di Alfonso Gianni - Jobnews.

In diversi si interrogano sulle ragioni della scissione operata da Matteo Renzi e sulla sua tempistica. Alcuni per dire che era una cosa scontata, altri per giudicarla del tutto irrazionale, oltre che avventata nella scelta del momento. Per cercare di comprenderne le ragioni di fondo bisogna forse tornare sull’analisi delle cause della crisi di agosto e dei meccanismi politici che ha innescato.
Da diverse settimane, prima del drammatico 8 agosto, era chiaro ai più che, malgrado tutti gli equilibrismi pensabili e fattibili, la vita della maggioranza pentaleghista era legata a un filo. Talmente esile, per quanto resistente, da potersi spezzare in qualsivoglia momento. Le vere cause e gli agenti autentici di questa rottura sono però diversi e con gradi differenziati di responsabilità. Sarebbe bene cercare di evitare letture semplicistiche, come ad esempio ritenere che la caduta del governo sia stata causata dalle più o meno oscure macchinazioni dei centri di potere economico, finanziario e politico dell’Unione europea.
O, al converso attribuirla solo ad un clamoroso autogol compiuto da Salvini. Entrambi questi due elementi, di ben diverso peso tra loro, entrano a pieno titolo nella vicenda, colgono degli aspetti della realtà, o meglio ne fanno parte, ma né l’uno né l’altro forniscono spiegazioni sufficienti. Oltretutto la tesi del complotto europeo è perfettamente funzionale a santificare la figura di Salvini, e difatti viene direttamente da quest’ultimo usata. Nello stesso tempo quella dell’autoaffondamento del ministro della malavita finisce per velare i movimenti reali che hanno agito a livello economico e politico, interni ed esterni al nostro paese.
Nel tradizionale appuntamento dell’ultimo giorno di maggio, Il Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, imprime alle sue Considerazioni finali, nelle ultimissime righe, un tono aulico e drammatico, per la verità poco usuale e non molto consono al personaggio interventi-governatore› integov2019). Due citazioni fra loro concettualmente combinate chiudono l’esposizione del Governatore: “le parole sono azioni” e “nell’oscurità le parole pesano il doppio”. La prima appartiene a Ludwig Wittgeinstein, la seconda a Elias Canetti, anche se Visco non cita i due autori forse per mettere alla prova le conoscenze altrui e creare così un po’ di pathos. Non è solo un vezzo intellettuale. E’ come se l’uomo volesse sollevarsi dalla triste e arida sequela di dati di cui è infittita la Relazione annuale che misurano inesorabilmente il declino economico e sociale del nostro paese. E porsi su un piano più elevato.
Al contempo il monito per cui “saremmo stati più poveri senza l’Europa; lo diventeremmo se dovessimo farne un avversario” chiarisce che il senso di quelle citazioni costituisce un richiamo educato ma fermo alle troppo facili e roboanti esternazioni dei due vicepremier, in particolare di Salvini, che da sole hanno il potere di innervosire i mercati, come si usa dire, con conseguenze reali e negative sull’andamento dello spread. Il connubio fra filosofia e finanza si risolve quindi in un molto più prosaico richiamo all’ortodossia di Bruxelles. E’ vero, Visco ha anche accennato alla “inadeguatezza della governance economica dell’area dell’euro” emersa in occasione della crisi dei debiti sovrani. Ma chi non lo farebbe oggi, di fronte alle dimostrazioni evidenti di tanta insipienza. Così le critiche alla Ue appaiono di facciata per non dire di routine, mentre il richiamo all’osservanza alle sue indicazioni e a “un’attenta disciplina di bilancio” è la sostanza del messaggio che Visco lancia nel dopo voto europeo che in fondo ha visto contenere l’ondata sovranista e ribadire, pur con qualche smottamento interno, gli equilibri preesistenti. La porta con qualche cigolio resta sui suoi cardini.
