di Maria Pellegrini.

Nel risvolto di copertina del volume «Vita segreta degli antichi romani» di Enrico Benelli (Newton Compton editori, pp. 480, € 9,90) leggiamo: «L'immagine dei romani è da sempre ambivalente. Furono conquistatori, ottimi amministratori, valenti giuristi; il loro esercito era invincibile, il loro diritto immortale e universale. Questi meravigliosi traguardi però andavano di pari passo con miseria e violenza, corruzione, immoralità, follia e lussuria. […] E si tratta di un’ambivalenza che i romani stessi, nella loro letteratura, ci hanno tramandato».

Il libro è un viaggio alla scoperta di quegli aspetti meno conosciuti e talvolta meno virtuosi della vita di un popolo che dal primo stanziamento sui colli di Roma costruì un impero. Scorrendo l’indice di questo corposo volume possiamo avere un’idea dei temi trattati nelle varie parti in cui è divisa l’opera:

«Dei vizi e delle virtù»: i valori e i disvalori della società romana, i costumi degli antenati, l’ampia diffusione della prostituzione femminile e maschile

«L’arte della politica»: la distribuzione dei poteri delle varie magistrature, le leggi agrarie, il ricorso alla violenza nella lotta politica, l’appropriazione indebita di beni altrui

«Delle facce di bronzo»: la doppiezza nello schierarsi politicamente su fronti opposti ed avere due piedi in due staffe.

«Dell’altra metà del cielo»: la nobile arte della politica esercitata dalle donne.

«Dell’occulto e del mistero»: celebrazioni religiose, iniziatiche, i culti orientali e le divinità straniere.

«Della famiglia imperiale»: la vita e le imprese di Augusto e degli altri imperatori a lui succeduti sino ad Adriano.

«Degli adulatori e delle male lingue»: il pettegolezzo come forma di storia.

«Di miscellanea e varietà»: i ladri, i banditi, i pirati, i movimenti di opposizione al potere.

«Epilogo, Il romanzo della strada»: informazioni sui diversi modi di vivere dei romani e la differenza tra ricchi e poveri.

«Appendice»: alcune vicende della storia romana narrate attraverso le parole di storici e scrittori romani.

I numerosi argomenti qui anticipati sono trattati con un’indagine attenta e documentata con la citazione delle fonti storiche di riferimento, fonti sempre di primaria importanza perché la narrazione non vuole essere divulgativa, ma dettagliata il più possibile per «mettere il lettore nella condizione di poter riflettere su alcuni singoli punti della storia del mondo romano». L’analisi attenta delle fonti permette di constatare che esse riportano il punto di vista di chi scrive, mai neutro, ma sempre carico della propria interpretazione.

Le vicende storiche e politiche romane furono spesso giudicate in base alle loro motivazioni morali come giustizia e magnanimità, o immorali come cupidigia, avidità. Le vicende quotidiane di persone comuni, non le grandi gesta esemplari nel bene e nel male degli uomini di potere - che rivestivano funzioni pubbliche di varia importanza, funzionari, politici, fino agli uomini della corte degli imperatori - sono ricordate da migliaia di testimonianze in modo veritiero e sono tali che ognuno di noi potrebbe riconoscervi certe azioni di malaffare riguardanti il nostro tempo: l’aggressione di ladri durante il cammino nelle strade di giorno e di notte, i furti in casa, i raggiri di furbi giovinastri a scapito di ingenui padri di famiglia o episodi di criminalità comune.

A partire dal secondo secolo a.C. con l’espansione territoriale, la società romana subì profondi sconvolgimenti: il contatto con la civiltà greca introdusse usanze provenienti dall’Oriente e di conseguenza una decadenza dei valori morali su cui si fondava la Repubblica. Gli ambienti più conservatori si scagliarono contro le culture extra-romane, accusate di corruzione, di indecenza, di immoralità e di abbandono del “mos maiorum”, “il costume degli avi”. Le relazioni omosessuali, chiamate il vizio greco, si diffusero rapidamente, del resto l’amore fra individui dello stesso sesso era presente anche nella mitologia: frequenti erano i rapporti tra divinità di sesso maschile e giovani mortali, tanto per fare un esempio l’amore fra Giove e il giovane Ganimede.

Per frenare questo diffondersi di sessualità “deviata” i consoli romani promulgarono (149 a.C.) la “Lex Scatinia”: nel rapporto omosessuale tra un adulto e un giovinetto (un “puer”) libero, l’adulto era condannato a una sanzione pecuniaria, nessuna punizione se il “puer” fosse uno schiavo, mentre nel rapporto tra due uomini adulti liberi la sanzione pecuniaria era per colui che assumesse il ruolo passivo nell’atto sessuale. L’etica romana dunque non condannava che due uomini avessero rapporti sessuali, veniva disapprovato il ruolo passivo; in quello attivo si identificava la virilità del maschio.

