di Maria Pellegrini.

“Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, «Sono uomo, e nulla di ciò che è umano considero a me estraneo»: è una frase di Terenzio, commediografo romando del II sec. a.C., pronunciata da uno dei due anziani protagonisti della commedia “Heautontimorùmenos”, “Il punitore di se stesso”. Cremete, uno dei due padri personaggi della commedia, di fronte al silenzio e alla sofferenza di un altro padre, si offre di aiutarlo e chiede il motivo del suo dolore, ma quello respinge bruscamente il dialogo e risponde irato: «Perché ti occupi dei fatti degli altri e di quello che non ti riguarda?» Con fierezza l’amico risponde con la frase sopra citata, divenuta proverbiale e assunta a simbolo dell’“humanitas” di Terenzio: ciò che riguarda il prossimo deve interessare tutti noi, legati dalla naturale e comune condizione di essere uomini. È il segno caratteristico della società nuova che Terenzio porta sulla scena affermando la fraternità universale secondo i princìpi della filosofia stoica. Il monito di Terenzio attraversa i secoli, è un invito a raggiungere un più alto grado di umanità e arriva attualissimo a noi che viviamo in un tempo caratterizzato da ingiustizie economiche e sociali, sentimenti xenofobi, egocentrismo, indifferenza verso chi soffre.

È appena uscito un libro di Maria Velia Lorenzi “La musica nelle parole”, con sottotitolo “Cronaca di un’arteterapia” (Ed. Carmignani pp. 200, €. 15,00) che sembra rispondere al monito del commediografo latino. Il testo affronta il problema del disagio di tanti malati psichici ai quale si cerca di dare aiuto attraverso l’ascolto e la scrittura. L’Autrice, all’interno dell’Associazione “L’Alba” -che si occupa di integrazione psico-sociale delle persone che soffrono o hanno sofferto di un disagio psichico o psicologico - conduce da quasi vent’anni un laboratorio “Esprimersi scrivendo” per far luce nell’intimo di chi vive nel buio del disagio psichico paragonabile a un muro invalicabile. «Spesso sono muri angoscianti i nostri muri psichici - scrive nella magistrale Introduzione, Annibale Fanali, psichiatra e psicoterapeuta - il ‘muro’ è un confine rigido, che separa i mondi e li rende incomunicabili […] ma può essere connotato anche positivamente, ha il dono di ‘proteggere l’intimità’ e anche di ‘difenderci dai pericoli’. Ma senza alcuni accorgimenti rischia di isolare, di creare autarchia, di limitare l’autonomia che ha bisogno della relazione per essere veramente tale».

Dove lo spazio è chiuso, muore l’incontro, muore il linguaggio. L’isolamento può difendere come un muro, aiutare a oltrepassarlo è la priorità per Maria Velia Lorenzi. Saper ascoltare un’anima in difficoltà è un atto nobile ma estremamente faticoso; si hanno di fronte persone pervase dal dolore, dall’angoscia, dallo smarrimento. Molte frequentano il suo Laboratorio «per accendere un barlume di luce nella stanza del loro spirito dove qualcosa di terribile ha serrato le finestre». Se un malato nell’anima scrive, si libera dalle passioni, dalle angosce, dall’insicurezza, acquista una maggiore comprensione di sé e del mondo che lo circonda e più facilmente recupera l’equilibrio psichico necessario per riprendere il pieno dominio delle proprie funzioni razionali. La scrittura
è via di guarigione, terapia 
per esplorare i propri limiti. Più di ogni altro rimedio, l’arte, la scrittura, ogni impegno creativo cura, conduce i malati che hanno problemi nella psiche alla fine della loro notte. Lorenzi li aiuta con amorevole affetto, con umanità e sensibilità, senza riserve.

“Conosci te stesso”(γνῶθι σαυτόν), era scritto sul frontone del tempio di Delfi. Socrate fece suo quel motto, era un imperativo etico: ognuno deve ritrovare in sé, nella propria interiorità, le ragioni per vivere in maniera degna. Deve conoscere in primo luogo quello che è, cioè un uomo, per ritrovare l’umanità che è in ognuno di noi. Socrate praticava con i suoi discepoli un dialogo che chiamava “maieutica” (dal greco “arte della levatrice”). Ispirandosi a sua madre, che aiutava le donne a far venire alla luce i figli, sollecitava il discepolo a portare alla luce la verità. La maieutica quindi non è l’arte di insegnare ma l’arte di aiutare. Socrate non inculcava nei suoi discepoli le proprie idee, ma li aiutava a “partorire la loro verità”, a scoprire da se stessi ciò che avrebbe illuminato la loro esistenza e aiutato a orientarsi nella vita, a differenza di quanti volevano imporre il proprio pensiero. Se sul tempio di Delfi era inciso sulla pietra «Conosci te stesso», all’ingresso nel Laboratorio di Lorenzi potrebbe esserci questa esortazione «Scrivi e scopri te stesso».

