di Roberto Bertoni.

Scrivo quest'analisi in concomitanza con il quarantesimo anniversario dell'elezione di Pertini al Quirinale, l'8 luglio 1978: altri tempi, un'altra stagione della politica, non meno drammatica, anzi forse di più, di quella odierna ma caratterizzata da uomini di ben altra levatura.  
Pertini e il suo coraggio, Pertini e le sue battaglie, Pertini il presidente partigiano che divenne un grande amico di papa Wojtyla, Pertini e gli anni del terrorismo e delle stragi, Pertini e l'assassinio di Guido Rossa, Pertini e la strage di Bologna, fino alla morte improvvisa di Berlinguer che, di fatto, chiuse la sua presidenza nel peggiore dei modi. Pertini, il presidente più amato dagli italiani, il più popolare, capace di rendersi protagonista di esultanze sfrenate e sincere ai Mondiali di Spagna e di giocare una partita a scopone con Causio, Zoff e Bearzot sul volo di ritorno in Italia. Pertini, la verace sincerità di un galantuomo come, purtroppo, non ne nascono più.
Ho voluto iniziare quest'articolo ricordando il primo socialista al Quirinale, se non altro per trovare un po' di conforto al cospetto della miserabile politica contemporanea.
Ne scrivo quasi a fatica, spesso con rabbia, altre volte con frustrazione e disincanto. Ne scrivo per lavoro e perché io, nonostante tutto, senza politica non riesco a stare, anche se il più delle volte mi domando perché non mi decida ad occuparmi unicamente di sport, specie in questa fase in cui la mia Juventus sembra essere davvero scatenata.
Ne scrivo per un antico senso del dovere e per dare una mano: ai lettori e alla sinistra. I primi affinché abbiano un quadro più chiaro di quanto sta accadendo e possano arricchirmi con il valore aggiunto dei loro commenti e delle loro riflessioni, la seconda perché possa sentirsi un po' meno sola in un momento in cui si parla addirittura di estinzione della medesima.
La sinistra esiste in natura, pertanto resisterà anche a questa durissima prova; tutt'è capire come e quanto ci vorrà perché torni non dico in auge ma, quanto meno, in vita. Al momento, spiace dirlo, la sinistra non c'è: alle elezioni affonda e nel ventre della società si sono diffuse mefitiche idee di estrema destra che rischiano di condurre il nostro Paese fuori dal novero delle nazioni civili.
Ci sarebbe il PD, che non è più di sinistra da parecchio tempo e che oltretutto è tenuto in ostaggio da un perdente seriale che sabato, all'assemblea del partito, si è permesso di usare toni e modi che hanno finito con lo sconcertare persino il mite Gentiloni. Inutile girarci intorno: stiamo parlando di Renzi. Inutile girarci intorno: finché quel partito sarà egemonizzato da lui e dai suoi sostenitori, i quali senza di lui, in molti casi, non brillerebbero di luce propria nemmeno sotto ai riflettori dell'Olimpico, non avrà un domani. E dubitiamo che possa resistere fino al congresso, previsto per il marzo del prossimo anno, in quanto nel frattempo si saranno consumate tutte le tensioni, le lacerazioni e le fratture possibili e immaginabili, con la probabile conseguenza di un'implosione del suddetto.
Se Zingaretti aspira davvero a guidare e rilanciare il PD deve, pertanto, pretendere che il congresso si svolga entro l'anno, mettendo in discussione non solo la figura di Renzi ma il renzismo nel suo insieme: opere e omissioni, riforma costituzionale compresa, e diciamo che non gioca proprio a suo favore il fatto di aver votato dichiaratamente SÌ al referendum. Tralasciamo anche questo dettaglio, tralasciamo l'operato, non certo esaltante, del governo Gentiloni e di Gentiloni medesimo, tralasciamo il fatto che lo stesso Minniti, oggi fra i più accesi oppositori di Renzi, benché fedele alla sua natura schiva e taciturna, come ministro degli Interni abbia spalancato un'autostrada alla destra, tralasciamo tutto questo e diciamo che è giunto il momento di ricostruire insieme. No, da questi personaggi, piacciano o meno, non si può prescindere, e tutto ci si può permettere tranne che nuove divisioni in un campo già devastato dalle scissioni degli ultimi anni. Ben venga, dunque, una ricomposizione del PD non renziano