di Maria Pellegrini.

Quando Ulisse torna a Itaca dopo numerose avventure e travolgenti amori, trova la fedele Penelope ad attenderlo nella sua casa a Itaca. In questo lontano episodio dell’Odissea è possibile intravedere la condizione della donna nel mondo omerico, ma anche nella Grecia dell’età classica quando per una giovinetta non c’è alcuna alternativa: è destinata al matrimonio - deciso dal padre in base a un accordo con la famiglia dello sposo -, alla procreazione di figli legittimi, al lavoro domestico e alla gestione della casa, mentre è esclusa dalla vita politica, costretta al silenzio e al non far parlare di sé, anche quando è in età matura. È noto l’invito rivolto da Pericle (politico ateniese del V sec. a.C. protagonista dell’età d’oro di Atene) alle donne: “Sarà una gloria per voi se di voi si parlerà il meno possibile, in lode o in biasimo”.

Il primo testo della cultura occidentale che affronta il problema dell’emarginazione femminile è una commedia di Aristofane, “Lisistrata”, messa in scena nel 411 a. C., momento critico per la democrazia ateniese: la guerra del Peloponneso lunga e sanguinosa (431-404 a.C.), scoppiata a causa della rivalità tra Atene e Sparta, terminerà con la vittoria spartana segnando il declino di Atene. Lisistrata è una figura femminile creata da un poeta comico, autore di commedie di satira politica e sociale, ma come ogni personaggio letterario è frutto del suo tempo e rispecchia i problemi di un periodo storico nel quale si comincia ad avere una qualche attenzione al tema della parità di genere.

Il commediografo ci presenta questa coraggiosa e intraprendente donna ateniese che, mentre la guerra è ancora in corso, vuole convincere gli uomini a proporre ai nemici spartani una tregua e un patto di pace. Riunisce in un’assemblea tutte le donne di Atene, Sparta, Corinto e Beozia annunciando di essere riuscita a trovare un mezzo per porre fine a ciò che provoca loro tanto dolore e tanta solitudine: propone di ricattare i propri mariti negando loro i piaceri del letto coniugale finché essi non decideranno di comune accordo di stipulare una pace duratura. Dunque esse dovranno privarsi del proprio piacere, ma costringeranno anche i maschi alla medesima astinenza.

Lisistrata, dopo aver convinto anche le più restie ad attuare questo singolare sciopero, insieme a tutte loro occupa l’Acropoli per bloccare l’accesso al tesoro che serve a finanziare la guerra. Grazie alle donne più anziane, le più giovani riescono a respingere un gruppo furioso e ostinato di vecchi che giudicano le ribelli “un malanno manifesto, che nutriamo nelle nostre case”, “maledette a cui si addice soltanto il silenzio e l’obbedienza, da imporre con bastonate e schiaffi”. In realtà parole così ingiuriose nascondono il timore per questa insolita iniziativa femminile, infatti sussurrano fra loro: “Se cediamo, se gli diamo il minimo appiglio, non ci sarà più un mestiere, che queste, con la loro ostinazione, non riusciranno a fare!”

Con astuzia e fermezza Lisistrata risponde esponendo le ragioni del suo disegno politico: le donne sono state costrette a subire le disastrose conseguenze della guerra senza aver potuto partecipare alla sua deliberazione perché obbligate a tacere e stare in casa. Se talvolta qualcuna ha osato chiedere notizie sulle decisioni prese a proposito della guerra, il marito le ha risposto: “Che te ne importa? Pensa a stare zitta….Vai a filare. Soltanto gli uomini devono occuparsi della guerra”.

