di Roberto Bertoni.

Prendete la Spagna e capirete subito il senso di queste riflessioni. Ho scelto di partire da un altro paese proprio perché so che, essendo il nostro in campagna elettorale, ogni riflessione dedicata all'Italia, in questo periodo, viene strumentalizzata per fini politici.

Prendete la Spagna, dicevo, e guardate cosa sta accadendo da quelle parti, con un governo tardo franchista che sembra proprio non voler comprendere la natura plurale della propria nazione. In Spagna, il pessimo Rajoy, varando una politica centralista e inutilmente oppressiva nei confronti della Catalogna, ha condotto questa regione sull'orlo della secessione, con il rischio tutt'altro che secondario che si riapra un'altra piaga storica quel paese, ossia la vicenda dei Paesi baschi, dove dal 2011 regna un'apparente calma in seguito alla consegna delle armi ad opera dell'ETA.

Ciò che non ha capito Rajoy, fra le altre cose, è che mostrare il volto feroce e tentare di impedire ai catalani di rivendicare la propria autonomia, non solo non gioverà alla tenuta sociale e democratica della Spagna ma, peggio ancora, favorirà l'avanzata delle peggiori forze populiste e liberiste, le quali stanno sfruttando il malcontento popolare per fare carriera e costruire su una tragedia, l'eventuale secessione, la propria aura di "pasionari" in lotta per la dignità del popolo.

Personalmente, infatti, non nutro alcuna stima nei confronti di Puigdemont e del suo seguito, reputo le loro scelte aberranti, la loro arroganza fuori dal mondo e la loro idea di staccare la Catalogna dalla propria casa naturale un attacco all'integrità dell'intera Europa. Poi osservo l'operato di Rajoy e del suo entourage e mi rendo conto che c'è persino chi riesce nell'impresa di rivelarsi peggiore.

L'unica possibilità per mantenere l'unità della Spagna e, al contempo, spegnere i focolai di rivolta che covano da anni è, pertanto, quella avanzata da Podemos e, in particolare, dall'alcaldesa di Barcellona Ada Colau: non più una Spagna ma più Spagne, una nazione unità dalle sue diversità e straordinaria proprio perché composita e animata da un'adeguata dialettica interna fra popoli federati, coscienti delle vicende storiche che hanno scandito il Novecento e rispettosi di differenze che nessun governo potrà mai cancellare con un provvedimento, per quanto tracotante esso possa essere.

E lo stesso, a mio giudizio, dovrebbe valere per quanto concerne il Belgio, squassato da anni dalla disputa tra fiamminghi e valloni, e il Regno Unito post-Brexit, in cui il rischio di una secessione scozzese è purtroppo all'ordine del giorno.

Senza dimenticare le disparità che attraversano e segnano Francia e Germania, con i rispettivi est che votano per l'estrema destra xenofoba e non si riconoscono affatto nella narrazione europeista della Merkel e nell'europeismo stucchevole del marito di Brigitte.  

Ecco, diciamolo chiaramente: l'europeismo "à la Macron" non solo non funziona ma è addirittua controproducente. Come unico risultato, infatti, finora questo ibrido senz'anima ha prodotto il progressivo scivolamento verso posizioni simil-lepeniste del partito che fu di De Gaulle, oggi guidato da Laurent Wauqiez, il quale, avendo fiutato l'aria e avendo capito che il nostro eroe comincia a calare nei sondaggi, sì è spostato verso posizioni all'insegna della chiusura e del protezionismo, come se di questo ci fosse bisogno in una fase storica nella quale, al contrario, bisognerebbe provare a costruire gli Stati Uniti d'Europa. Il punto è che l'europeismo di Macron è finto, strumentale, fittizio, proprio come quello di quanti invocano più Europa senza rendersi conto del fatto che l'Europa, così com'è, è destinata a liquefarsi nell'arco di qualche anno.

Non basta dire più Europa se non si indica come chiaro modello l'Europa di Rossi, Spinelli e Colorni, di De Gasperi e di Schuman, se non si condannano senza appello i muri e le vergogne che si stanno consumando in Polonia; e non basta nemmeno dire più Europa se non si capisce che o si riparte dai diritti e dalla dignità dei lavoratori o gli ultimi, gli esclusi e i dimenticati finiranno con l'affidarsi alle peggiori compagini demagogiche e razziste.

