L’Europa, tra mito e storia
di Maria Pellegrini.
Nella mitologia greca, Europa è figlia di Agenore, re di Tiro, antica città fenicia. Zeus, re dell’Olimpo, tradizionalmente famoso per i modi ingegnosi che escogita per sedurre le fanciulle di cui si invaghisce, decide di rapire Europa e si trasforma per questo in uno splendido toro bianco. La fanciulla, mentre coglie i fiori in riva al mare, lo vede avvicinarsi, è coperto da candido vello, è mansueto e si lascia accarezzare da lei, che senza alcun timore si siede sulla sua groppa, ma l’animale all’improvviso si tuffa in mare e la conduce sino a Creta, ove finalmente appaga il suo desiderio all’ombra di un albero secolare. Dalla loro unione nascono tre figli: Minosse, Sarpedonte e Radamanto. Minosse, dopo avere sottomesso i fratelli, estende il proprio dominio da Creta alle Cicladi e a gran parte del Peloponneso e dà vita alla civiltà cretese, culla della civiltà europea.
Le prime tracce del mito risalgono ai tempi di Omero. Nell’ “Iliade” Zeus confessa a Era, sua consorte, di aver avuto tanti amori tra i quali Europa, la giovane figlia del glorioso re fenicio. Anche in un frammento di Esiodo si parla dell’amore di Zeus per questa fanciulla. Il Dio «si trasforma in un toro che dalle narici spira croco; ingannando in tal modo Europa, la prende sul suo dorso, la porta a Creta e si unisce a lei». Si citano poi i tre figli nati da quell’unione.
Nella trasmissione del mito si sono verificati arricchimenti e varianti, una di queste narra che Zeus, per avvicinarsi alla fanciulla, prima si trasforma in toro poi in aquila. A testimonianza di ciò ci sono monete del V-IV secolo a. C che mostrano su un lato Europa seduta davanti a un toro, nell’altro su un albero con Zeus sotto forma di aquila.
Nell’antichità si contano almeno duecento rappresentazioni iconografiche di questo mito che è tramandato nei secoli attraverso la poesia e l’arte. Elementi del racconto e delle sue rappresentazioni artistiche sono la donna, il toro, il mare. La prima, simbolo di bellezza e fertilità, raffigurata come fanciulla rapita e ingannata ma anche come colei che alla fine doma e domina il suo divino seduttore; il toro simbolo di virilità e di forza; il mare, talvolta calmo per la tranquillità dei venti e popolato da nereidi, tritoni, delfini, altre volte temibile e minaccioso come lo descrive Ovidio nell’“Arte” di amare: Europa, pallida dalla paura, si rammarica di «aver preferito il rischio dei lunghi flutti alla raccolta facile di nuovi fiori».
In epoca romana il mito accentua la sua valenza erotica sia nelle raffigurazioni che ritraggono la fanciulla mentre bacia il toro (celebre quello in una pittura pompeiana del I sec. a. C.), sia nelle “Metamorfosi” di Ovidio dove il poeta si sofferma sulla bellezza del toro, poi sottolinea l’impazienza del dio, che già pregusta il futuro piacere: «Ha il colore della neve che non è mai stata calcata dalla pianta di un duro piede né sciolta dall’Austro piovoso […] Nessuna minaccia in fronte, lo sguardo non fa paura, il muso è in pace. Lo contempla la figlia di Agenore, come è bello, e non minaccia battaglie; ma, per quanto mite, lei ha paura a toccarlo dapprima, poi gli si accosta e porge fiori davanti al candido muso. Ne gode l’innamorato e, in attesa del piacere che spera, le bacia le mani. A stento riesce a rinviare il resto, e ora scherza e le salta intorno sull’erba verde, ora stende il candido fianco sulla sabbia bionda e, tolto un po’ alla volta il timore, le offre il petto da toccare con la mano virginea, e le corna da inghirlandare di fiori freschi».
