di Leonardo Caponi

 Il cumulo di indecisioni, incertezze, contraddizioni che hanno caratterizzato il rapporto di Art 1 Mdp nei confronti del Pd, dopo la separazione da quest’ultimo, trova pochi riscontri nella storia delle scissioni che, numerose in ogni campo, hanno caratterizzato la vita politica italiana. Nonostante la nettezza del gesto compiuto e la radicalità drammatica insita in esso, gli atti politici e parlamentari di Mdp e dei suoi dirigenti, o di una parte di essi, non hanno rispecchiato l’asprezza del distacco e la critica che muovevano al Pd e ai suoi governi, dando l’impressione di viaggiare sul filo di una ambiguità mai del tutto sciolta, come quella di chi ritiene non definitivamente reciso il cordone ombelicale con la casa madre.
   Ora, se una cosa pare oggigiorno fuori discussione è che la gente chiede innanzitutto, ad una forza politica, chiarezza di intenti e contenuti, stanca dei riti della politica politicante e di manovre di palazzo sofisticate, contorte e comprensive solo a chi le fa.
   Il colmo dell’incertezza politica, Mdp o la sua parte forse maggioritaria, l’ha avuto nella discussione sulla ipotesi di alleanza elettorale col Pd. La decisione di costituire con altre forze (Sinistra Italiana e Possibile) una aggregazione alternativa, avente l’ambizione di essere il “quarto polo” della competizione del prossimo anno, non ha corrisposto ad una esclusione esplicita, chiara e netta, inequivocabile si dovrebbe dire, di una alleanza pre o post elettorale col partito guidato da Renzi. Ancora l’altro ieri, partecipando all’assemblea nazionale del movimento, l’on. Bersani, prevedendo una non vittoria di nessuno diceva ai giornalisti che  (testuale) “ci si rivedrà comunque in Parlamento”, come a non escludere, in determinate condizioni, la ripresa di un vecchio amore, alias, se le parole hanno un senso, un ingresso in una maggioranza di governo a guida Pd o comunque la ripresa di un rapporto di collaborazione. Il piccolo particolare al quale il pur onesto e leale Bersani, finge di non prestare attenzione, è che in Parlamento ci andranno (per quanto incoraggiante possa essere il successo di Mdp e soci) due forze con peso politico e numerico diverso e quella più piccola, cioè la sua, ammesso che i suoi alleati ci stiano, si troverebbe a fare da semplice stampella al Pd e, con tutta probabilità, a Renzi.
   La  idea fissa che ha Bersani e parte di Mdp, che il partito debba ritagliarsi uno spazio elettorale muovendo al recupero dell’elettorato che ha abbandonato il Pd perché deluso della politica e dei metodi di gestione renziani e che sia nostalgico di un idealizzato Pd originario e del centro sinistra prodiano, appare, sia detto con tutto il rispetto, illusoria e infondata. Chi se ne è andato non fa distinzione nel Pd tra chi era maggioranza e opposizione. E poi, chi rimpiange quella coalizione che Renzi ha avuto buon gioco ad includere tra i responsabili della crisi e di una vecchia politica che egli si proponeva (illusoriamente come si è visto) di rivoluzionare? E, ancora, chi rimpiange una esperienza politica il cui approdo finale è stato, certamente non a caso, proprio il renzismo, col carico di totale distacco dai valori della sinistra che esso ha imposto? Per dirla chiara, lo spazio per una nuova sinistra, popolare e di massa, si ricava sulla crisi e sulla sconfitta del renzismo e del Pd e su contenuti realistici ma anche radicali, in sintonia con la “rabbia” sociale, senza gli ipocriti allarmi che agitano i Pisapia e i Veltroni  di “aprire a la strada alla destra”, quando i governi di Renzi prima e Gentiloni oggi hanno fatto una politica non dissimile ma, a tratti, paradossalmente, peggiore di quella della destra. La sinistra ora, senza esclusioni e autoesclusioni, deve ripartire dal basso e, con programmi coraggiosi, fare un pezzo di strada per conto suo.

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