di Maria Pellegrini.

Le sale di attesa di studi medici, avvocati, parrucchieri espongono, con poche eccezioni, soprattutto riviste di gossip che ci aggiornano - con tanto di foto a tutta pagina- di divorzi, matrimoni, nuovi amori, nascite di figli e nipoti di attori, di personaggi delle famiglie reali, e anche di politici, sui quali s’indaga per scoprire e documentare aspetti della loro vita privata. A caccia di novità sono sguinzagliati fotografi e cronisti che daranno conto di quei pettegolezzi che sembrano tanto interessare un gran numero di persone.

Non c’è nulla di irriverente se, esplorando il mondo antico, viene in mente Svetonio, informatissimo biografo (quasi sempre maldicente) che nella sua opera De Vita Caesarum, pur nella sua grande erudizione, rivela una spiccata tendenza a raccogliere i pettegolezzi (ma anche le verità) più frizzanti, e talora infamanti con particolare tendenza a scoprire e rivelare aspetti intimi e curiosi sulla vita degli imperatori da Cesare a Domiziano, passando per l’anno dei quattro imperatori: Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano, che si massacrano a vicenda lasciando vivo Vespasiano, governatore dal pugno di ferro della riottosa provincia giudaica.

Svetonio (ca. 70 - dopo il 122 d.C.) di famiglia equestre, svolse prima attività forense, poi divenne funzionario di corte sotto Traiano e al tempo di Adriano fu addetto all’archivio imperiale e alla corrispondenza dell’imperatore. Dopo il 122 cadde in disgrazia, fu allontanato dalla corte, ma non conosciamo quanto tempo dopo sia morto dopo aver gettato parecchio fango sui Cesari. Un aspetto singolare della sua personalità è un evidente piacere da collezionista: le notizie scandalose sulla vita privata dei Principi si affiancano in bell’ordine alle loro qualità positive, alle loro iniziative edilizie, o imprese militarie lodevoli. Insomma, una fonte preziosa, anche se talvolta inquinata, di rivelazioni di ogni genere. Le vicende biografiche seguono tutte lo stesso schema: prima la genealogia, la data di nascita, poi la carriera, i pregi, i difetti, i vizi, le onorificenze, la fisionomia, le malattie, la morte e i prodigi che l’hanno preceduta o seguita. Ma nell’opera svetoniana non c’è storia e non c’è vera biografia. I ritratti sono senza vita e senza prospettiva e soprattutto privi di una qualsiasi attendibilità psicologica di persone, e tanto meno di politici.

È certo che Svetonio abbia voluto screditare gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia e un po’ meno i primi due della dinastia Flavia e poi per far piacere agli imperatori “adottivi”, gli antonini, che consideravano con disprezzo quanto avvenuto prima di loro, soprattutto sotto quei Cesari ostili al Senato e più vicini al popolino come Caligola e Nerone. Ma nonostante questo compiacimento verso Adriano egli scomparve dalla scena senza lasciar tracce quasi un personaggio delle sue Vite, travolto da qualche improvviso e radicale cambiamento proprio all’interno della corte dell’imperatore che lo aveva voluto per un compito delicato come la cura della corrispondenza.

Il modo svetoniano di scrivere i ritratti era del tutto irriverente: ma in ciò egli si inseriva perfettamente nella tradizione storiografica non tanto antimperiale, bensì in quella ostile agli imperatori sino a Domiziano: in ciò, almeno, simile a Tacito. Vediamone due esempi indicativi.

Di Giulio Cesare scrive:

«Non soltanto ebbe dignità eccessive, il consolato continuo, la dittatura perpetua, la prefettura dei costumi, e inoltre il prenome di imperatore e l’appellativo di Padre della patria, una statua fra quelle dei re, uno scanno più elevato di tutti gli altri nell’orchestra; ma anche permise che gli venissero tributati onori più alti di quanto si consentano alla gloria terrena».

E di Vespasiano:

«Né si fece scrupoli di vendere cariche ai candidati, assoluzioni agli imputati, colpevoli o innocenti che fossero. Si ritiene persino che fosse solito promuovere a più alti incarichi i più rapaci dei suoi amministratori, con il preciso calcolo di condannarli non appena divenuti più ricchi; di questi, la gente diceva, egli usava come di spugne: asciutti li inzuppava, e bagnati li strizzava».

Di tale testimonianze, non prive tuttavia qua e là di un notevole spirito di osservazione e di un non trascurabile senso di umorismo (forse del tutto involontario) non v’è poi troppo da stupirsi: erano lontani i tempi delle grandi passioni, dei grandi rimpianti o delle nobili utopie. Ci si avviava ormai a un periodo di rassegnazione alla realtà delle cose, alla mancanza di ideali e in Svetonio assistiamo a un vero cimitero di valori, una stagnazione assoluta di ogni slancio vitale, una inerte e tuttavia agghiacciante indifferenza di archivista di libidini e di eccidi. Mai un trasalimento di orrore o di pietà in quella sua prosa di burocrate imperiale, mai un brivido di orgoglio romano nei passi nei quali l’autore elenca senza giudizio o spirito critico i vizi, le colpe, i meriti che in misura minore o maggiore quei dodici Cesari avranno pure avuto. Non tralascia di segnalare i caratteri e i vizi delle consorti degli imperatori e delle cortigiane, su tutti i fatti e costumi ha qualche gelida frecciata da lanciare.

L’opera complessiva sembra un Museo delle Cere. L’orrore nasce nel lettore proprio da tale inerzia morale. Dei dodici Cesari, cinque sono morti uccisi (Cesare, Caligola, quasi certamente Claudio, Galba, Vitellio), due suicidi (Nerone e Otone). E Svetonio registra le uccisioni, zelante, preciso espositore di particolari orrendi: si pensi al linciaggio dell’imperatore Galba:

«Galba fu sgozzato presso il lago di Curzio e il suo cadavere fu lasciato così com’era, finché un soldato semplice, tornando dalla ricerca della sua razione di grano, gettò il suo carico e gli staccò la testa; poiché non poteva afferrarla per i capelli, in un primo tempo la nascose in grembo, poi, infilato il pollice nella bocca la portò ad Otone».

Tuttavia il fascino della sua opera risiede proprio nell’agghiacciante impassibilità con cui egli riferisce particolari di atroci uccisioni, torture e dettagli erotici disinvoltamente inseriti in vicende guerresche o intrighi di corte e congiure. Inutile cercare nelle sue narrazione biografiche le cause delle battaglie e delle stragi, o sulla situazione economica all’interno della quale si verificano gli eventi o sulla condizione di vita del popolo. Il pubblico per cui scrive non ha tanto piacere di fatti gloriosi, quanto conoscere la vita quotidiana dei grandi dell’impero.

«Se Svetonio capì che il tempo della grandezza di Roma e della sua storia eroica era finito e che i tempi nuovi esigevano più la prosa della vita quotidiana, non gli si può fare un torto; si deve anzi riconoscere che egli aveva presentito i bisogni dei tempi nuovi meglio di tanti altri, meglio dei suoi amici letterati che erano ancora ancorati al passato» (Francesco Della Corte, illustre filologo classico e studioso della letteratura latina, morto nel 1991).

Immagine: Copertina dell'edizione del 1544, "Vite dei Cesari" di Gaio Svetonio Tranquillo.

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