Perugia sta vivendo un periodo decadente.

Non ha più lo slancio di un tempo, non riesce più ad essere un esempio di progresso come lo è stato per molti decenni.

Il connubio fra cultura (patrimonio artistico, storia, università) e le sue tradizioni popolari, la politica, il sindacalismo e le associazionismo, che riusciva a tenere unito un tessuto sociale dalla forte identità radicata e radicale, si è vaporizzato.

Non c’è dubbio che questo connubio, dove il PCI faceva da catalizzatore e dove la famiglia rappresentava l’istituto sociale che permetteva al partito una sua riconosciuta egemonia, è stato per decenni un esempio ed un modello per tutta la Nazione. Era un’identificazione forte della classe lavoratrici che veniva tramandata di generazione in generazione, alimentando automaticamente un consenso e un sistema che si autorigeneravano e si trasformavano al tempo stesso. Un cambiamento progressivo, di miglioramento sociale, culturale ed economico, nel rispetto della tradizione. Uno Welfare innovativo, punto di riferimento per i cittadini di tutte le estrazioni sociali.

Anche il comparto industriale rappresentava un elemento di novità e di innovazione. La Perugina a Perugia e le acciaierie a Terni erano l’asse economico sul quale poneva le basi l’economia Umbra, sviluppando un indotto che dava occupazione a migliaia e migliaia di lavoratori. Ma oltre al comparto dolciario e quello metallurgico, la nostra regione e la nostra città potevano contare su quello tessile anch’esso in uno sviluppo continuo e progressivo. La Spagnoli, l’Ellesse, erano solo due realtà alle quali ne seguivano tante altre che producevano ed offrivano occupazione. In un sistema economico dove la parte del reddito da capitale che ricadeva su quello da lavoro era il 70%, i diritti dei lavoratori erano garantiti, il salario adeguato all’inflazione e la produttività aumentava. La rete dei servizi commerciali integrata con il tessuto urbano che contribuiva in modo significativo alla vita sociale della città, dove il centro storico era il punto vitale.

A mio avviso i grandi eventi storici (il crollo dell’Unione Sovietica, la fine del PCI) hanno determinato prima la crisi e poi la fine di un modello di cui oggi si sente la mancanza.

L’URSS, della quale certamente non possiamo sentirne la mancanza, contribuiva comunque ad alimentare, in Italia e nel mondo, la visione di un sistema socio-economico alternativo a quello capitalistico. Il PCI, la cui politica non può essere schiacciata su quella della ex seconda potenza mondiale (di questo ne parla oggettivamente la storia), rappresentava un modello di società, “un paese nel paese”, come lo definì un grande intellettuale come Pier Paolo Pasolini.

Il crollo del “Muro di Berlino” e la fine di tutte le Repubbliche Popolari dell’Est Europeo, furono prese a pretesto per chiudere anche la storia del PCI, a mio parere in modo affrettato, antistorico, senza comprendere le drammatiche conseguenze che ne sarebbero scaturite.

I partiti che sono nati dopo tale scioglimento (PDS, DS e PD), non hanno saputo ricreare le condizioni sociali che il PCI era invece riuscito ad organizzare ed esserne, in senso gramsciano, l’intellettuale collettivo.

Le istanze che tenevano uniti il tessuto sociale; quali le sezioni, i circoli ARCI, il sindacato; non esistono più o sono ormai realtà evanescenti. Dagli anni ’90, quindi, le giovani generazioni sono cresciuti senza punti di riferimento, non comprendendo o, nel migliore dei casi considerando nostalgico e retorico, se non noioso, il racconto di un tempo che fu delle generazioni precedenti.

Oltre a ciò l’affermazione, netta e totale, di un neoliberismo globale e imperante ha fatto il resto: disgregazione sociale con una periferia urbana evanescente e a tratti al limite dell’umanità; un centro depauperato di tutta una rete di servizi, siano essi culturali, commerciali o del settore terziario; la nascita di centri commerciali decentralizzati caratterizzati da vere e proprie città virtuali diventati centri di aggregazione del nulla e del superfluo dove dilaga il disimpegno ed il qualunquismo; crisi culturale; azzeramento dei diritti; ristringimento degli spazi democratici.

Un’economia fondata sulla massimizzazione dei profitti attraverso una forte precarizzazione del lavoro, una diminuzione dei posti di lavoro; lo stato, e così il comune, considerati alla stregua di un’impresa attenta ad aumentare le entrate e diminuire le spese, senza considerare che una cosa è fare impresa un’altra fare società.

Ma questo sistema non potrà durare a lungo. Genera squilibri, aumenta le diseguaglianze, la povertà. Degrada il territorio, rende irriconoscibili città ricche di storia e di cultura, di tradizioni, come la nostra amata, bellissima Perugia.

Perugia ha quindi bisogno di essere riprogettata globalmente. E si può ripensare partendo dal suo patrimonio artistico (il museo etrusco, San Pietro, San Domenico, San Francesco al prato, la Cattedrale di San Lorenzo); dalla sua Storia (la Perugia etrusca, romana, paolina, Borgo XX giugno); dalla bellezza del suo territorio (Montemalbe, parco Lacugnano) che va tutelato e ripulito; dalla sua storica Università.

Ma abbiamo bisogno anche di un nuovo Welfare municipale: asili nido (oggi solo il 18% dei bambini può avere accesso ad un asilo nido comunale); sostegno alle famiglie in difficoltà attraverso l’istituzione di un fondo di solidarietà (per famiglia intendo ogni coppia di fatto, sia essa etero che non e anche mono); di un piano di recupero abitativo nel centro storico (sono numerosi i siti urbani vuoti che possono essere restaurati), per riportare le persone fisiche a vivere il centro e renderlo di nuovo vivo, non potendo aggredire ulteriormente il territorio con nuove costruzioni.

È necessario, inoltre, ripensare la periferia urbana: scuole, librerie, centri di aggregazione giovanili per unire un tessuto sociale oggi disgregato e conflittuale. Solo così possiamo parlare di sicurezza, volta prioritariamente all’educazione civica e non all’autodifesa, spesso ingiustificata e comunque incivile.

Dobbiamo valorizzare le sue storiche frazioni, mettere in comune una città e tutto il suo territorio, dove i cittadini tornano ad essere protagonisti del proprio futuro e dove le istituzioni non vengano più considerate una cosa distante da loro stessi, spesso altra cosa.

Dobbiamo fare sistema ed ognuno di noi ha un ruolo da protagonista.

Attilio Gambacorta
Associazione Culturale Umbrialeft

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