di Roberto Bertoni.

Nel trentacinquesimo anniversario degli assassinii di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, peraltro abbinati, per una curiosa ma significativa coincidenza, alla settantesima ricorrenza della strage di Portella della Ginestra, non sorprende la decisione di Articolo Uno di presentarsi in forma autonoma alle imminenti Regionali siciliane.
Così come lo scorso 4 dicembre non si trattava di decidere se e quanto ci fosse simpatico Matteo Renzi ma di pronunciarsi in merito ad una riforma costituzionale con un amaro retrogusto di torsione in senso autoritario della democrazia, infatti, allo stesso modo il prossimo 5 novembre i siciliani non sono chiamati a confermare o a "mandare a casa" il segretario del PD bensì a decidere a quale progetto politico affidare il futuro dell'isola per i successivi cinque anni.
Spiace, dunque, per alcuni autorevoli commentatori che ravvisano nella decisione dei bersaniani una sorta di pervicace ostinazione nel far perdere il PD per contrastarne la leadership legittimamente scelta da oltre un milione di cittadini lo scorso 30 aprile. Non è questa la ragione del distacco tra le due forze politiche: nessun desiderio di vendetta, nessun odio, nessun rancore pregresso, nulla di tutto ciò. Da parte di Articolo Uno c'è stata un'unica precisa richiesta, sulla quale un tempo sembrava essere d'accordo anche il ben più dialogante Pisapia: no ad accordi con Alfano, ossia l'ex delfino di Berlusconi, il ministro della Giustizia del famigerato lodo poi dichiarato incostituzionale dalla Consulta, il ministro dell'Interno del caso Shalabayeva, il ministro degli Esteri che non sta riuscendo minimamente a incidere nella delicata questione dei flussi migratori nonché il leader di una compagine la cui classe dirigente siciliana è, stando a ciò che asserisce Claudio Fava, vice-presidente della Commissione Antimafia, in un'intervista rilasciata a Repubblica, "al limite del Codice penale".
Non sta, ovviamente, a noi emettere sentenze né giudicare la rettitudine morale di chicchessia, ma una cosa ci sentiamo di poterla asserire senza pena di essere smentiti: il sistema di potere cuffariano, di cui Alfano è stato per anni un sostenitore al pari di altri cospicui segmenti del centrodestra, oltre a non essere proprio un modello da seguire dal punto di vista etico, non ha nulla a che spartire con l'idea di ricostruire un centrosinistra coeso e dotato di un'autorevole cultura di governo.
Pertanto, se il PD, non da oggi, per mano del suo segretario e dei suoi maggiorenti locali, ha scelto di seguire la strada del potere per il potere, affidandosi senza colpo ferire ad una sorta di milazzismo 2.0 che mira ad assorbire pezzi interi di quel potere che per tanti anni abbiamo combattuto e di cui abbiamo denunciato le più che discutibili modalità amministrative, non è con Articolo Uno che bisogna prendersela per via dell'inevitabile rottura.
Perché va bene il realismo politico, va bene il rifiuto del settarismo, va bene l'intento di fare fronte comune per contrastare l'ascesa di una destra a trazione lepenista e di un M5S le cui prove di governo locale finora non sono state propriamente esaltanti, va bene tutto, ma la negazione della storia, della memoria, della tradizione, dei princìpi e degli ideali su cui si fonda la nostra ragione di esistere no, questo non è accettabile.
Se oltretutto la scelta dovesse cadere sul già menzionato Claudio Fava, figlio di quel Pippo Fava fondatore e direttore della rivista "I Siciliani", assassinato da Cosa Nostra a causa delle sue puntuali denunce delle infiltrazioni politiche e degli affari luridi della medesima, quella che gli analisti più malevoli hanno già definito una candidatura di bandiera potrebbe trasformarsi, invece, in una candidatura dal grande valore simbolico, in grado di restituire non solo un minimo d'orgoglio ma anche un senso d'appartenenza ad un popolo stremato da anni di politiche sbagliate e di eccessivo sostegno ad un partito la cui deriva era ormai da tempo irreversibile.
Se Pisapia dovesse commettere l'errore di accettare un'alleanza del genere, totalmente innaturale e nemmeno giustificata dalle pur discutibili ragioni che indussero Macaluso, sul finire degli anni Cinquanta, a sostenere Salvo Milazzo in una coalizione che andava dal PCI al MSI, metterebbe a repentaglio anche la prospettiva di un accordo nazionale in vista delle Politiche, con la probabile conseguenza di spianare la strada alla vittoria dei 5 Stelle, come sempre abili nell'approfittare dei cedimenti e delle débâcle altrui. Il fatto che a sinistra ci sia ancora qualcuno che non ha alzato bandiera bianca è, per molti di noi, motivo di conforto.

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