di Roberto Bertoni.

Sarà che si avvicina il quindicesimo anniversario della scomparsa di Giorgio Gaber ma torna, più attuale che mai, la sua celebre riflessione dedicata a Berlusconi: "Non temo Berlusconi in sé: temo Berlusconi in me".
Ebbene, io non temo Luigi Di Maio in sé né mi preoccupa minimamente il fatto che si sia candidato alla guida del Paese, in quanto so benissimo che non arriveranno al 40 per cento, dunque non potranno governare da soli, dunque probabilmente non governeranno mai, Di Maio o non Di Maio. Io temo Di Maio e il dimaismo in me, in noi, nel tessuto sociale di questo povero Paese che, per dirla con Giampaolo Pansa, si trova davvero sull'orlo di una guerra civile strisciante.
Mi preoccupo ogni volta che qualcuno si sorprende per il fatto che il Di Maio medesimo si sia potuto candidare alle solitarie del suo partito nonostante un'indagine a Genova per diffamazione, in quanto ciò dimostra che gli aspetti più beceri del grillismo hanno già attecchito nella nostra società e che ormai anche una multa per divieto di sosta può stroncare una carriera, con buona pace di Beccaria e dei sacri princìpi del garantismo.
Mi preoccupo quando vedo che nessuno si indigna per delle primarie farsa, le solitarie per l'appunto, in cui un candidato stranoto e stramediatico è chiamato a correre con una senatrice, Elena Fattori, candidatasi unicamente per ragioni di bandiera, e con altri sei illustri sconosciuti, tra cui un fruttariano, a dimostrazione di quanto sia stato tutto già ampiamente deciso negli uffici della Casaleggio Associati.
Mi preoccupo quando vedo che illustri editorialisti si scagliano contro la democrazia diretta da una S.r.l. milanese ma non battono ciglio al cospetto delle renziarie del PD, dell'autoproclamazione a candidato premier di Salvini e dell'eterno ritorno del sempre uguale, ossia di quel Berlusconi che abbiamo combattuto per vent'anni ma che oggi ci vien quasi voglia di acclamare come una sorta di salvatore della Patria.
Mi preoccupo perché mi rendo conto che non ce lo possiamo più permettere il proporzionale, ossia la democrazia vera, rappresentativa, in linea con i dettami della Costituzione, in quanto non abbiamo neanche capito le ragioni del sacrosanto NO dello scorso 4 dicembre, non abbiamo più come faro i valori dei padri costituenti, non sappiamo più neanche cosa siano i partiti, cosa voglia dire militare in un partito, cosa sia una discussione interna in cui si confrontano differenti visioni del mondo, sia pur all'interno del medesimo impianto ideologico; e come non lo sappiamo più noi, non lo sanno più neanche molti di coloro che sono chiamati a raccontare la politica, i quali, non a caso, avallano qualunque oscenità anti-costituzionale e continuano a spacciare per democrazia un suo surrogato, non trovando nulla da ridire sul fatto che qualcuno, a seconda di chi è al governo e di chi è all'opposizione, si ostini a pretendere di poter governare da solo pur avendo poco più del 20 per cento dei consensi effettivi.
Mi preoccupo perché ormai nessuno rivendica più come imprescindibile il rispetto della storia, delle tradizioni e di chi ha speso la propria stessa vita per costruire le fondamenta del nostro Paese.
Mi preoccupo perché ormai gli insulti nei confronti di chiunque osi dissentire, sia esso un giornalista, un avversario interno o anche solo un intellettuale, magari persino simpatizzante, che però non accetta di mandare il cervello all'ammasso e diventare acritico, stanno diventando una costante della politica italiana.
Mi preoccupo perché questa politica vuota, questa classe dirigente complessivamente incapace di discutere, priva di una visione, di un'idea, di un pensiero e persino di un sogno, di una speranza e di un'ambizione che non sia unicamente personale sta andando allegramente a sbattere a trecento all'ora contro un muro, ignara delle conseguenze che saremo costretti a subire noi cittadini.
Mi preoccupo perché a nessuno sembra importare nulla della siccità e dei cambiamenti climatici che pure stanno mettendo a repentaglio le nostre vite e le nostre città, così come a nessuno o quasi importa il sostanziale fallimento del modello Rayanair, il quale di fatto scrive l'epitaffio sulla tomba del liberismo arrembante che ci ha avvelenato per oltre trent'anni.
Mi preoccupo perché vedo una società culturalmente disarmata e una politica culturalmente inesistente al cospetto di un passaggio epocale, paragonabile per intensità e complessità a quello che un secolo fa ci condusse nel baratro di una guerra mondiale e a tutto ciò che poi ne è conseguito.
Mi preoccupo, in poche parole, perché ormai abbiamo definitivamente decretato che per occuparsi di politica non occorrono competenze, passione e qualità umane nettamente superiori alla media: basta entrare nelle grazie di un capo autolegittimatosi con procedure più che discutibili e il resto vien da sé.
Pertanto sì, la distopia grillina, nata dieci anni fa a Bologna con alcuni intenti finanche commendevoli, ha già vinto, al netto di come andranno le prossime elezioni, sancendo l'inutilità delle stesse per mancanza di alternative credibili.

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