di Mauro Volpi

Cosa rappresenta per il presente e per il futuro dell’Italia la Costituzione repubblicana e democratica approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 a larghissima maggioranza (458 voti a favore, 62 contrari), promulgata il 27 dello stesso mese ed entrata in vigore l’1 gennaio 1948? La domanda è giustificata dalla constatazione che negli ultimi decenni vi è stata una prassi politica e istituzionale che ha messo in discussione parti importanti del testo costituzionale. A questo proposito la storia della Repubblica può essere distinta in due periodi. Nei primi “gloriosi” trenta anni la lotta per l’attuazione della Costituzione contro quello che Calamandrei definì “l’ostruzionismo della maggioranza” centrista è approdata a importanti risultati, a cominciare dalla istituzione degli organi di garanzia, come la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura, toccando il culmine negli anni Settanta con lo Statuto dei diritti dei lavoratori, l’attuazione delle Regioni ordinarie e dei referendum, la riforma del diritto di famiglia, la legge sulla parità di genere nel lavoro, la riforma sanitaria. Nei decenni successivi si è avuto un capovolgimento di prospettiva, incentrato sull’obiettivo della “grande riforma costituzionale” (evocato da Craxi in un famoso articolo pubblicato su l’Avanti alla fine del 1979). Questa è sfociata nell’approvazione parlamentare a stretta maggioranza di progetti di “riforma” di quasi tutta la seconda parte della Costituzione (quella sull’ordinamento della Repubblica) nel 2005 con la legge Berlusconi, Fini, Bossi, Buttiglione, e nel 2016 con la legge Renzi, Boschi. Entrambi i tentativi sono stati respinti con larga maggioranza nei referendum popolari del 25-26 giugno del 2006 (61,3% di no sul 54% dei votanti) e del 4 dicembre 2016 (59,1% di no sul 65,5% dei votanti). In realtà quei progetti, abbinati a leggi elettorali (Porcellum e Italicum) con un abnorme premio di maggioranza e liste in tutto o in gran parte bloccate, avrebbero avuto una forte ricaduta sulla prima parte della Costituzione, determinando uno squilibrio fra i poteri, il ridimensionamento della rappresentanza parlamentare a favore del vertice dell’esecutivo e la riduzione della partecipazione popolare. Non è un caso che le velleità di “riformare” anche la prima parte della Costituzione siano riemerse in tempi recenti: basti pensare alle proposte di eliminare il lavoro quale fondamento della Repubblica democratica (art. 1, comma 1), di abrogare il principio di eguaglianza sostanziale (art.3, comma 2), di ridimensionare i limiti alla iniziativa economica privata (art. 41, comma 2). Non va dimenticato inoltre che uno sbrego alla Costituzione e ai diritti sociali vi è stato nel 2012 con l’inserimento da parte di una maggioranza “bulgara” del cd. pareggio di bilancio, che costituisce una camicia di forza contro qualsiasi politica di rilancio dell’economia basata su investimenti pubblici e la giustificazione dei tagli alle spese sociali. Da ultimo, anche all’interno del PD (nella componente di Libertà Eguale, che per la sua propensione filoliberista dovrebbe essere piuttosto definita come “libertà diseguale”) è stata avanzata l’idea di una ulteriore e definitiva semplificazione con l’elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica, da trasformare in vero capo dell’esecutivo con imitazione integrale del modello francese, un modello personalistico squilibrato privo dei contrappesi presenti in quello nordamericano.

Al di là delle modifiche formali al testo costituzionale, nello stesso periodo sono state portate avanti politiche che hanno compresso i diritti sociali (al lavoro, alla salute, allo studio) e si è determinato un netto squilibrio fra i poteri, con un Parlamento ridotto a passacarte del Governo grazie al ricorso massiccio ai decreti legge, ai maxiemendamenti, alle questioni di fiducia. Nello stesso tempo, anche grazie ai citati sistemi elettorali (dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale), ma nella stessa direzione va l’orribile Rosatellum, si è accentuata la disrappresentatività del Parlamento, si è imposta la nomina dall’alto dei parlamentari, si è contribuito a distruggere i partiti, ridotti a comitati elettorali del leader di turno, e la politica, trasformata in lotta fra gruppi di potere motivati da interessi materiali e privi di programmi e soprattutto di ideali di riferimento.

