Opinioni a confronto      

di Giuseppe Mattioli

 

In questi giorni di grave crisi pandemica, e di notevoli difficoltà economiche, si è riaperta la questione del debito pubblico e, in particolare, l’utilizzo dei fondi del MES, con il partito Democratico favorevole e i 5 Stelle contrari.

È ovvio che per contenere il disagio economico di numerose categorie sociali il governo sia costretto a stanziare fondi notevoli, sopra cento miliardi di euro, che vanno ad aumentare il disavanzo. statale. Tutto in attesa dell’arrivo, dall’Unione Europea, dei 208 miliardi del Recovery Plan: 127 miliardi sotto forma di prestiti, 81miliardi come sovvenzioni.

Facendo le debite considerazioni, i tempi e le situazioni oggettive diverse,bisogna ricordare che la grave crisi economico-finanziaria del 1929, iniziata negli Stati Uniti d'America, che sconvolse l'economia mondiale dalla fine degli anni venti, fino a buona parte del decennio successivo, con devastanti ripercussioni sociali e politiche, fu affrontata dal presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt nel 1932,quando presentò il patto agli americani, il New Deal, il quale non s’inspirava a una precisa dottrina economico-politica, ma all'interno di quel programma c’erano degli importanti punti fermi:

1. La decisione di affrontare la crisi tramite l'intervento dello Stato; e quindi l’aumento del debito pubblico.

2. L'impegno a dirigere le attività economiche e a mediare i contrasti di classe per dimostrare la compatibilità tra sistema capitalistico e regime democratico.

 

Con quell’operazione riuscì a risollevare le sorti dell’economia e a trarre dalla miseria milioni di cittadini.

Oggi molti concittadini si chiedono fino a che punto quella del nostro governo sia una politica giusta per il paese e quale segno porta.

Per quanto riguarda le opinioni di Mieli, le tralascerei del tutto, poiché sono condizionate dal colore evidente dell’attuale gestione Rai.

Mettiamo a confronto alcune idee:

 

IL DEBITO E' DI DESTRA O DI SINISTRA

di Leonardo Caponi

Stamattina sul Corriere della Sera il celebrato ex direttore Paolo Mieli, in un polpettone che si sarebbe potuto sintetizzare in poche frasi, ha sostenuto che l'aumento del debito pubblico non è keynesiano, ne è la negazione e quindi, arguisco io, non è di sinistra. Alcuni compagni sostengono che la sinistra non dovrebbe preoccuparsi dell'espansione del debito poiché il rigorismo finanziario è la politica della destra. E' una discussione di grande interesse in questo momento nel quale il nostro Paese si sta indebitando per i prossimi secoli (è un modo di dire, ma poi non tanto) e prevedibilmente, alla fine della pandemia, all'esplosione della questione sociale, anzi come componente di essa, si sommerà l'inizio della via crucis della restituzione del debito. Si tratterà, tra debito italiano e prestiti europei di circa 320 miliardi, più di un terzo del bilancio del nostro Paese al netto degli interessi. Il rapporto debito Pil (che, tanto per memoria, negli originari accordi di Maastricht avrebbe dovuto essere del 60%) salirà dall'attuale 130% a toccare o superare il 160.

Alla fine degli anni '90 il debito italiano era sceso sensibilmente segnando saldi primari che, poi, si sono mantenuti anche per quasi tutti gli esercizi dell'ultimo ventennio, a seguito dei draconiani tagli alla spesa sociale, a cominciare dalla sanità e degli investimenti pubblici. Poi però il debito ha cominciato a risalire ben prima della pandemia. Quale ne è stata la causa? Una che nessuno, o quasi nell'Italia liberista, vi dirà mai: c'è stato un gigantesco trasferimento di risorse dello stato (quindi dai contribuenti) ai mercati finanziari, alla speculazione e ai trasferimenti di capitale in Italia e all'estero. Questo è accaduto per molte vie a cominciare da un sistema fiscale che drena risorse dai "poveri" ai ricchi (essendo pagato per il 70% dai lavoratori dipendenti e per il 30% dagli autonomi a parità di reddito complessivo), per andare alle agevolazioni finanziarie per le transazioni di capitali, i cambi di valuta, per proseguire con la tolleranza dei paradisi fiscali e con l'intervento diretto dello stato a sostegno di grandi gruppi e dei loro affari. Non vi fate ingannare dall'immagine ipocritamente pietosa di un'Italia tutta in crisi. In un quadro difficile c'è un paradiso degli intoccabili, di quel 8% della famiglie italiane che detiene il 50% della ricchezza nazionale che, mai come oggi (guardate i listini di borsa o le notizie sulle mega operazioni fusioni incorso), fanno affari.

Per tornare al punto; debito di destra o di sinistra? Io la penso così e, se fossi al governo, lo farei. Primo, si potrebbe e si dovrebbe limitare il ricorso al debito attraverso una imposizione patrimoniale ragionevole, che chieda al mondo dell'impresa e dei ricchi di concorrere ad uno sforzo di solidarietà verso il Paese. Secondo fare debito (più nostro che europeo) realizzando contestualmente una riforma fiscale che ristabilisca i rapporti tra chi paga e non paga le tasse e non carichi, come accadrebbe oggi, l'ammortamento quasi esclusivamente sul lavoro dipendente.

Fabiano Coletti

 Su facebook risponde all’articolo di Caponi:

Il problema principale non è creare nuovo debito, ovviamente con limiti, ma predisporre azioni che potenzino la capacità economica del paese per rimettere questo debito. È questo che purtroppo non avviene.

Rino Fruttini

Da posizioni di destra, invece, pone l’accento che ciò che occorre è aumentare la produttività che significa la quantità di prodotto realizzata nell’unità di tempo da un’Unità di Lavoro.

Solo con il recupero di uno standard di produttività, tale da rendere competitiva nei mercati la nostra offerta di merci e servizi, potremo rendere il trend del PIL su una dinamica tale, da superare lo sfavorevole rapporto iniziale fra debito e PIL.

 

Il confronto resta aperto.

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