Dopo la prima fase che ha segnato l'avvio della globalizzazione capitalistica, nella quale la dottrina neoliberista ne ha ispirato le politiche, è seguita, ed è durata sin qui, una seconda nella quale si è affermata la tendenza definita come ordoliberista, che della prima ha conservato la liberalizzazione del lavoro e la sua riduzione a semplice variabile dipendente. Mentre, diversamente dalla prima, ha preteso e realizzato la messa al lavoro dello Stato e delle politiche pubbliche in un processo di accumulazione capitalistica nel quale l'uso delle macchine cambia il rapporto tra la persona e il mezzo di produzione, sino a mettere in discussione il primato stesso dell'uomo.
E' in atto una rivoluzione tecnico-scientifica che conduce fino alla intelligenza artificiale che cambia la mappa del lavoro, dei consumi e non solo.
Spinto da una nuova vocazione totalitaria, da un'ansia di dominio assoluto e pervasivo che lo assimila ad una divinità, questo capitalismo non riesce però a sottrarsi al suo destino, quello di generare interne contraddizioni, a partire dal suo nocciolo duro. La sostituzione crescente di lavoro vivo con lavoro morto, la frantumazione del lavoro, la desoggettivazione delle lavoratrici e dei lavoratori che, nel loro insieme, costituiscono la rivincita del capitale sul processo di emancipazione e di liberazione del lavoro che la lotta di classe aveva messo in atto nel '900, stanno producendo una crisi sociale che investe tutto l'occidente e che nè la crescita economica nè le politiche dei governi sanno affrontare.
L'abbattimento da parte dell'impresa della diga, costituita dai diritti e dal potere dei lavoratori produce il deserto ma non la pace.
La profondità e la durata della crisi sociale, che può diventare crisi di civiltà, indica la portata della contraddizione interna, pur in assenza di una matura alternativa di società.
Nella dimensione macro economica, nelle relazioni internazionali tra le economie e tra gli Stati le contraddizioni hanno già investito la globalizzazione, costringendola a una nuova fase, in cui si affermano le vocazioni neomercantiliste. 
Come abbiamo già visto essa non è un ritorno all'indietro, alle economie nazionali, tuttavia essa segna la fine della fase ascendente della globalizzazione e ne registra un declino; un declino gravido di tensioni e di conflitti dall'esito imprevedibile.
Dazi e dogane diventano le manifestazioni più evidenti di una vera e propria guerra commerciale, fatta di una molteplicità di guerre e guerriglie.
Emerge un nuovo e poderoso fattore di instabilità che investe la politica, le relazioni politiche e istituzionali tra gli Stati.
L'occidente politico che si era costituito per combattere il comunismo e che è resistito al crollo dell'URSS si sta disfacendo.

F.B. Editoriale del n.51 della rivista Alternative per il Socialismo (parte quinta).

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