di Mario Capanna.

Eravamo convinti, volando sulle ali scientifico-tecnologiche e quelle dell’economia opulenta (per una minoranza dell’umanità), di essere quasi invulnerabili. Internet - il finto contatto in tempo reale - ha alimentato l’illusione.
Poi è arrivato il Coronavirus... Una entità sub microscopica. Un essere vivente infinitesimale, che la natura ha prodotto per strane combinazioni. Capace di infettare gli umani, fino a provocarne la morte.
Imprevisto? Imprevedibile? Perché ora, e non prima? C’è un legame con i mutamenti climatici (aspetto, questo, assai poco indagato dagli studiosi)?
Nella nostra cultura di improbabili superuomini abbiamo dimenticato che, prima di essere condizionati dalla tecnica, dipendiamo dalla natura. (Senza di essa, per esempio, non potremmo respirare e non avremmo cibo).
E la natura segue le sue “leggi”, non le nostre. Né i nostri giudizi. Esempio: un terremoto catastrofico, che determina distruzioni e morti, per noi è una iattura: per la natura è semplicemente un aggiustamento delle placche tettoniche... lo stesso vale per uno tsunami, ecc.
È la nostra hybris ( “prepotenza”, “arroganza”, “alterigia”: per gli antichi greci la mancanza più grande che l’uomo possa commettere) a farci concepire dominanti sulla natura, illusoriamente indipendenti da essa, cui spesso ci contrapponiamo, ritenendoci più forti.
Nella cultura occidentale - la cultura che oggi domina il mondo - l’hybris viene da lontano. Addirittura da Dio che, dopo aver creato Adamo ed Eva, dice loro : “Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate sopra i pesci del mare e su tutti gli uccelli del cielo e sopra tutti gli animali che si muovono sopra la terra” (Genesi, 1,28).
Se Dio fosse stato un po’ più sintetico e, anziché “assoggettare” e “dominare”, avesse detto semplicemente “convivete con”, ci saremmo risparmiati in sacco di guai, mutamenti climatici compresi.
Il virus ci bracca. Ha determinato la pandemia del mondo. E noi, per ora, non possiamo fare altro che tentare di scappare, barricandosi in isolamento in casa.
(Personalmente mi ritengo un privilegiato: sto potando gli ulivi sulla mia collina umbra, respiro aria buona e ho il viso già abbronzato..., per il resto seguo con scrupolo le prescrizioni).
Ma penso ai “disgraziati” di città, molti dei quali sono isterici nei propri appartamenti, al punto che si preannunciano rotture di fidanzamenti e matrimoni... E, invece, dovremmo profittare dell’occasione, leggendo, studiando, pensando, rilassandoci con varie distrazioni, televisive e non, per esempio con la cosa più bella del mondo: fare l’amore.
E meditando su questo pensiero di Marco Aurelio: “Ciò che non giova all’alveare, non giova neppure all’ape”. E viceversa, potremmo aggiungere.
A riprova che siamo interdipendenti, proprio come le api (dell’alveare-mondo), sì che le ristrettezze di oggi ci servano a capire le interrelazioni che ci collegano l’un l’altro, e tutti al mondo.
Recuperiamo questa, che è la nostra dimensione autenticamente umana. E abbandoniamo l’hybris.
Liberiamoci da questo, che è il vero male, nell’attesa di debellare quello infinitesimale.

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