di Giuseppe Castellini

La Borsa Usa è caduta del 6% in un giorno, e quelle del resto del mondo sono scese anche se finora non così tanto, per i timori di un secco rialzo dell’inflazione americana, dato che il tasso di disoccupazione è sceso ai minimi e la domanda interna si rafforza di mese in mese. Un secco rialzo dell’inflazione comporta un secco rialzo dei tassi di interesse, il che getterebbe acqua sul motore surriscaldato degli Usa, ma spingerebbe al rialzo i tassi di interesse in tutto il mondo, Ue compresa.

Le promesse elettorali farlocche. L’orchestrina suona mentre la nave rischia di affondare. Ecco i conti da fare

Se anche la Bce, prima di quanto previsto e sperato, dovesse alzare i tassi (anche se non nella misura in cui potrebbero salire quelli americani), altro che promesse elettorali che vengono sventolate: l'Italia dovrà versare un altro po' di lacrime e un altro poi di sangue (finanziario).

Perché è evidente che tassi bassi come quelli attuali aiutano non poco il bilancio degli Stati più indebitati, come appunto l'Italia (il debito pubblico nel 2017 è stato pari al 131,6% del Pil). Tassi più alti significano più interessi da pagare. Ogni punto in più, a regime, significa per l'Italia un maggiore esborso di interessi annui pari a circa 23 miliardi di euro, visto che il debito pubblico, a febbraio 2018, ammonta a 2mila 275 miliardi. Per fortuna, non tutti i titoli di Stato scadono ogni anno, per cui il conto di circa 223 miliardi di aumento ogni punto percentuale di aumento dei tassi di interesse è nell'ipotesi a regime, quando l'interi ciclo di debito pubblico viene rinnovato (la durata media del debito pubblico italiano oggi è tra i 6 e gli 8 anni).
Nel 2018 l’Italia dovrà comunque collocare 390 miliardi di euro di debito e, pertanto, nel 2018 ogni punto percentuale di aumento degli interessi sul debito porterà a un maggior pagamento degli interessi per circa 4 miliardi di euro. Due punti costeranno 8 miliardi, che gli italiani dovranno pagare o con più tasse o con minori spese pubbliche. In più, ci sono oltre 20 miliardi di euro che ogni anno bisogna trovare per evitare l'aumento dell'Iva e di altre imposte, aumento previsto dalla cosiddetta clausola di salvaguardia. Ossia, se questi soldi non vengono trovati ogni anno scattano in automatico gli aumenti dei tributi, in primis l'Iva.
Ma a noi piace contare sullo Stellone italiano, che da tempo però non c'è più, e pensare come quelli che per andare in vacanza prendono il mutuo in banca. Certo, si potrebbe attingere ai 140 miliardi di euro che ogni anno vengono sottratti dall’evasione tributaria alle entrate dello Stato. Un capitolo che vale 8-9 punti di Pil e che potrebbe permettere una riduzione generalizzata delle aliquote, soprattutto su quei ceti sociali che da decenni hanno pagato più del dovuto perché colpiti dal meccanismo della ritenuta alla fonte come i dipendenti e i pensionati. Ma del capitolo lotta all'evasione in campagna elettorale non sente parlare, quanto piuttosto della scellerata flat tax, che per il ceto medio sarebbe un massacro, per i poveri non avrebbe benefici ma forse - senza un meccanismo appropriato di deduzioni e detrazioni - una penalizzazione, mentre gli unici a guadagnare sarebbero i benestanti.
Questa campagna elettorale irresponsabile fa sognare un po' tutti. Come l'orchestrina che suonava sul Titanic mentre la barca affondava. Sappiamo come andò a finire. Ci piace un'ubriacatura che lascerà dolori, mal di testa e una vita economica più grama.
Senza contare che più risorse da trovare per gli interessi sul debito pubblico significano meno denaro a disposizione per gli investimenti, che peraltro dall'inizio della crisi si sono ridotti del 30%, tarpando le ali al futuro del Paese. Insomma, o gli italiani ci sono o ci fanno. Siccome non ci sono, ci fanno. È per questo che siamo ridotti in questi situazione. Gli italiani, alla fine della fiera, sono dei furbi vittime delle proprie furbizie.
L'unica speranza è che, quando siamo messi con le spalle al muro, sappiamo trovare forze inattese per reagire. Se aumentano i tassi, saremo davvero con le spalle al muro. E spero che ancora una volta troveremo quelle forze.
E adesso godetevi le promesse elettorali, mentre suona l'orchestrina scacciapensieri.