Di fronte alle derive antisociali e antidemocratiche diventa indispensabile rilanciare una lotta che non può limitarsi alla difesa, ma deve puntare all’attuazione della Costituzione. Innanzitutto del suo progetto economico-sociale. Infatti la Costituzione è nata come polemica non solo contro il passato, monarchico e fascista, ma anche contro il presente ponendo la prospettiva dell’attuazione della giustizia sociale e dell’eguaglianza sostanziale, fondata sulla rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, comma 2). Ciò spiega la particolare ampiezza con la quale sono stati riconosciuti il lavoro, sia come autorealizzazione personale sia come fondamento della Repubblica, e i diritti del lavoro, nonché i limiti alla iniziativa economica privata (l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà, la dignità umana), come elementi caratterizzanti di una economia concepita non come fine in sé ma come mezzo al servizio dell’uomo. Altrettanto ampio è il riconoscimento di altri fondamentali diritti sociali, come la salute, l’istruzione e il diritto allo studio, rispetto ai quali la Corte costituzionale ha recentemente affermato (sentenza n. 275 del 2016) che “è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”. Il che richiede una battaglia per la cancellazione dalla Costituzione del pareggio di bilancio. Caratterizzante del progetto costituzionale è il principio del valore della persona umana, che comporta la sua estensione sia soggettiva (il riconoscimento e la garanzia dei “diritti inviolabili dell’uomo”, come stabilisce l’art. 2, e quindi anche del non cittadino) sia oggettiva (come si desume dall’ampiezza del catalogo dei diritti, civili, sociali e politici e delle garanzie poste a loro tutela).

Ma vi è nella Costituzione anche un progetto istituzionale, fortemente obliterato negli ultimi decenni, che trova nell’antifascismo il suo punto di riferimento storico-culturale, reso attuale dai rigurgiti fascisti presenti in Italia e in Europa, e propone un modello di democrazia fondato sulla rappresentanza pluralistica e sulla partecipazione. Si tratta di un modello antitetico alle concezioni plebiscitarie e populistiche, che concepiscono il popolo come soggetto unitario e delegittimano gli organismi intermedi, istituzionali, politici, sindacali, a vantaggio di un rapporto diretto fra popolo e leader, il quale diventa il depositario ultimo e incontestabile della sua volontà. Al contrario per la Costituzione la stessa sovranità popolare non è assoluta, ma deve esercitarsi nelle forme e nei limiti da essa posti (art. 1, comma 2). Rientrano nel modello costituzionale sia la scelta di un sistema elettorale proporzionale sia quella della forma di governo parlamentare. Circa il primo, è vero che il sistema elettorale non è stato costituzionalizzato, ma non vi è dubbio che sia preferito dalla Costituzione (quando parla di eguaglianza e libertà del voto, di determinazione della politica nazionale da parte dei cittadini associati in partiti, di composizione delle commissioni di inchiesta proporzionale alla consistenza dei gruppi parlamentari). Ciò non esclude che possano esservi correttivi alla proporzionale, come una ragionevole soglia di sbarramento, ma non meccanismi truffaldini che falsifichino la volontà popolare e comprimano irragionevolmente la rappresentatività e l’eguaglianza del voto. La forma di governo assegna un ruolo fondamentale al Parlamento quale organo che esprime la rappresentanza e si innerva sul ruolo dei partiti come strumenti di partecipazione posti al servizio dei cittadini. Completa il modello di democrazia costituzionale il ruolo assegnato alle istituzioni di garanzia: il Presidente della Repubblica, che non è un notaio, ma neppure un protagonista attivo della politica; la magistratura, la cui indipendenza è garantita sia nei confronti degli altri poteri sia all’interno grazie alla inesistenza di una gerarchia; la Corte costituzionale; la rigidità costituzionale, in base alla quale la Costituzione può essere modificata solo con un procedimento aggravato rispetto a quello legislativo ordinario.

Contro i disastri prodotti dalla egemonia neoliberista occorre rilanciare il programma costituzionale sul terreno dei diritti sociali e civili, della partecipazione, della necessaria ricostruzione della politica, del riequilibrio fra i poteri dello Stato. Ciò può anche richiedere alcuni aggiornamenti puntuali ed omogenei del testo, relativi alla struttura del Parlamento, ai controlli attivabili dalle minoranze parlamentari, all’ampliamento degli istituti di democrazia diretta, alla razionalizzazione della forma di governo parlamentare. Ma i cambiamenti sono positivi solo se perseguono l’obiettivo di dare più e non meno democrazia e quindi di rafforzare l’opera di attuazione dei principi e dei diritti costituzionali. In definitiva bisogna essere coscienti che al di fuori della Costituzione non c’è salvezza, ma solo un piano inclinato in direzione del superamento della democrazia sociale e pluralista. Ciò rende più che mai attuale l’affermazione di un nuovo patriottismo costituzionale.

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