Più d’uno intravede nelle parole del Governatore un nesso logico-politico con l’incontro tenutosi una decina di giorni prima sull’alto colle fra Mattarella e Conte, a seguito dell’Assemblea di Confindustria cui entrambi avevano partecipato. Data la riservatezza dell’incontro le agenzie come al solito fanno a gara sulle indiscrezioni in merito al suo contenuto. Non è difficile trarre la conclusione che il capo dello Stato avesse espresso le sue preoccupazioni le preoccupazioni in merito alla tenuta del governo soprattutto in relazione alle scadenze della politica economica e di bilancio.
Una sintonia, quella tra Mattarella e Visco, che riporta in auge il ruolo di Bankitalia come vestale laica delle istituzioni statuali italiane, secondo una tradizione e una considerazione che le più recenti élite politiche hanno del tutto negletto. Allo stesso tempo la Confindustria, per bocca del suo Presidente Vincenzo Boccia aveva orgogliosamente ribadito il suo ruolo autonomo di attore economico politico nel paese, rimarcando distanze dal governo o quantomeno dai suoi atti e comportamenti più recenti. Una relazione percorsa a più riprese dall’imperativo “dobbiamo agire” e dalla delineazione di misure che in molti punti permettono persino di leggere in filigrana quello che sarà il programma in 29 punti dell’attuale governo Conte due o bis che dir si voglia.
Più il protagonismo finanche dissennato e autolesionista di Salvini cresceva, più il Presidente della Repubblica era costretto ad assumere pubbliche e formali posizioni che - pur non travalicando, anzi stando fin troppo entro gli ambiti delle sue alte competenze, vista la tradizionale prudenza riconosciuta all’uomo – segnalavano se non un dissidio a bassa intensità fra il Colle e Palazzo Chigi, per non parlare del Viminale, almeno una crescente diffidenza, Fino alla esplicitazione alle Camere delle osservazioni sul secondo decreto sicurezza.
Nella tarda primavera si è così venuto delineando con maggiore determinazione un fronte che si potrebbe chiamare classicamente borghese, tramite una triangolazione che si appoggia su Confindustria, Bankitalia e ha come sponda istituzionale lo stesso Quirinale. Contemporaneamente iniziava da parte delle rappresentanze dei poteri economici la ricerca per fornire al nostro paese un governo più presentabile e coerente con la governance europea e contemporaneamente di trovare un punto di riferimento politico. Non potendo riconoscerlo, per ragioni diverse, né nel M5stelle, né nel Pd.
Ecco quindi sbucare Renzi con il suo tentativo di costruire una nuova forza politica. L’intento è proprio quello di coprire quel vuoto di rappresentanza che i ceti dominanti denunciano. Al Sole24Ore dichiara subito “Serve un partito del Pil, probusiness e procrescita, un partito che porti alta la bandiera delle riforme e guardi anche ai tanti moderati che non vogliono seguire Forza Italia nell’abbraccio con il sovranista Matteo Salvini.”
Anche la tempistica diventa più chiara. La registrazione del sito di “Italia Viva”, il nome della nuova formazione renziana, avviene proprio il 9 agosto, dopo la rottura dell’alleanza pentaleghista. E si capisce meglio la conversione di Renzi a favore di un governo 5stelle. Il suo intento è evitare le elezioni subito, fare partire un governo, poterlo sostenere come la corda sostiene l’impiccato, secondo la famosa metafora leninista, per guadagnare tempo al fine di ingrossare le proprie fila. Italia Viva parte nei sondaggi con un 3,4%, ma già pochi giorni dopo vi è chi la quota attorno al 5%. Percentuali tolte prevalentemente al Pd. Piovono finanziamenti e comincia anche uno sgretolamento di Forza Italia. Qualcuna dei suoi parlamentari si accasa nella nuova formazione. Ma soprattutto diversi altri, guidati dalla Carfagna, cercano di organizzarsi per premere su un incerto Berlusconi ai fini di abbandonare l’alleanza con Salvini. E’ presto dire come finirà, ma certamente il quadro politico che avevamo di fronte solo qualche giorno fa comincia a sgretolarsi. Sarà interessante seguirne l’evoluzione.

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