di Alessandro Gilioli.

Io però fossi in voi - prima di scagliarmi contro Michele Serra (n.d.r. L'amaca di Michele Serra, Repubblica, 21.4.2018) - andrei a rileggere alcuni romanzi, a rivedere alcuni film. "Padre padrone", magari, visto che uno dei registi è appena scomparso. Oppure "Brutti sporchi e cattivi", capolavoro del 1970. O magari addirittura "I miserabili" , per affondare le radici nei classici della letteratura. Giù giù fino alla "Città vecchia" di De André, se preferite i cantautori. I primi che mi vengono in mente.

In tutte queste opere il proletariato - e il sottoproletariato - emergono come la fetta di umanità che la società divisa in classi costringe in una subalternità che è anche culturale ed educativa. E la battaglia politica è proprio l'emancipazione da questa condizione.

Quei grandissimi - quelli che ho citato sopra, come altri - ci hanno detto: attenzione, i poveri non sono belli, buoni, profumati. Non "disneyzziamo" i proletari. I poveri sono "brutti sporchi e cattivi". Perché così li crea, li cresce o li riduce - a suo vantaggio - la classe dominante.

il rivoluzionario non nega questo dato di realtà, anzi lo fa suo proprio per rovesciare questo stato di cose. Per consentire al sottomesso di avere il pane ma anche le rose, di godere nell'animo ascoltando Mozart, di bere champagne come nelle vignette di Wolinsky.

Lo diceva anche Gramsci, del resto, quando invitava il proletariato a studiare. A emanciparsi dalla condizione di sottomissione culturale in cui la classe padrona lo teneva prigioniero.

Questo è ciò che penso io, di tutto il casino sulla Amaca di Serra (n.d.r. L'amaca di Michele Serra, Repubblica, 21.4.2018). Con il quale sono talvolta in disaccordo, ma che forse (forse: non sono nella testa di Serra) qualcuno ha frainteso.

In ogni caso, essere di sinistra non vuol dire negare che il proletario è costretto in una condizione di subalternità. Vuol dire lottare per l'emancipazione da quella condizione.

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