In un idillio di Mosco, poeta siracusano del II secolo a. C., la narrazione è più complessa: Europa, come presagio di quanto sta per accaderle, sogna di essere contesa da due donne: una è Asia, personificazione della propria terra d’origine - dice infatti di essere sua madre -, e l’altra, che è ancora senza nome, tira a sé la fanciulla con più forza, reclamando un legittimo diritto di proprietà perché Zeus stesso l’ha promessa a lei in dono. La fanciulla si sveglia e va con le compagne a raccogliere fiori, Zeus compare sotto l’aspetto di «un toro fulvo, dal profumo di croco, dalle corna a forma di mezza luna e con una macchia bianca sulla fronte a forma di stella». Europa è incantata, non ha paura dell’animale, dice che è «dolce a guardarsi», vede in lui intelligenza umana, lo accarezza e audacemente pone tra le corna una ghirlanda di fiori. Poi monta sulla sua groppa e il toro la porta sull’isola di Creta. Dopo l’amplesso divino, oltre a generare una stirpe di eroi, lei darà il proprio nome a un intero continente: l’Europa. In Ovidio e Mosco non è quindi il racconto di un amore ottenuto con violenza, ma con il consenso della fanciulla che trova il seduttore bello e amabile.
Nell’epoca ellenistica, quando il potere delle città greche è ormai svanito, si coglie l’aspetto comico del mito e si ironizza sulla potenza di Zeus che per sedurre deve trasformarsi in toro. Antipatro di Tessalonica (I sec. a. C.), in un epigramma, accennando a un’altra donna che come la ragazza del mito si chiama Europa, ma è una prostituta, rimprovera Zeus: «Con una dracma puoi prendere l’ateniese Europa, senza paura di nessuno e senza temere rifiuti. Lei offre un letto ineccepibile, e quand’è inverno pone legna sul fuoco. Inutilmente, o Zeus, ti sei fatto toro».
Non sappiamo con precisione quando il nome Europa da personaggio del mito diventa riferimento geografico. Anche l’etimologia non è certa, secondo alcuni deriva dalla parola semitica “ereb”, occidente, con cui i fenici (1500/1600 a. C.) indicavano i paesi a ovest della Siria, dove essi vivevano. L’occidente indica anche la direzione dei popoli orientali che migravano in Grecia, come ci rivela il mito stesso attraverso il viaggio della fanciulla dalla Fenicia a Creta.
La prima menzione di Europa come spazio geografico risale al VI-V secolo a.C. nell’“Inno ad Apollo delfico”, attribuito a Omero, nel quale è chiamata Europa tutta l’estensione della Grecia centrale, quindi tutta la parte continentale a nord del Peloponneso. Il dio afferma che verranno a consultare l’oracolo «tutti gli uomini che abitano il Peloponneso, l’Europa e le isole». Geograficamente Europa indicava per i greci lo spazio di diffusione della civiltà ellenica.
La consapevolezza che l’Europa costituisca un’area di civiltà con una propria identità culturale si afferma durante le guerre contro i persiani. Erodoto (484-25 a.C.) riflette per primo sulle differenze tra Occidente e Oriente, definendo l’Asia come la terra del dispotismo e l’Europa come la patria del senso morale, della virtù civile e dell’amore per la scienza. Dal V secolo a.C. si cerca di trovare una verità storica adombrata dal mito: secondo Erodoto, il mito di Europa si riferisce all’antico costume del rapimento di fanciulle, di cui un esempio è Elena, sottratta alla famiglia da Paride. Ma tagliente è il suo commento: «Se rapire donne deve considerarsi atto di uomini ingiusti, darsi la pena di vendicare simili rapimenti è cosa da sciocchi. I saggi non se ne danno cura; è chiaro che le donne, se non lo avessero voluto, non sarebbero state rapite».
Strabone (I sec. a. C.) mostra consapevolezza dell’identità dell’Europa fisica e politica: «Possiede una grande varietà di forme, ed è la terra per natura meglio dotata di uomini e di regimi politici validi e quella che ha maggiormente reso partecipi gli altri dei propri beni […] I popoli si recano beneficio gli uni agli altri; gli uni offrono il soccorso delle loro armi, gli altri quello dei loro raccolti, delle loro conoscenze tecniche, della loro formazione morale. Naturalmente, essi possono anche recarsi vicendevolmente gran danno, se non si vengono in aiuto».
Un giudizio pieno di entusiasmo lo dà Plinio il Vecchio (I sec d.C.): «L’Europa è la più bella e la prima delle parti del mondo perché in essa c’è la bellissima Italia, culla del popolo signore di tutte le genti».
Il mito di Europa ha attraversato i secoli, ma ha continuato a essere oggetto di molte interpretazioni: antropologiche, psicanalitiche, artistiche. Nell’età delle dittature del Novecento, il toro ha rappresentato il potere minaccioso, la fanciulla, la terra d’Europa sottoposta alla sua violenza.
Nota: nell’immagine: Affresco parietale a Pompei, nella Casa di Giasone
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