di Roberto Bertoni

Molto si è parlato e molto ancora si parlerà della mitica unità della sinistra: un valore fondamentale, per il quale io stesso mi sono battuto in passato e per il quale mi batterei anche oggi, se solo fosse vero o, quanto meno, credibile.
Unità si diceva. Quando sento questa parola, mi viene in mente lo splendido giornale fondato da Antonio Gramsci, al fine di strutturare un partito costretto, all'epoca, a vivere e ad agire in condizioni disperate, con l'intento di farne un "intellettuale collettivo" nonché un motore di conoscenza, di sapere, di sviluppo e di azione politica concreta nell'interesse dei ceti sociali più umili. Sappiamo bene come andata a finire questa storia quasi secolare.
Unità si diceva. Quando sento questa parola, mi vengono in mente questi quattro anni di renzismo spinto all'estremo, le riforme, o, per meglio dire, le controriforme, che esso ha prodotto e i toni, i modi, i comportamenti e il trattamento riservato di continuo agli avversari interni ed esterni.
Unità si diceva. Quando sento questa parola, mi viene in mente la Lepolda dell'anno scorso, con il "Fuori! Fuori!" rivolto all'indirizzo dell'allora minoranza bersaniana; per non parlare poi dell'infelice paragone del gettone nell'iPhone rivolto all'indirizzo di Susanna Camusso e della CGIL (Leopolda 2014) nonché del trattamento riservato a insegnanti, precari, lavoratori a Partita IVA e altre categorie devastate dalla crisi e costrette a fare i conti con un potere padronale che non era mai stato così marcato e sostenuto dall'alto.
Unità di diceva. Quando sento questa parola, mi vengono in mente i toni usati dai vari mazzieri disseminati nelle testate vicine al segretario del PD e in tutti i talk televisivi per attaccare e aggredire verbalmente chiunque si azzardi a far notare loro che questa legislatura è stata un fallimento totale, la peggiore della storia repubblicana e, probabilmente, quella che ha posto fine per un lungo periodo alla stagione del centrosinistra.
Unità, dunque, ma su cosa? Con quali presupposti, per fare che, per rivolgersi a chi, per occuparsi di quali problemi, per offrire quali soluzioni? Sono le domande che analisti e commentatori continuano a non porsi, così come non si sono domandati, se non molto superficialmente, per quale motivo oltre l'80 per cento dei giovani abbia votato NO al referendum dello scorso 4 dicembre e per quale motivo il PD esista e venga votato, ormai, solo nei primi municipi, nei quartieri bene e da coloro che hanno qualcosa da difendere, ossia una percentuale sempre più esigua della popolazione, sprofondando, invece, a percentuali risibili fra coloro che non ne possono più e si sono visti travolti da un clima di incertezza che rende loro impossibile compiere qualsiasi progetto per il futuro.
Unità, certo, ma se l'ambasciatore è Fassino, con tutto il rispetto, non partiamo proprio benissimo, trattandosi sì dell'ex segretario dei DS ma anche, e direi soprattutto, di uno dei dirigenti che ha maggiormente sostenuto e condiviso le scelte di Renzi sulle quali persino il mite avvocato Pisapia ha chiesto più volte una marcata discontinuità.
Unità, già: dev'essere per questo che Renzi ha dapprima fatto saltare i due referendum promossi dalla CGIL su voucher e appalti e poi fatto approvare a colpi di fiducia, tanto alla Camera quanto al Senato, una pessima legge elettorale come il Rosatellum, a forte rischio di incostituzionalità e favorevole unicamente al centrodestra, palesando pertanto la chiara volontà di rinunciare a qualsivoglia ricomposizione del centrosinistra.
Unità, non c'è che dire, se non fosse che, ancora in questi giorni, la sinistra è stata tacciata di fascismo e sfascismo da alcuni picchiatori da tastiera di area renziana, parlo stavolta di militanti, per aver espresso il proprio sostegno alla candidata grillina al municipio di Ostia, come se la sinistra potesse fare campagna per l'astensione o per un'esponente di Fratelli d'Italia.