e di Articolo Uno, ben venga anche un'eventuale partecipazione di Sinistra Italiana di Fratoianni (Civati, dal canto suo, ha gia fatto sapere, per interposta Brignone, che i compagni di Possibile rimarranno fedeli al motto "meno siamo, meglio stiamo", condannandosi autonomamente all'estinzione), ben venga persino un dialogo sempre più serrato con quella parte del mondo grillino che non ne può più delle sparate di Salvini ed è visibilmente in sofferenza all'interno di questo governo, ma un punto è essenziale: sciogliere tutto. PD e LeU sono due soggetti inutilizzabili, il M5S lo sta per diventare. LeU si è presentato alle elezioni dello scorso 4 marzo come una sorta di PD buono e di ponte verso una ricostruzione del centrosinistra per quanti proprio non ne potevano più di Renzi e del renzismo: un progetto nobile e necessario ma in sé minoritario, le cui effettive ambizioni sono state accolte con benevolenza da quella ristretta cerchia di italiani che, oltre ad avere un livello culturale e di benessere superiore alla media, considera la politica una parte essenziale della propria vita. Il M5S ormai si è trasformato in un soggetto governista, dopo aver isolato gli scapigliati alla Fico e tutta la sua ala sinistra, in alcuni casi cacciandola proprio (vedasi alla voce Pizzarotti), quindi non ha più quasi nulla dello spirito originario e, meno che mai, l'intenzione di rinverdirlo. Quanto al PD, sono venuti meno i tre pilastri sui quali si fondava alla nascita: il ceto medio riflessivo, il bipolarismo e il sistema maggioritario. In un contesto caratterizzato dalla proletarizzazione del ceto medio, dal ritorno al proporzionale e dal multipolarismo, il PD semplicemente non può esistere né ha la forza culturale e ideologica per esplorare nuove strade. A tal riguardo, constatiamo con sconcerto come gli ultimi dieci anni siano andati perduti, specie se si considera che della stessa Forza Italia, Tajani o non Tajani, ormai sono rimaste poco più che le spoglie.
L'ipotesi più probabile è che, entro la prossima primavera, i forzisti più scaltri si dirigano verso Salvini, quelli più legati alle aziende restino nel partito bonsai a guida Tajani e puntino ad un seggio al Parlamento europeo, i renziani vadano en marche con un loro partitello ispirato ai miti di cartapesta Blair e Macron, entrambi ampiamente fallimentari e falliti (ma non glielo dite, altrimenti si arrabbiano!), la gauche (Civati, Fratoianni, Potere al Popolo ecc.) si riunisca sotto le insegne del duo De Magistris-Varoufakis e i vari Speranza, Zingaretti, Cuperlo ma anche Gentiloni e altri ancora si riuniscano in una versione aggiornata del progetto ulivista. Una scomposizione totale del quadro politico che potrebbe essere ancora più vasta in caso di elezioni anticipate: un'ipptesi non improbabile, considerando la foga di Salvini e il declino dei 5 Stelle.
Al che, ci permettiamo di consigliare al presidente della Regione Lazio di lasciar perdere il proposito ai limiti del masochismo di rifondare il PD e di spendere le proprie notevoli energie al servizio della ricostruzione del centrosinistra. Perché di un'opposizione c'è più che mai bisogno, dotata di una visione del mondo alternativa al sovranismo e di una concezione della politica che non contempli in alcun modo il populismo sciatto e sguaiato che stiamo vedendo all'opera non solo in Italia.
C'è bisogno di un nuovo pensiero, di una nuova idea di società, di una visione dell'Europa che non sia strumentale e acritica ma radicalmente diversa rispetto a quella che impera in questa stagione; c'è bisogno di un nuovo vocabolario, di una nuova concezione dello stare insieme, di un'apertura mentale che finora non si è vista e di una capacità di rinnovarsi e di andare oltre se stessi che non ha nulla a che spartire con la rottamazione e altre frasi fatte, prive di senso e foriere di innumerevoli danni. In caso contrario, Salvini potrebbe durare non dico trent'anni ma comunque un tempo sufficiente per smontare il Paese e costruire un'Italia che nulla ha a che vedere con quella che è la sua natura e con quelli che sono, storicamente, i suoi valori.

 

Condividi