Da questo punto di vista, un quarantenne smisuratamente ambizioso e discutibilmente capace che si considera una reincarnazione di Napoleone e De Gaulle messi insieme e gli ayatollah del liberismo, cui va bene qualunque cosa, per cui l'Europa è più un feticcio che un effettivo progetto politico e che di fronte allo spettro di un Weidmann a capo della BCE blaterano di non si sa quali riforme, questi soggetti sono i veri nemici dell'Europa e della sua sacrosanta costruzione.

L'Europa nascerà soltanto se capirà di essere straordinaria proprio perché è un incontro di minoranze, in cui un francese che si sentirà sempre francese e un tedesco che si sentirà sempre tedesco decideranno di sentirsi anche europei e di condividere una doppia identità. Nel caso in cui si dovesse continuare con quest'aberrazione fumettistica di costruire l'Uomo europeo in laboratorio, dimentichi della pesantissima vicenda storica del Novecento e delle peculiarità dei singoli paesi, si favorirà, invece, per eterogenesi dei fini, il ritorno a chiusure localistiche ed insensate, dettate dalla paura per il futuro e dall'incertezza generata da una serie di politiche sbagliate.

Se davvero vogliamo sconfiggere ogni forma di razzismo, dobbiamo cominciare a ragionare in termini plurali: le Spagne, le Italie e i popoli europei. Illudersi che esista una sola Spagna, una sola Italia e un solo popolo europeo significa, all'opposto, non avere ben chiaro quale debba essere il nostro futuro. Allo stesso modo, dire ai nostri ragazzi che è magnifico non avere un'identità nazionale chiara, tracciando un continuo elogio dell'apolide, significa spingerli, come sta purtroppo accadendo, fra le braccia dei partiti più anti-europeisti che esistano. Urge, al contrario, ricostruire una forte identità italiana, di cui essere orgogliosi nel senso ciampiano del termine, e proiettarla in Europa, divenendo europei in Italia e italiani in Europa e considerando ogni viaggio meraviglioso proprio perché presuppone un ritorno. Se poi si dovesse scegliere di andar via per sempre, andrebbe bene se fosse una scelta libera e consapevole; se, come spesso accade, è una costrizione dettata dalla mancanza di prospettive per il domani a casa propria, in quel momento l'Europa si sgretola irrimediabilmente.

E qui veniamo al terzo e ultimo punto di questo articolo: il morbo fascista che sta tornando a diffondersi un po' ovunque, da Varsavia fino alle nostre latitudini. Capita per molte ragioni, alcune delle quali le abbiamo ampiamente esposte in precedenza, ma capita anche perché l'anti-fascismo da talk show di determinate forze politiche, l'anti-fascismo tutto slogan, frasi fatte, manifestazioni elettorali e tentativi di trovare un collante a sinistra dopo aver sfasciato il proprio campo sul terreno della politica, questo sfruttare dei valori universali per provare a recuperare qualche voto, suona talmente fasullo da sortire l'effetto opposto. L'anti-fascismo, è bene che lo capiscano tutti, o si esprime ogni giorno e si sostanzia con fatti e decisioni concrete o genera pericolose simpatie intorno al fenomeno che vorrebbe combattere. E pure asserire che non ha fatto nulla di buono è un grave errore, storico e politico al tempo stesso. La verità è che ha compiuto anche alcune opere, sociali e architettoniche, di tutto rispetto ma ad un prezzo, la perdita di democrazia e libertà, che non si può e non si deve mai essere disposti a pagare, trattandosi delle basi costitutive del vivere civile.

Basta, infine, col demonizzare il concetto e la stessa parola "patria": i patrioti erano i partigiani e il fatto che oggi questo magnifco principio mazziniano sia caduto preda di coloro che durante la lotta di liberazione sarebbero stati dalla parte di Hitler e dei suoi vassalli di Salò, la dice lunga su quanto sia diventata arida, inconsistente e fessa la sinistra italiana. Patria, tuttavia, rimane un termine bellissimo ed è oltretutto il nome della rivista dell'A.N.P.I.; pertanto, va riscoperto e declinato in termini rigorosamente europeisti, evitando che su di esso costruiscano le proprie fortune forze che non hanno mai rinnegato e mai rinnegheranno fino in fondo la barbarie fascista.

Capisco che queste riflessioni controcorrente non siano il massimo in campagna elettorale e che a qualcuno possano persino dar fastidio per i motivi più disparati, ma credetemi: o si esce dalla cappa del politicamente corretto a tutti i costi, fra auto-celebrazioni e messe cantate al termine delle quali si è sempre i buoni in lotta contro il male altrui, o a quel male, che pure c'è ed è evidente, finiremo col consegnare l'avvenire di intere generazioni.

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