di Goffredo Adinolfi.

L’Italia sta vivendo per la terza volta nel giro di poco più di due decenni una sorta di rivoluzione partitica. La prima, come è noto, nel 1994 quando, sulla scia del collasso degli equilibri della prima repubblica, Silvio Berlusconi riuscì a portare a vincere la coalizione di partiti di centro-destra.  La seconda, nel 2013, quando il MoVimento 5 Stelle, capitalizzando il malcontento dilagante, risulta essere la forza più votata. In entrambi i casi, quello di Forza Italia e quello dell’M5S, era convinzione comune che il fenomeno dovesse essere passeggero. Infine la terza rivoluzione: quella della Lega salviniana.
Paradossi, perché la Lega Nord è in realtà uno dei partiti più antichi nel sistema politico italiano, eppure si fa fatica a considerare il partito che fu di Umberto Bossi, la stessa cosa di quello di Salvini. I tempi sono decisamente cambiati e, partendo dall’est Europa, passando per gli Stati Uniti, sul mondo spira un vento isolazionista, o, per dirla con un termine corrente, sovranista.
Lo scontento dell’opinione pubblica italiana si sviluppa su varie dimensioni: disoccupazione, fiducia nel futuro, fiducia nei confronti delle élite e, chiaramente, diffidenza nei confronti dell’immigrazione. Riuscire a fare di uno di questi temi la questione in cui i cittadini possano identificarsi o quantomeno obbligarli a discutere e schierarsi su uno di questi temi vuol dire riuscire ad ottenere ampi consensi.  
Occorre tuttavia aprire una parentesi. Pierre Bourdieu ricorda come l’opinione pubblica in sé non esista, cioè è sempre una costruzione o atto performativo come direbbe Michael Saward. Questo vuol dire che esiste un triangolo che mutuamente si influenza formato da media, rappresentanti e rappresentati. Detto questo, vale la pena anche sottolineare come la xenofobia sia solo una punta di un iceberg dietro al quale si celano fenomeni più complessi.

Sebbene lo studio di questi dati sia ancora a un livello molto embrionale, si può dire che  coloro che ritengono l’immigrazione un fenomeno che “rende il mio paese un posto migliore” hanno più fiducia nel prossimo in generale, siano più felici, maggiormente interessati alla politica, si informino di più su internet, partecipano alla vita politica, si vedono con gli amici e votano. Insomma esiste un insieme di fattori che lasciano pensare come in una scala da un lato ci sia un cittadino attivo, inserito in una rete di relazioni e dall’altra una persona perlopiù isolata e, conseguenza di questo isolamento, diffidente. Nulla di molto nuovo certo, ne aveva già parlato il sociologo francese Pierre Rosanvallon in un libro dal titolo eloquente: “Controdemocrazia. La politica nell’era della sfiducia”.
Torniamo quindi alla rivoluzione ‘Lega’ un partito che, con le scorse elezioni politiche è passato dall’essere a impronta regionale, concentrata nel nord Italia,  a nazionale, moltiplicando esponenzialmente la sua forza che, ferma al 4% alle politiche del 2013, è cresciuta al 17% in quelle del 2018 e che si attesta oggi secondo alcuni  sondaggi, intorno al 32% superando nettamente l’alleato di governo il MoVimento 5 Stelle.
Salvini indubbiamente ha grandi capacità mediatiche e gioca agevolmente sul suo terreno (grazie anche a un sapiente uso dei social network) riuscendo ad aggregare il voto della destra (ma non solo), quadrante politico dove è maggiore la diffidenza nei confronti degli immigrati. In questo senso, data la sua natura mista destra sinistra, i 5 Stelle, oscillanti ed ambigui, sono in difficoltà, con parte dell’elettorato contrario e parte favorevole agli immigrati.

Per capire quindi il successo di Salvini basta capire quella che era la posizione degli italiani relativamente agli immigrati appena lo scorso anno, subito dopo il referendum costituzionale del dicembre del 2016. In forma molto più o meno intensa gli elettori di tutti i partiti ritengono che  “gli immigrati siano troppi”, (nella figura 2 il quadrante di sinistra dal grigio intenso al grigio chiaro, il bianco segna il punto intermedio). Certo gli assi destra sinistra hanno certamente un valore orientativo per gli elettori, ma l’aver fatto della xenofobia il punto centrale ha effettivamente pagato soprattutto nella lotta per l’egemonia a destra, con un successo al di sopra delle aspettative anche a sinistra.
L’immigrazione non è tuttavia l’unico punto di contatto tra pentastellati e leghisti. Gli elettorati 5 Stelle/Lega, due partiti sicuramente molto differenti, ma le cui appartenenze alle famiglie politiche europee sono, se pur in gruppi differenti, schierate nel campo sovranista, si sovrappongono anche per quel che riguarda la posizione di sfiducia nei confronti dell’Euro e in generale dell’Europa.

In conclusione Salvini ha saputo sbaragliare il campo populista, in modo probabilmente inaspettato a quanto potessero immaginare i grillini. Ha saputo cioè imporre il suo gioco, nel suo campo con una sua agenda politica diventando il punto principale di aggregazione di chi, semplificando, non si fida più, una sfiducia che, spiega Ronsanvallon, è alla base della crisi del sistema democratico/liberale. Non è infatti superfluo fare notare che la partita avrebbe potuto giocarsi su altri temi che ugualmente stanno a cuore agli italiani: povertà, pensioni, disoccupazione, stato sociale, etc. La Lega nazionalista e sovranista, silenziando, almeno apparentemente, anche se non definitivamente, la tematica dell’autonomia delle regioni del nord, è riuscita a diventare un partito votato in tutta la penisola. Così facendo è riuscito a conquistare l’egemonia a destra e a recuperare parte dei voti perduti nei confronti dell’M5S nelle elezioni del 2013.

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