Unità, bene, se non fosse che nessuna delle richieste formulate dalla sinistra per votare la Legge di Bilancio e costruire poi una coalizione coesa sia stata accolta; molte, al contrario, sono state irrise e nemmeno su temi cruciali per la dignità umana come lo Ius soli e il biotestamento si sono ancora fatti dei concreti passi avanti, al punto che hanno destato scalpore le nobili affermazioni di papa Francesco sul fine vita e sulla necessità di non eccedere con l'accanimento terapeutico.
Unità contro le destre e i rischi di diciannovismo ormai visibili ad occhio nudo: assolutamente sì, ma davvero un partito che ha lasciato andar via un uomo di legge, da sempre moderato e garbato, come Pietro Grasso può ancora essere considerato un argine al populismo, soprattutto alla luce delle dichiarazioni di fuoco rilasciate da quest'ultimo nel momento in cui ha deciso di compiere un passo così significativo?
Unità, dicevamo, ma persino Laura Boldrini, assai più mite di Grasso nei giudizi relativi al PD, ha spiegato con chiarezza che con il suddetto non sussistono più le condizioni per pensare ad un'alleanza.
Unità, va bene, ma dubito che ci si possa anche solo sedere al tavolo se dall'altra parte siedono alcuni cascami del berlusconismo, purtroppo tornato in auge proprio grazie alle scelte compiute dal segretario del PD, a cominciare dal Parto del Nazareno.
Unità, nulla in contrario, ma lo sanno Renzi, Fassino e i turiferari al seguito che molti elettori di sinistra oggi non voterebbero per un partito di sinistra alleato con il PD neanche se a guidarlo ci fosse Berlinguer?
Unità, d'accordo, ma guai a mettere in dubbio anche un solo aspetto dei disastrosi mille giorni del governo Renzi: da quelle parti, al massimo, si accettano i diversamente concordi.
Unità, in pratica, nella visione di questi signori significa: sostegno incondizionato a Renzi per salvaguardare i privilegi e le rendite di posizione di pochi e al diavolo le masse di disperati, disillusi, arresi e persone che si sentono sole al mondo, le quali, in assenza di una sinistra degna di questo nome, in questi anni si sono rivolte al M5S, prima di decidere di alzare bandiera bianca e non concedere più nessuna possibilità alla politica (cosa che, peraltro, sta già accadendo, come si evince dai dati relativi all'astensione).
Unità: un'altra parola magica che, nel lessico renziano, non significa nulla di nulla, se non una bandierina da sventolare in faccia ai suoi oppositori per provare a convincere i cittadini di essere vittima di chissà quale odio cieco e immotivato.
Unità, e io mi affido ad un pacatissimo scrittore italiano che è stato anche deputato del PD dopo una vita trascorsa a fare il magistrato. Gianrido Carofiglio, qualche anno fa, ha scritto un libro intitolato "La manomissione delle parole" ed a me sembra che questo, in tal senso, sia un caso emblematico, con le parole costrette alla resa, alla perdita di significato, di storia e di valori, come se si trattasse di suoni indistinti e non di uno scrigno di ideali, talvolta in grado di indicare un orizzonte ad una comunità.
Le parole manomesse, la sinistra calpestata, i diritti accantonati e un'arroganza che ormai non ha più confini: questo è il quadro con il quale siamo chiamati a confrontarci nei prossimi anni, a conferma che la strada da percorrere per ricostruire dei rapporti, umani e politici, ormai ridotti ai minimi termini sarà lunga e irta di ostacoli.  
Quanto all'unità, caro Fassino, ripassi la prossima volta, quando magari avrà un leader meno autoreferenziale e con meno responsabilità sulla coscienza da provare a salvare: innanzitutto da se stesso e poi, se non è chiedere troppo, anche dall'irruenza di certi consiglieri che ormai hanno passato il segno.

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