di Luca Ferrucci.

Un agosto finito e dominato dalle discussioni e contrapposizioni sulle politiche dell’immigrazione. A mio modesto giudizio, l’Italia – da anni – è troppo concentrata sul tema dei disperati che arrivano con i barconi e si dimentica altre dimensioni rilevanti di queste policies. In particolare, una politica dell’immigrazione dovrebbe avere la capacità di intervenire contemporaneamente su quattro pilastri: a. i flussi di immigrati via mare; b. microcriminalità e parassitismo sociale; c. nuovo forme di “schiavitù” e mercato del lavoro; c. progetti per la cooperazione allo sviluppo nell’Africa Sub Sahariana.
1. I flussi di immigrati via mare. E’ indubbio che vi sono predoni che organizzano e fanno soldi con questa tratta di esseri umani disperati provenienti da paesi dell’Africa sub sahariana. Questi predoni non sono tanto le navi delle ONG, senza le quali il mare accoglierebbe solo morti, ma quelle organizzazioni criminali che organizzano viaggi della speranza, ospitano in centri di reclusione e imbarcano appena possibile. Negli ultimi venti anni, per limitare l’arrivo di questi disperati nella sponda nord del Mediterraneo più vicina (ovvero inevitabilmente l’Italia), ci sono state tre strategie: la strategia di Berlusconi che, con i soldi pubblici promessi al regime di Gheddafi (per compensare i danni coloniali subiti!), aveva previsto investimenti in infrastrutture da far realizzare ad imprese italiane in questo paese, in cambio della capacità di questo regime di fermare i disperati al confine libico con i paesi dell’Africa sub sahariana; la strategia di Minniti che, in cambio del sostegno (palese o meno) ai governi libici, questi ultimi trattenevano questi disperati nei campi profughi in Libia; la strategia di Salvini che, senza dare nulla in cambio, blocca l’arrivo di navi ONG nei nostri porti, con il loro carico di disperati, oppure le reindirizza in altri paesi europei. Tre strategie che da sole sono inconsistenti e poco credibili, con il decorrere del tempo, e che non possono fermare l’arrivo dei disperati dell’Africa sub sahariana. Per limitare questo afflusso non basta neppure chiedere una politica europea diffferente… l’Europa in questo periodo è “distratta” da altre cose!. Occorre semmai perseguire anche gli altri tre punti di una policy che provo a sintetizzare;
2. Microcriminalità e parassitismo sociale. La collettività – specie quella residente in alcuni quartieri delle nostre città – da diversi anni manifesta paura e rabbia per comportamenti di microcriminalità (spaccio di stupefacenti, piccoli furti, prostituzione, etc..) nonché di parassitismo sociale (vendita di oggetti senza il rispetto delle regole autorizzatorie, servizi di lavavetri, etc…), tollerati troppo spesso dalle istituzioni pubbliche e qualche volta legittimati anche da forme di assistenzialismo generalizzato. Non che questi fenomeni siano riconducibili solo agli extra comunitari ma, comunque, questi soggetti talvolta, anche per la mancanza di altre opportunità di vita ma non solo, entrano a far parte di questi “mondi” di microcriminalità. Per superare ciò, vi è bisogno di risorse e capacità di intervento su diversi temi, dall’applicazione di sanzioni giuridiche rapide ed efficaci (senza necessariamente fare leggi sulla legittima difesa che aggraverebbero il problema) sino ai lavori socialmente utili per arrivare alle policy per l’inclusione nelle scuole;
3. Nuove forme di “schiavitù” e mercato del lavoro. Non si può ammettere che vi sia un mercato del lavoro, visibile a tutti, fondato sullo sfruttamento, senza il rispetto delle regole giuridiche, in alcuni settori dell’economia. Imprenditori piccoli, spesso italiani, che sfruttano le condizioni di indigenza di questi immigrati, senza contrattualizzarli, in settori quali l’edilizia, l’agricoltura e altro ancora. Inasprire le sanzioni e applicarle sino in fondo per evitare che l’Italia mostri un dualismo nel mercato del lavoro tra taluni che sono protetti e tutelati e altri (spesso extra comunitari, ma anche purtroppo italiani) che devono soggiacere alle regole illegali dello sfruttamento e dei bassi salari;
4. Progetti per la cooperazione allo sviluppo nell’Africa sub sahariana. Per limitare i flussi di immigrati da queste aree ci vuole una risposta efficace in questi luoghi, grazie a progetti di sviluppo sociale, economico e culturale. Negli anni Ottanta, grazie alle battaglie di radicali, di una sinistra riformista e di cattolici sociali, queste linee di intervento erano state tentate, magari con risultati altalenanti. Si tratta di esperienze dalle quali ripartire e che possono costituire anche opportunità di lavoro e di crescita per il nostro paese. Nell’Africa sub sahariana, con risorse che dovrebbero essere messe in campo da istituzioni internazionali (ONU, Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale, etc..) si potrebbero sviluppare progetti per la gestione e il trattamento dei rifiuti e per la salvaguardia dell’ambiente, per la gestione delle strutture ospedaliere, per la creazione di filiere agro-alimentari e così via. Imprese italiane potrebbero lavorare in questi paesi, traendone vantaggi economici e attivando scambi di risorse umane, finanziarie, di merci e di risorse naturali. Insomma, un mondo di scambi multilaterali che non lascia solo alla Cina o ad altri grandi investitori internazionali (come gli arabi), le opportunità presenti in questi paesi ma che da anche all’Italia – e non solo all’Europa in senso lato – la possibilità di guardare all’Africa sub sahariana come ad un’area che cresce, in senso demografico ed economico, e non solo ad un’area dalla quale arrivano solo disperati via mare.
Ogni e qualsiasi politica dell’immigrazione che si limita al punto 1 (limitare i flussi di immigrati via mare) è parziale e distorsiva, nonché “distruttiva” di un’idea di Europa inclusiva, coesa e proiettata su scala internazionale. Ovverosia, la cosa peggiore che potrà accadere ai nostri figli e nipoti.

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