di Roberto Bertoni

"Ma non gli è bastata a Bersani l'esperienza drammatica del 2013? Ma non si è ancora stancato di essere preso a pesci in faccia da quei bifolchi dei grillini?" Sono due fra le domande più ricorrenti non solo fra i renziani incalliti, sulle cui bacheche Facebook e sui cui account Twitter si possono leggere ormai toni non poi così dissimili da quelli utilizzati, per l'appunto, da certi grillini e da certi leghisti, meloniani e poundiani, bensì anche fra analisti e commentatori che leggo con piacere e verso cui nutro una sincera stima.
No, evidentemente Bersani non si è ancora stancato. E se non si è ancora stancato è perché stiamo parlando di un politico che, al netto degli errori compiuti negli ultimi anni, quando si muove, non pensa solo a se stesso e alla propria carriera ma anche al bene e all'interesse della propria comunità e del Paese. Una "rara avis," insomma, in questa stagione di urla, insulti e carrierismi variamente assortiti.
Se insiste, dunque, è perché Bersani ha capito, non da oggi, ciò che altri purtroppo ancora si rifiutano di comprendere o, in alcuni casi, di accettare. Che piaccia o no, infatti, il M5S è nato a sinistra, in un luogo da sempre simbolo della sinistra come piazza Maggiore a Bologna e, successivamente, si è espanso in città anch'esse piuttosto rosse come Torino e Genova. Ed è nato portando avanti delle istanze di legalità, giustizia sociale, dignità della persona, tutela del lavoro, libertà dell'informazione e molte altre ancora sulle quali la sinistra, soprattutto durante il secondo governo Prodi, è stata manchevole, per non dire assente o, peggio ancora, contigua al sistema di potere berlusconiano. Del resto, se buona parte di questa sedicente sinistra è poi sfociata nel renzismo e nell'esaltazione acritica delle larghe intese e del Partito della Nazione, significa che quel fuoco covava sotto la cenere da parecchio tempo e che il celebre discorso di Violante alla Camera nel 2002 non era affatto un caso isolato (essendo oltretutto Violante l'allora capogruppo dei DS).
La verità è che la sinistra italiana, per vent'anni, è stata subalterna non solo all'egemonia culturale liberista del duo Reagan-Thatcher ma anche a quella di Berlusconi, finendo col berlusconizzarsi strada facendo. A resistere a questa malefica tentazione sono stati in pochi: fra questi, sicuramente Bersani.
Per questo, Grillo attacca all'arma bianca, dando ordine ai suoi fedelissimi, comprese purtroppo alcune persone serie e stimabili, di fare altrettanto.
L'ex comico genovese, infatti, sa benissimo che, se Bersani e i suoi fossero rimasti a fare la minoranza di Renzi nel PD, come auspicato da una serie di acuti osservatori, dentro e fuori al partito, per il M5S sarebbe stata una passeggiata. Con Bersani e i suoi finalmente fuori dalla gabbia piddina, dunque liberi di esprimersi e di tornare a compiere battaglie di sinistra come quella legata all'articolo 18, ai diritti e alla dignità dei lavoratori e molte altre ancora, ecco che, invece, il M5S si trova costretto a fare i conti con un avversario temibile.
Se a ciò aggiungiamo che il probabile candidato della sinistra di Speranza, Civati e Fratoianni sarà l'attuale presidente del Senato, nella testa di Grillo scatta l'allarme rosso.
Perché con i toscani lambiti da scandali di varia natura, da Etruria a Consip, e di fatto azzoppati dalla disfatta referendaria dello scorso 4 dicembre, era fin troppo semplice conquistare voti di sinistra, rispolverando la questione morale di Berlinguer e prosciugando il bacino di consensi, già in grave secca, di un Partito Democratico che, dal 2014 in poi, ha subito solo sconfitte.
Con il giudice a latere del maxiprocesso, nonché colui che redasse materialmente la sentenza che ha fatto condannare a pene detentive durissime fior di esponenti di Cosa Nostra, diciamo che la questione morale è un argomento di cui il Movimento non si potrà appropriare, così come non se ne è potuto appropriare in Sicilia nei confronti di Claudio Fava.