Con il loro sciopero per ottenere la pace le donne vogliono anche affermare la parità fra l’uomo e la donna. Poiché il desiderio e il piacere sono reciproci fra i due sessi, anche tutti gli aspetti della vita devono essere equamente condivisi. Se il lavoro femminile contribuisce all’economia della città, se le donne amministrano il bilancio domestico, non si vede perché non possano amministrare anche l’erario. “Se fosse loro permesso, le donne potrebbero anche combattere e comandare la flotta ateniese”, dice con orgoglio Lisistrata che vuole rivendicare l’uguaglianza dei generi come principio e la legittimità delle donne a partecipare agli affari dello Stato perché sono dotate della facoltà di ragionare e di esperienza acquisita ascoltando i discorsi dei padri e degli anziani. Dal loro punto di vista, le donne non fanno altro che trasferire al servizio dello Stato le competenze economiche già a lungo esercitate nell’amministrazione domestica. Come riescono a governare una casa, così riusciranno a governare lo Stato.

L’intraprendente ispiratrice dello sciopero contesta soprattutto chi afferma: “La guerra è affare da uomini quando in realtà è più un affare da donne costrette a subire ben due privazioni: siamo noi a portare il peso della guerra…Partoriamo i nostri figli e li mandiamo a fare gli opliti… avremmo potuto essere felici e goderci la nostra giovinezza. Per colpa della guerra siamo costrette a dormire sole…., io soffro al pensiero delle giovani spose che invecchiano nelle loro case prive della gioia dell’amore”. La guerra viene vista dunque come privazione di diritti naturali e della felicità individuale. Non è rappresentata come portatrice di morte, dolore e distruzione ma come privazione della quotidianità delle famiglie, del corso naturale della vita. Aristofane ha veramente colto un aspetto della sensibilità femminile e della sua disperazione quando mette in bocca a Lisistrata queste considerazioni: “il tempo, in cui la donna può sposarsi e godere del piacere dell’amore, è breve, rispetto all’uomo, che tornando dalla guerra e trovando la sua donna invecchiata può sempre sposare una più giovane”.

Più che la guerra e la pace è il sesso il principale soggetto della commedia, descritto dall’autore con tutta la sua forza e naturalezza perché è apprezzato dagli uomini ma anche dalle donne che ne rivendicano il diritto. Lisistrata mette al centro del suo ragionamento la relazione tra i sessi che deve essere vissuta in modo paritario.

La trattativa non dura a lungo, le donne sono sul punto di cedere mostrando di rinunciare a fatica al piacere del sesso, ma anche gli uomini, di fronte a quel ricatto, convocano gli ambasciatori e alla fine concordano la pace. Lisistrata ha vinto ma ciò non implica un riconoscimento di un qualche diritto acquisito, è solo una equiparazione temporanea dei due generi, il maschile e il femminile. La pace trionfa e si può festeggiare. Ma la conclusione è chiara: non si celebra la presa del potere da parte delle donne bensì la ripresa del potere da parte degli uomini perché “l’odio per le donne”, è ampiamente documentato nelle fonti letterarie greche delle epoche future. Il pregiudizio che considera l’uomo destinato al comando e la donna alla passiva obbedienza, si manterrà a lungo nel mondo greco.

Anche se Aristofane in questa commedia ha assegnato alle donne un ruolo attivo, pragmatico, positivo, quando le definisce, “capaci di tutto” l’appellativo può essere interpretato in senso negativo o positivo. La stessa Lisistrata alla fine della commedia di fronte ai capi dei Greci dichiara minimizzando il suo potere:

“Non sono che una donna, ma possiedo la ragione”.

La commedia è originale, divertente, insolita, il linguaggio è colorito. Molti sono gli spunti comici ma oltre il riso si adombra il sospetto del pericolo che potrebbero costituire le donne quando sono relegate in uno stereotipo di subordinazione al mondo maschile.

Leggere questa antica storia ci permette di confrontarci con il passato ma anche comprendere meglio il nostro tempo, perché richiama problemi esigenze, timori che sono anche i nostri. Leggere gli antichi classici, come scrive Calvino, aiuta “a capire chi siamo e dove siamo arrivati”.

Nota: l’immagine riproduce la prima edizione della commedia tradotta in lingua italiana (Venezia, 1545).

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