Un caso del tutto a parte, pur così lontano dall’idea di moralità, è l’ampia diffusione della prostituzione nel mondo romano che inizialmente la considerava legittima perché la merce in vendita nei lupanari era offerta per lo più da schiave considerate di condizione infima, non protette dalla legge, poi si istituì un registro ufficiale di prostitute di professione, alcune delle quali operavano anche in luoghi meno squallidi riservati ai ricchi. In seguito alla grande diffusione della prostituzione si pensò di regolarizzarla anche tramite l’introduzione di una tassa il cui introito fu sempre considerevole.

Augusto promulgò una legge che puniva l’adulterio, ma le donne compirono un atto di disobbedienza civile: poiché la legge non valeva per le prostitute, alcune matrone andarono a iscriversi all’albo in cui queste erano registrate per non essere punite in caso di adulterio. Anche per l’uomo che avesse rapporti sessuali con una donna sposata, non se fosse una prostituta, erano previste pesanti punizioni, anche corporali, ma non sempre furono applicate. L’idea che il sesso fosse un fatto privato era troppo radicata per essere cancellata con una imposizione.

Sulla prostituzione femminile abbiamo numerose testimonianze: era comunemente accettata e perfino in età cristiana alcuni padri della Chiesa, tra i quali Agostino, la consideravano un male necessario perché serviva ad evitare mali maggiori come l’adulterio.

Minori informazioni abbiamo sull’attività dei prostituti, in genere soggetti giovani in offerta a clienti maschili. Fu praticata e sopportata anche in età cristiana sotto Costantino purché non ci fosse un adescamento in pubblico. Con Teodosio nel 390, la prostituzione maschile fu vietata, sotto pena del rogo.

Molti sono gli argomenti sui quali porre la nostra attenzione, ma ne citeremo solo alcuni lasciando al lettore il piacere della lettura. Interessante il capitolo sulla famiglia di Ottaviano Augusto che inizia con le prime parole delle “Res gestae divi Augusti” (Le imprese del divino Augusto), la più lunga iscrizione bronzea e murale del mondo antico, riprodotta per esplicita volontà di Augusto davanti l’Ara pacis a Roma, e nelle città di Apollonia, Antiochia, Ankara. È stata definita un auto-encomiastico documento della sua politica, un manifesto del suo regime.

In sintesi, le “Res gestae” sono l’affermazione ed esaltazione del potere dell'imperatore Augusto in quanto rifondatore di Roma, e perciò nuovo Romolo, e padre della patria: una patria che doveva essere ricomposta partendo dalle fondamenta o piuttosto dai frantumi rimasti dopo un secolo di ininterrotte guerre civili, oltre che dalla sotterranea metamorfosi dell’ordinamento costituzionale, giacché la repubblica tradizionale, secondo l’impietosa definizione riportata da Svetonio nella “Vita dei Cesari”, era ridotta a essere «un nome senza corpo né forma», Le “Res gestae” sono dunque, anzitutto, fuori di ogni definizione giuridica, la documentazione di un potere personale carismatico.

Trattando di malelingue e pettegolezzi, Benelli esamina il problema della difficoltà di ricostruire la storia reale liberandola dalle notizie false circolanti all’epoca che pur avendo una qualche forma di verità possono essere considerate pettegolezzi, notizie basate su voci infondate che circolavano nelle città. Ad esempio si riporta il caso dell’imperatore Commodo la cui storia «basata sul pettegolezzo ha dato un’immagine probabilmente molto fuorviante, che ha certamente poco a che fare con ciò che chiamiamo “storia”».

Quando Marco Aurelio morì gli successe il figlio Commodo, che si rivelò nel racconto degli storici l’opposto del padre, considerato modello dell’ottimo imperatore. L’uno, di alta levatura morale, rappresentava gli ideali dell’aristocrazia, l’altro aveva atteggiamenti autocratici e accettava il concetto domizianeo dell’imperatore-dio, ma allo stesso tempo mostrava l’inclinazione a partecipare ai giochi gladiatori graditi al popolo. Accolto con favore dai sudditi, subito deluse le aspettative mostrandosi perverso e crudele. Benelli considera frutto di illazioni non veritiere e «indimostrabili le voci su un suo intervento per abbreviare le sofferenze del padre gravemente ammalato» essendo già Commodo associato all’impero e impegnato insieme all’imperatore nelle campagne contro alcune tribù germaniche. Morto il padre, giovanissimo, all’età di 19 anni, egli prese il potere. Seguendo l’esempio del padre si mostrò moderato, ma ciò incoraggiò un colpo di stato organizzato all’interno della sua famiglia. Nella repressione della congiura Commodo si mostrò «imperatore attento e misurato, tutt’altro che il mostro sanguinario che ci presentano gli storici antichi» afferma Benelli. Lo storico Erodiano narra che concluse rapidamente le operazioni militari alle frontiere settentrionali e, raggiunto con i barbari un accordo ritenuto ignominioso, rientrò a Roma, dove si disinteressò degli affari di governo, sperperò le risorse economiche con feste e spettacoli mentre la situazione economica diventava sempre più drammatica e le sue stravaganze indegne di un sovrano. Secondo Erodiano con questi suoi vizi suscitò l’ostilità del Senato e la perdita di consenso dei suoi sostenitori tanto che nel 192 fu ucciso. Il popolo, come succede sempre alla morte dei dittatori si abbandonò a uno sfrenato entusiasmo; seguì la “damnatio memoriae” e il suo nome fu cancellato da tutte le iscrizioni. Ma presto fu riabilitato e la verità sul suo operato tornò ad essere presa in considerazione. Benelli riferisce molti esempi per mostrare azioni e comportamenti che contraddicono quest’immagine così dispregiativa di Commodo e ritiene che la perdita del testo dello storico Cassio Dione relativo agli anni di questo imperatore ha impedito una reale valutazione della sua politica, travisata da tutte le narrazioni riguardanti le sue bizzarrie e il carattere folle e sanguinario.

