di Alfonso Gianni - Il Manifesto - 29.03.2019.

Al folto elenco dei picconatori dell’anno “bellissimo” preconizzato da Giuseppe Conte, si è aggiunto il Centro studi della Confindustria che prevede uno zero tondo di crescita per il 2019. Siamo ben lontani dal + 0,9 stimato nell’ottobre scarso.

Le cause della defaillance sarebbero il rialzo di un punto percentuali dei rendimenti sovrani, ma soprattutto il crollo di fiducia delle imprese, specialmente nel manifatturiero, e quella delle famiglie costrette a una riduzione dei consumi, non compensata dalle magnifiche e progressive sorti del reddito di “sudditanza” e quello di quota 100, i cui effetti, già previsti deboli, si faranno eventualmente sentire solo nella seconda parte dell’anno.

Il feeling fra Boccia e Salvini, dichiarato qualche mese fa, sembra quindi infrangersi sulla durezza delle cifre. L’occupazione resta ferma. Il decantato calo del lavoro a termine non è certo compensato da quello a tempo indeterminato. Malgrado le decisioni della Bce, si prevede un peggioramento dell’accesso al credito e del suo costo. Qualcosa si intravede nel campo delle esportazioni, ma il quadro internazionale sconsiglia di puntare tutto sulla domanda estera.

Intanto la data del 10 aprile si avvicina inesorabile, quando il governo dovrà presentare il Documento di economia e finanza (Def), e riparte la polemica interna alla maggioranza, con Tria nella parte dell’imputato. Un tormentone destinato ad avvitarsi. L’obiettivo della coalizione pentaleghista è traguardare la scadenza del 26 maggio, le elezioni europee, massimizzando il proprio vantaggio per gli uni, limitando le perdite per gli altri. La stesura del Def diventa quindi un passaggio decisivo.

Con queste cifre, però, confermate dalle preoccupazioni già espresse da Bankitalia, il rapporto deficit/Pil salirebbe al 2,6%, vanificando gli esiti della tormentata trattativa con Bruxelles dei mesi scorsi. Dalla Cina, Tria fa sapere che quindi non si può inserire nel Def la flat tax. Ma questo fa imbestialire Salvini e i suoi che a quel provvedimento sono legati come l’edera. Per la prima volta Tria si trova non solo sotto il fuoco di Di Maio ma anche dell’altro dioscuro.

Entrambi comunque pretendono che il Ministro prepari un Def di facciata, per nascondere la realtà sotto il tappeto. Operazione non facile, dal momento che confermare l’1% di crescita appare incredibile. Nello stesso tempo non si può dichiarare un misero 0,1%. Bisogna trovare qualcosa che porti almeno un paio di decimali al Pil programmatico, quello che mette nel conto gli effetti dei provvedimenti post manovra.

A Tria non resterebbe altro che gonfiare i risultati del cosiddetto “pacchetto” crescita e dello sblocca cantieri. Cosa contengano esattamente non è dato ancora di sapere in modo certo, ma Di Maio ha cominciato da subito a promettere una fase due, incentrata sullo sviluppo dell’impresa. La presunta novità sarebbe rappresentata dalla reintroduzione del super ammortamento, ai fini dell’imposta sui redditi, del 140% per beni strumentali nuovi, attivato dall’allora ministro Calenda e abrogato dai pentaleghisti solo qualche mese fa.

Come si vede nulla si inventa e neppure si rottama, piuttosto si ricicla. Ma, come hanno giustamente osservato su queste pagine Acocella e Romano, l’aumento dell’acquisto di nuovi macchinari, potentemente facilitati dalle favorevoli misure fiscali, di per sé non risolleva l’Italia dal declino industriale cui solo una politica economica degna di questo nome potrebbe mettere mano.

Il giudizio dell’arcigna Ue sulla manovra è previsto per il 6 giugno. Ma prima importanti agenzie di rating emetteranno il loro. Puntare tutto sul cambiamento della guardia in Europa appare temerario sulla base degli attuali andamenti politici. Sperare che Bruxelles allarghi le maglie del deficit per la congiuntura sfavorevole è alquanto illusorio. Non basterà un maquillage al Def per trovare 23 miliardi che scongiurino l’aumento dell’Iva e contemporaneamente evitare una manovra correttiva sempre più probabile.

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