di Giovanni Paglia.

Che fare?

1- capire che non ci si può accontentare di una sinistra confinata ad un 5% complessivo e divisa fra formazioni la cui massima ambizione è farsi la guerra a vicenda.
2- assumere che se questo è accaduto la responsabilità è nostra, che ci siamo progressivamente staccati dai bisogni e dalle aspirazioni dei ceti più deboli. 
3- comprendere che non ci si può risollevare cristallizzando quello che c’è, ma piuttosto rimettendo tutto in discussione in uno spazio libero e comune.
4- partire dalle ragioni di quelli che “vi avrei votato, ma ...”, perché mi sembra evidente che c’è più sinistra lontano da noi che nei pressi. Altrimenti vorrebbe dire che è proprio finita.
5- ammettere che le nostre culture politiche sono probabilmente al capolinea, ma contemporaneamente non confondere questo con la fine della richiesta di un mondo più giusto e solidale.
6- partire dal fatto che chi lavora non ha alcun privilegio e che quindi tutti i privilegi vanno abbattuti.
7- metterci in testa che la politica mai come oggi coincide con i suoi interpreti e che quindi la chiusura di una fase storica non può che passare dall’uscita di scena dei suoi protagonisti. Restano mille altri modi in cui si può dare una mano.
8- “nostra patria è il mondo intero”, “proletari di tutto il mondo unitevi”. Mai dimenticare questi due obiettivi, a nessun costo.
9- cancellare l’ansia da partito unico. Conta la qualità delle relazioni, molto più che lo schema organizzativo. Meglio una serena e fattiva collaborazione fra diversi, che una nevrotica e forzata omologazione. Anche perché questo è un tema che interessa solo i militanti, che sono la minoranza della nostra gente.
10- serve radicalità, che significa essere sinceri e spietati nell’analisi, nitidi nella proposta, concentrati sugli obiettivi. I pannicelli caldi ci ammazzano.

E poi molto altro e di molto meglio. Ma credo che questo sia il minimo da cui ripartire, tutti insieme e nessuno escluso.

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