Tra le numerose pagine dedicate alle figure femminili, che si sono distinte per carattere, capacità di decisioni importanti, la più nota e intrigante è Fulvia, nota soprattutto per essere stata la prima moglie del triumviro Marco Antonio, è una delle donne che più rappresentano la trasformazione in atto negli ultimi decenni del I secolo a.C. per quanto riguarda il comportamento delle matrone romane. È stata descritta dagli storici come una donna trasgressiva che non amava occuparsi della casa e delle tipiche faccende femminili preferendo piuttosto interessarsi alla politica, attivamente e in prima persona. Il suo ritratto, trasmesso dalle fonti letterarie, fu elaborato facendo sempre riferimento alle figure maschili cui era legata. I suoi intrighi politici a favore dei vari mariti (Clodio, Curione, Antonio) avevano lo scopo di favorirli, ma le sue ambizioni personali le attirarono molto odio anche se le critiche dei suoi detrattori erano in gran parte motivate dall’avere occupato uno spazio politico, tradizionalmente chiuso alle donne romane.

L’attività politica di Fulvia in sostegno del terzo marito Antonio, diventò frenetica nelle vicende che precedettero e accompagnarono la guerra di Perugia combattuta dal fratello di Antonio, Lucio, affiancato da Fulvia che seguiva gli interessi di Antonio contro Ottaviano. Cassio Dione e Appiano la ritraggono “cinta di spada” al comando di schiere di soldati intenta a disporre arruolamenti di truppe, ad arringare soldati, ad operare scelte strategiche impartendo disposizioni operative, ed entrando in relazione con gli altri comandanti sul campo. L’interferenza di Fulvia in ambito militare fu ciò che in gran parte determinò la condanna della sua memoria. Fu definita intrigante, arrogante, avida di potere, astuta, tutti aspetti che si riconoscevano positivi se riguardanti gli uomini, negativi per le donne che le si voleva sempre docili e sottomesse. Di lí a poco questa donna appassionata, veemente, determinata, morí in Grecia, dove si era rifugiata dopo la sconfitta nella quale la coalizione contro Ottaviano risultò sconfitta (40 a. C).

Nell’“Appendice” troviamo due preziosi capitoli. In uno sono riportati, in traduzione italiana, brani tratti dagli “Annali” di Tacito riguardanti la tragica fine di Messalina, moglie dell’imperatore Claudio e di Agrippina, madre di Nerone, per segnalare gli intrighi familiari del periodo della gens Giulio-Claudia.

In un altro curioso capitolo «Istruzioni per una campagna elettorale» è presentato un libretto davvero originale intitolato “Opuscoletto per una campagna elettorale”. Cicerone, che era un uomo ambizioso oltre che brillante oratore, filosofo eclettico e uomo politico, aspirava alla più importante delle magistrature, il consolato. Il fratello Quinto scrisse per lui questo manualetto per suggerirgli norme di comportamento per ottenere il consenso degli elettori e consigliare spregiudicate strategie che ne facilitassero l’elezione rovesciando la sfavorevole situazione di partenza di “homo novus” (chi, per primo, nella propria famiglia giungeva alle alte cariche dello stato).

Questo opuscoletto è un’innegabile testimonianza risalente a più di duemila anni fa sul modo di concepire una campagna elettorale i cui metodi per conquistare il consenso e il voto sono gli stessi praticati ai nostri tempi, considerando tuttavia il contesto profondamente diverso.

Benelli nell’«Epilogo» del volume definisce il suo lavoro una lunga galoppata, e in realtà tanti e vari sono gli argomenti sui quali ha posto l’attenzione l’Autore che, alla fine del volume, consiglia letture “per saperne di più”, sia pubblicazioni scientifiche e rigorose, sia di alta divulgazione, sulla storia romana e i numerosi aspetti da lui trattati dei quali qui si è data soltanto una parziale informazione.

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