La politica della Bce rischia di saltare e con essa è a rischio la stessa Eurozona e forse anche l’Unione europea. Gli effetti di un’esplosione disordinata dell’euro

La politica dei tassi zero della Bce è stata attuata tardi rispetto agli Stati Uniti, che la adottarono subito. Gli americani, scoppiata la bolla dei subprime e scatenata la crisi finanziaria mondiale, fecero immediatamente due cose: salvarono le banche, cacciando i responsabili e ricapitalizzandole con denaro pubblico. Lo Stato ci ha pure guadagnato, perché ha poi via rivenduto sul mercato le azioni delle banche ricapitalizzate e risanate portato a casa un bel guadagno. E ha attuato subito il quantitative easing, ossia l’acquisto praticamente illimitato di titoli di debito bancari e anche private da parte della Banca centrale, cosa che noi abbiamo iniziato a fare solo nel 2015 grazie a Mario Draghi, nonostante l’opposizione dei soliti tedeschi e loro Paesi alleati della Mitteleuropa. Ciò ha schiacciato i tassi di interesse a zero e fornito grande liquidità, permettendo al sistema finanziario – e di conseguenza al sistema economico – di non collassare.

È chiaro che la Bce non può andare avanti illimitatamente con il quantitative easing, che viene via via ridotto man mani che la ripresa si rafforza.

Perché questa contemporaneità di più ripresa meno quantitative easing?. Perché, prendiamo il caso dell’Italia, un aumento dei tassi senza la copertura di maggiori entrate derivanti dalla ripresa, che da noi è ancora debole, metterebbe in ginocchio il Paese in breve tempo: più tasse e meno spese pubbliche, con tutto ciò che ne consegue. Quindi, bisogna attendere, per far cessare del tutto il quantitative easing, che la ripresa raggiunga livelli accettabili, intorno al 2,5 – 3 per cento. Con un Pil in aumento del 3% e un’inflazione del 2% le entrate crescerebbero spontaneamente in valore nominale del 6-7% (per tutta una serie di motivi, tra cui la progressività di pezzi importanti del sistema tributario, in primis l’Irpef). Prendendo a riferimento le entrate totali registrate dallo Stato nel 2017, pari a quasi 554 miliardi di euro, si tratta di un aumento di entrata nominale da 33 a 39 miliardi l’anno. Nei conti della Bce, questa entrata sarebbe sufficiente a pagare l’inevitabile aumento dell’esborso per pagare i maggiori interessi del debito pubblico, lasciando un qualche margine, assai limitato, per le altre politiche di sviluppo. Sempre che la spesa pubblica corrente al netto degli interessi non aumenti, altrimenti addio margine per politiche di crescita.

Ma, appunto, questo scenario di maggiore crescita, accompagnato dalla contemporanea riduzione del quantitative easing, e quindi dall’aumento dei tassi di interesse, è realizzato solo in parte. E uno scrollone dei tassi sarebbe un problema serissimo per i Paesi ad alto debito pubblico.

Cosa potrebbe avvenire è solo nelle ipotesi, ma non è da escludere che la tensione oggettiva che si creerebbe tra i Paesi a basso e medio debito – e a crescita più robusta – e quelli ad alto debito a crescita più stentata possa portare a far deflaglare l’euro in maniera disordinata, producendo una situazione di caos con caduta del Pil, tensioni sociali. Fino alla medicina più sbagliata di sempre, il protezionismo, che a quel punto potrebbe far deflagrare non solo l’Eurozona, ma anche la stessa Unione. Perdendo i benefici che la crescente libertà di circolazione di merci, persone e capitali ha prodotto negli scorsi decenni, aumentando i livelli di benessere economico e sociale. Sarebbe il ritorno agli anni post prima guerra mondiale, davvero da non augurarsi. Sarebbero anni, decenni, di forte impoverimento, tensioni sociali interne ai Paesi e tensioni tra i Paesi del Vecchio continente. Un demone che i nostri figli non meritano di avere in regalo.

Ma di tutto questo in campagna elettorale non si parla. Si pensa al carnevale. Davvero la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. E lo Stellone italiano da anni ormai non c’è più.

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