costretta a ribellarsi, anche se al momento, mancando del tutto un polo in grado di accoglierla, i frequenti malumori fanno fatica a trasformarsi in azioni concrete.
Quest'ultima settimana, comunque la si pensi, è stata utilissima per comprendere gli scenari futuri. Sarà bene farne tesoro e servirsene in autunno per orientarsi nell'evoluzione di una serie di vicende che per ora rimangono in sospeso ma presto torneranno ad essere protagoniste. E sostenere che nulla sarà più come prima, in questo caso, non è affatto retorico.

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