Ormai la consapevolezza è piena: siamo di fronte a una nuova, vera rivoluzione industriale, destinata, come le precedenti, ad avere un impatto profondo sulle persone, l’economia e l’intera società. Non è la prima volta che una rivoluzione tecnologica cambia la storia dell’uomo: si parla infatti di quarta rivoluzione indutriale.

Tuttavia, per comprendere appieno e poi affrontare le sfide che ci aspettano, non è sufficiente rifarsi alla storia e alle precedenti esperienze anche recenti nelle rivoluzioni industriali del passato, automatizzare i lavori e i processi significava prevalentemente sostituire le mansioni ripetitive svolte dall’uomo con macchine più efficienti che aumentavano la produttività. In questo modo si creava ricchezza togliendo alle persone attività operative spesso sgradite.

La trasformazione nei contenuti e nei modi di lavorare, inoltre, avveniva in tempi sufficientemente lunghi per permettere alla “mano invisibile” del mercato di agire, trasformando l’aumento di ricchezza in nuovi bisogni e, conseguentemente, in nuovi lavori e professionalità. Così nelle prime tre rivoluzioni industriali l’occupazione si è gradualmente spostata dall’agricoltura verso l’industria, e successivamente verso i servizi, continuando a creare nuova ricchezza e permettendo a un numero sempre crescente di persone di uscire dalla povertà. Un passaggio che ha fatto emergere una middle class sempre più istruita e benestante, capace di fare da collante sociale e da spinta all’affermazione della democrazia.

La Quarta Rivoluzione Industriale tuttavia si discosta sensibilmente da quelle precedenti, essenzialmente per tre ordini di ragioni.

Il ritmo incalzante ed esponenziale dell’innovazione non dà ai lavoratori il tempo di adattare le proprie competenze né consente di creare nuovi bisogni e professionalità. Ne deriva innanzitutto un saldo negativo dell’occupazione: il numero di posti che si perdono che superano di gran lunga quelli che si vengono a creare. E in secondo luogo uno “spiazzamento” delle competenze: i lavoratori che perdono il proprio impiego non sono in grado di svolgere le nuove professioni di cui nel frattempo è nata l’esigenza, mentre i sistemi educativi faticano a produrre le nuove competenze con la velocità richiesta.

Vengono sostituite non solo e non tanto le mansioni ripetitive, ma anche e soprattutto i lavori “di concetto”, andando a colpire proprio quella middle class e quei settori di terziario che erano stati avvantaggiati dalle precedenti rivoluzioni industriali. Si pensi, ad esempio, all’uso dei Big Data, cioè all’analisi automatica dei dati per interpretare e prevedere fenomeni e comportamenti, o alla multicanalità nelle banche o nel retail, dove è in atto una progressiva sostituzione di filiali e negozi fisici (e quindi di addetti e commessi) con sportelli automatizzati e canali online di eCommerce.

La magnitudo dell’aumento di produttività fa sì che una parte sempre minore della ricchezza creata si traduca in reddito per i lavoratori. Tale ricchezza si va concentrando in un numero sempre più limitato di “super ricchi” a detrimento della classe media, che non è più in grado di generare quei nuovi bisogni che nelle precedenti rivoluzioni industriali erano alla base dalla creazione di nuovi prodotti e servizi e quindi di occupazione e benessere sociale. La rivoluzione industriale che stiamo vivendo dunque, benché entusiasmante e in grado di creare ricchezza quanto o forse più delle altre, è però diversa. Pensare di affrontarla facendo riferimento all’esperienza delle precedenti è quanto mai illusorio e pericoloso.

Servono misure nuove e urgenti, in grado di dare risposta a quel crescente senso di ansia e disagio che già oggi è alla base di fenomeni a livello politico estremamente preoccupanti, come l’acuirsi dei populismi e dei neo nazionalismi, conseguenza della crescente rabbia delle classi medie e basse, che sfogano la loro paura verso il futuro in una crescente intolleranza verso l’altro e il diverso.Le Caratteristiche peculiari ed estreme di velocità, pervasività e profondità dell’impatto della Digital Transformation nella quarta rivoluzione industriale impongono risposte specifiche e proattive a livello di persone, ma soprattutto dello stato e delle imprese.

I lavoratori sono le prime persone a dover essere inserite in un programma di formazione e nel continuo aggiornamento delle proprie competenze digitali, anche e soprattutto in considerazione del lavoro che svolgono. Questo è fondamentale per non lasciarsi cogliere impreparati dai cambiamenti che riguardano il proprio lavoro e che, a causa della trasformazione digitale, saranno sempre più veloci.
Le imprese, a loro volta, devono tradurre la propria strategia costruendo dei piani di sviluppo delle risorse e dei profili professionali che permettano di cogliere al meglio le opportunità e gestire le sfide poste dalla trasformazione digitale. Questo significa lavorare costantemente all’individuazione delle competenze necessarie per operare, strutturando dei piani di sviluppo delle risorse.

Per fare questo occorre mettere al centro i lavoratori, sviluppare strategie e creare, attraverso strumenti digitali e iniziative di ripensamento dei processi, organizzazioni che siano flessibili e resilienti al cambiamento.

Lo Stato, attraverso le sue istituzioni, è chiamato ad accompagnare il cambiamento favorendo la crescita di nuova occupazione, senza quegli elementi di precarietà che mortificano il lavoratore, e investendo sull’educazione. In uno scenario in cui la tecnologia non solo sostituisce i lavoratori, ma se correttamente progettata, è in grado di affiancarsi a questi ultimi, potenziandone i talenti e le capacità, il ruolo del pubblico si rivela essenziale per supportare, indirizzare e catalizzare il cambiamento e ridurre drasticamente il tempo del lavoro.

È ora anche di ridistribuire la ricchezza, questo enorme aumento della produttività, causata in primo luogo da questa rivoluzione digitale non può essere rapita solo da una piccola élite.

A duecento anni dalla nascita di Carlo Marx, è ancora attuale parlare di pluslavoro e di pluvalore. Oggi più che mai nel pieno di trasformazioni radicali della società ancora determinate dal capitalismo.

Le condizioni sono diverse, ma l’analisi fatta del capitalismo dal filosofo di Triviri è ancora valida.

Attilio Gambacorta
Associazione Culturale Umbrialeft

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