Ci vuole, tuttavia, una spinta per iniziare, per sentirsi motivati alla scoperta di sé. Maria Velia Lorenzi crede nel valore liberatorio della parola, capace di ridestare l’amore per la vita, e propone nei suoi incontri con i frequentatori del Laboratorio una parola, ogni volta diversa, che può avere molteplici significati anche tra loro opposti: lei stessa prova a indicarne i possibili e molteplici sviluppi e citando Gianni Rodari, paragona la parola, nel momento in cui si pronuncia, «a un sasso gettato in uno specchio d’acqua che genera cerchi in superficie e smuove in profondità», infatti da ogni parola nascono ricordi, immagini, sensazioni. Eventi lontani, rimossi negli abissi della mente tornano in superfice, si liberano, si animano e si arricchiscono di particolari che affiorano miracolosamente mentre si cerca di fissarli su un foglio di carta. Da quando ha iniziato questa sorta di gioco, sono state proposte migliaia di parole, ne sono riportate quarantatré nella sezione “Parole come sassi nello stagno”. Dalla parola altre parole, e pensieri, poesie, per esempio sulla la parola MURO, Maria Velia scrive: « I muri sorgono per difesa, ma guai a non munirli di pertugi, finestre e uscite perché allora lo spazio limitato diventa il luogo da dove non si vede la verità che c’è oltre», Eva, una delle frequentatrici del Laboratorio è spinta a scrivere una poesia. Questo è incipit: «C’è un muro fra me e la mia vita. /Un muro nelle mie sensazioni. /Tra pensiero e azione./Un attimo fa tutto scorreva:/ fare, sentire, amare, gioire./Ogni cosa ora è al di là del muro».

La malattia mentale compromette non solo le relazioni sociali ma anche la capacità stessa di organizzare la comunicazione tra mondo interno e realtà esterna. La scrittura e altre forme di creatività a scopi terapeutici ripristinano la capacità comunicativa. I disabili e i soggetti a mali psichici sono spesso lasciati soli nel silenzio della propria casa dove «il male di vivere si dilata ed esplode». Il laboratorio “Esprimersi scrivendo” accetta e accoglie come normale ciò che la società in genere rifiuta o lascia nel suo isolamento. Il disagio psichico, può portare all’isolamento oppure essere occasione per il paziente di giungere a contatto, pur nella sofferenza, con aspetti del proprio animo. “La musica nelle parole” è un libro prezioso, affronta le sofferenze del vivere, la malattia, ma soprattutto mostra quanto paziente e tenace sia l’impegno e quanto generoso l’aiuto di Maria Velia verso coloro che la solitudine rende fragili, esposti alle lacerazioni, in balia delle difficoltà: figure maschili e femminili con il loro difficile vissuto quotidiano, ove s’intrecciano amore, rabbia, ansia, speranza, paura, fatica, sentimenti che animano anche l’esistenza di ciascun individuo.

Come non condividere il giudizio di Ilario Luperini, critico, storico dell’arte, studioso delle arti contemporanee, che nella Postfazione le dedica parole lusinghiere: «Con quella prosa che le è consueta, ricca e facile, articolata e comprensibile, senza fronzoli e di un’eleganza raffinata, la scrittrice affronta temi complessi e profondi, partendo da una convinzione che a me pare caratterizzarla, in questo come in altri volumi». Ricordiamo allora che Maria Velia Lorenzi è scrittrice e poeta di rara finezza che sorprende per la sobrietà dei toni e la varietà dei temi: dalla personale vita affettiva al destino di ogni umana avventura; dalla bellezza del creato alle ombre dell’esistenza, sempre animata da una limpida forza comunicativa e una vigile coscienza morale e civile.

A chi chiedesse il perché del titolo “Musica nelle parole” rispondiamo con ciò che ha scritto Fanali nell’Introduzione: «Le parole, per la loro intrinseca e multistratificata complessità, tendono a slittare e sovrapporsi, diventano punti e motivi di vibrazione con una loro musicalità, dove si intrecciano risonanze emotive e dissonanze che possono aprire ma anche chiudere, oppure che chiudono aprendo o aprono chiudendo».

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