di Nicola Mirenzi - HuffPost.

Rossana Rossanda si sente "sconfitta", ma non persa: "Non sono una pecorella di Macron, come alcune di quelle che vedo nel partito socialista francese o, in Italia, nel partito democratico". Scrittrice, giornalista, intellettuale storica della sinistra, Rossanda ha fatto la resistenza da giovanissima e ha militato nel partito comunista italiano, dal quale fu radiata dopo aver fondato il 'Manifesto' insieme a Luigi Pintor, Lucio Magri, Aldo Natoli.

A trentanove anni, il Pci di Palmiro Togliatti la chiamò a dirigere gli intellettuali comunisti: "Arrivai alla politica con la guerra, non attraverso i libri. Ero un'impiegata dell'Enciclopedia Hoepli. Quando cadde Mussolini, non sapevo nemmeno bene cosa fosse il Gran consiglio del fascismo. Ero rimasta nella zona grigia. Né a favore né contro. Del regime avevo avuto un'idea di gigantismo. Invece, si afflosciò senza decenza. Lì cominciai a interrogarmi. Avvicinai il mio professore, Antonio Banfi, e gli dissi: 'Dicono che lei sia comunista'. Mi guardò e rispose: 'Cosa cerca?'. Capì che desideravo una bussola. Prese un foglietto e vi scrisse sopra una lista di libri. C'era anche 'Stato e Rivoluzione' di Lenin. Mi disse: 'Torni quando li avrà letti'. Lo feci e diventai comunista". Oggi Rossanda ha novantatré anni e vive a Parigi.

Ha cominciato con l'essere antifascista.

E vedere che una settimana fa undici milioni di francesi hanno votato per Marine Le Pen mi fa spavento.

Molti di loro sono operai.

Si sono sentiti abbandonati dalla sinistra: avevano riposto troppe speranze sulla volontà e le possibilità reali che Hollande aveva in Europa. Non so se avrebbe potuto realmente difendere l'occupazione senza un accordo per altro improbabile con la Ue. Non sono d'accordo di dargli responsabilità che forse non ha avuto: l'occupazione non l'ha difesa nessuno. Ciò non toglie che votare per Marine Le Pen non mi sembri una scelta accettabile.

Perché?

Perché votandola hanno sparso i semi di uno nuovo partito neo-fascista in uno dei paesi più importanti dell'Europa: un fatto intollerabile.

Sono tutti fascisti?

Non credo, sono persone arrabbiate, impoverite, piene di risentimento. A cui la sinistra non ha saputo rivolgersi.

Mélenchon non ha saputo intercettarli?

Lui ha espresso una novità, ma questa novità è stata spazzata via dal sistema elettorale a doppio turno. Vedremo ben presto se a partire da lui può rinascere una sinistra forte, come negli anni sessanta è stato il partito comunista francese. Le elezioni politiche sono prossime.

Può risorgere anche il partito socialista?

Queste elezioni hanno disintegrato la scena politica tradizionale, cancellando i due partiti che sono stati il fondamento della quinta Repubblica, cioè i socialisti e i gaullisti. Che dovranno dimostrare di essere in grado di ricostruirsi.

A sinistra, molti guardano con ammirazione a Macron.

Macron è un uomo di centro-destra, non ha nulla della cultura di sinistra, non è neppure un timido social-democratico. È totalmente allineato all'austerità dell'Europa di Bruxelles.

Altiero Spinelli scriveva che destra e sinistra, un giorno, si sarebbero distinte dal ripudio o dal favore che avrebbero accordato all'Europa. Non è quello che è successo in Francia?

Dubito che in Francia conoscano Altiero Spinelli, che era un federalista convinto, non un marxista come me. Marxista ortodossa, per la precisione.

Ortodossa? Per buona parte della sua vita, lei è stata considerata un'eretica!

Questa è una semplificazione di voi giornalisti.

Non ha fiducia nell'Europa?

L'Europa, in quanto istituzione, non ha i compiti né di un partito né di un sindacato. Penso che quel che potrebbe fare sarebbe darsi un orizzonte neo-keynesiano. Ma non vedo come possa organizzare delle lotte politiche o sindacali contro la sua stessa direzione.

Però la storia della sinistra è internazionalista.

La sinistra avrebbe solo da guadagnare da un ampliamento dei suoi orizzonti, mondializzazione compresa. È all'interno di questa situazione ormai data che dovrà cercare di riorganizzarsi.

A sinistra del Pd si è mosso qualcosa, ultimamente.

L'unica traccia di sinistra che è rimasta la scorgo nel sindacato. Quello dei metalmeccanici, sopratutto.

Gli operai sono ancora i lavoratori più sfruttati?

Gli sfruttati, in senso proprio, sono soltanto loro. Gli altri sono poveri. La lotta di classe è ferocissima, anche in questo momento. Forse, addirittura più di quanto non lo fosse dieci, vent'anni fa. L'attacco della classe dominante agli operai è stato spaventoso. Li stanno facendo a pezzi.

Ci sono persone che lavorano con la partita Iva che guadagnano di meno e hanno la metà delle loro garanzie.

Sono lavoratori ridotti a uno stato di miseria. Ma essere o non essere operai non è questione di reddito, dipende dai rapporti di produzione. I lavoratori di cui lei parla o ce la fanno, e allora si arricchiscono; oppure vengono spazzati via. Sono ridotti a una condizione simile a quella del proletariato, ma non sono il nuovo proletariato.

Perché no?

Perché non avvertono un desiderio di conflitto, tendono ad adattarsi, ad andare ciascuno per la propria strada. Il proletariato non è solo una condizione economica: è anche un modo di percepirsi uguali, fratelli, uniti.

È per questo che nessuno si rivolta più?

Quando Renzi ha approvato quell'ignobile legge chiamata Jobs Act non c'è stata nemmeno una sollevazione contro. E posso capirlo: se mi dicono di scegliere tra il crepare e il sopravvivere, scelgo di tirare avanti. Capisco meno l'assenza di un'opposizione del ceto politico.

Lei perché ha lottato?

Perché vivere per accettare il mondo così com'è non vale la pena.

È davvero così male il mondo di oggi?

Una vita che è invasa anche nella sfera più intima dalla competitività e dal mercato, per me, è insopportabile. Non accetto nulla di questo mondo. Rispetto le culture orientali, l'idea di conciliarsi con il tutto. Ma nella cultura occidentale la politica è conflitto e lotta.

Lei ha vinta o ha perso?

La mia vicenda riguarda un piccolo gruppo. Abbiamo perduto, ma non mi sono arresa.

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