Grillo, in poche parole, ha capito che una sinistra che dovesse tornare a svolgere il proprio mestiere lo metterebbe in grandi ambasce, anche perché lo costringerebbe a rivedere la propria strategia, stretto come si ritroverebbe tra i due fuochi di una destra nuovamente competitiva (sconfessione della linea destroide di Di Maio e Davide Casaleggio) e di una sinistra nuovamente viva e dotata di un'anima e di un progetto credibile (crollo dell'idea secondo destra e sinistra ormai non esistono più).
Senza contare che, per quanto Di Maio tenderà a portare in Parlamento le figure a lui più vicine, al pari di Renzi, Berlusconi e Salvini, nel M5S c'è una forte componente di sinistra che, dopo le elezioni, tornerà a farsi sentire, forse arrivando addirittura a mettere in discussione la linea conservatrice che l'Andreotti grillino ha dettato negli ultimi mesi.
Se poi dovessero crearsi le condizioni per dar vita ad un governo tra 5 Stelle e sinistra (un'ipotesi difficile ma non irrealizzabile), quanti sarebbero, secondo voi, i parlamentari grillini, a cominciare dallo stesso Di Maio, disposti a perdere un'occasione storica e irripetibile pur di mantenere un'insulsa purezza settaria?
Non ci dimentichiamo che già una volta, nel marzo del 2013, proprio proponendo Grasso alla guida del Senato, Bersani riuscì a mettere in crisi la linea talebana dei vertici del M5S, inducendo l'ala più ragionevole di loro a preferirlo a Schifani e ad accantonare, almeno per un istante, la linea del "sono tutti uguali".
Non a caso, per impedire a Bersani di dar vita ad un governo sfidante e di effettivo cambiamento, dovettero mettersi in moto i centoventi-centotrenta franchi tiratori piddini che, nel segreto dell'urna, impallinarono Prodi pur di favorire il prosieguo delle larghe intese con Berlusconi, sotto l'ala protettrice di Napolitano. Una barbarie dalla quale Bersani si è illuso troppo a lungo di poter uscire, capendo troppo tardi che non c'era perdono per quella notte e che da un abisso di cattiveria, irresponsabilità e cinismo di quel genere non fosse possibile liberarsi, se non, come si è visto in questi mesi, con una salutare divisione dagli artefici di quella e di tante altre vergogne conseguenti.
Non è questo, tuttavia, il momento di tirare le somme: nei prossimi mesi assisteremo ad una campagna elettorale orribile, nella quale i toni tenderanno ad alzarsi sempre di più. È un minuto dopo il voto, di fronte ad una riedizione di Renzusconi o alla possibilità di un vero governo del cambiamento, che si parrà la nobilitate dei vari protagonisti del nostro quadro politico. Pertanto, Bersani fa bene a insistere, a tessere la propria tela e a compiere gesti importanti come quello di sostenere pubblicamente, al ballottaggio, la candidata del M5S nel difficile municipio di Ostia, specie se si considera che dall'altra parte c'è un'esponente di Fratelli d'Italia e che l'astensione, stavolta più che mai, oltre a non servire a niente, costituirebbe davvero una resa inaccettabile al disincanto nonché un favore involontario a coloro che tirano le fila, nei modi che abbiamo visto all'opera questa settimana, da quelle parti.
Quando la propaganda da due soldi avrà esaurito la propria stagione, insomma, sarà chiaro a molti, compresi molti di coloro che oggi, in buona fede e con argomenti tutt'altro che meschini, mettono in dubbio la validità di quest'analisi, che il M5S non è affatto un monolite e che sfidarlo apertamente, e con il dovuto rispetto, è il miglior modo per contribuire a svelenire la politica, riconoscendo oltretutto i doverosi meriti di una compagine senza la quale CasaPound sarebbe già a due cifre su scala nazionale.

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