di Stefano Vinti

L’emergenza sanitaria ha determinato un aggravamento delle condizioni di vita dei lavoratori e dei cittadini umbri, già stremati dalla crisi economica e sociale degli ultimi anni. Gli ammortizzatori sociali (pochi) messi in campo dal governo giallo- rosso e il blocco dei licenziamenti hanno solamente rinviato di qualche mese gli effetti devastanti sulle fasce sociali più deboli della società di una delle peggiori congiunture economiche degli ultimi cinquant’anni.

È mancata, all’indomani della crisi del 2008, la capacità dei Paesi dell’Unione Europea di avviare un percorso di rottura con le politiche che hanno accompagnato la globalizzazione capitalistica, caratterizzate da imponenti privatizzazioni dei servizi pubblici essenziali, dalla drastica contrazione dei diritti (e dei salari) dei lavoratori e dalla regressione sul terreno dei diritti civili dei cittadini.

Se la pandemia ha costretto, in parte, l’Europa a ripensare il proprio ruolo e il ruolo dei singoli stati, almeno sotto il profilo dei meccanismi decisionali, è di tutta evidenza che questo non basta ad arginare l’emergere in tutto il mondo di nuovi sovranismi e a dare risposte alle istanze sociali sempre più pressanti.

È evidente che le realtà territoriali minori, come la regione Umbria, rischiano di pagare il prezzo più alto, schiacciate tra un modello fortemente autonomista del nord e un modello assistenzialista del sud.

Per questo ribadiamo con forza la necessità di avviare politiche comuni per la costruzione dell’Italia mediana.

L’insieme di regioni che costituiscono Italia mediana, cioè Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Emilia Romagna, hanno in comune un’innegabile identità storica, culturale, politica e persino antropologica e possono svolgere un ruolo importante per la tenuta dell’unità nazionale se riescono a mettere in campo un patto interregionale civile, democratico, progressista e riformatore.

Ci sono specificità che vanno oltre il tratto comune del tessuto di piccole e medie imprese dinamiche e competitive: un modello sociale regionale efficiente, orientato alla coesione sociale, al superamento delle disuguaglianze e al raggiungimento di un alto livello nelle condizioni di vita dei cittadini; una certa omogeneità culturale e modelli e forme di convivenza orientati alla solidarietà; una sensibilità democratica fortemente sviluppata.

Naturalmente questo non significa trasformare l’Umbria nella periferia di qualche nuova macroregione, deve invece diventare protagonista nella costruzione di un movimento politico e culturale a sostegno dell’Italia Mediana, capace di pensarsi come l’istituzione del lavoro, dei diritti sociali e di quella qualità della vita che tutta l’Europa ci invidia.

Le Regioni del Centro devono allora abituarsi all’idea di definire politiche comuni e sforzarsi di sviluppare una programmazione economica e sociale che vada oltre i propri ambiti territoriali, avviando da subito un confronto per la messa in rete di strutture, professionalità, competenze per progetti comuni che mettano a valore anche le opportunità di finanziamento e cofinanziamento dell’Unione europea in settori strategici come la sanità e il turismo, ma anche per i trasporti, le infrastrutture materiali e immateriali, i servizi pubblici e sociali, sviluppando appieno le opportunità previste dalla nostra Carta Costituzionale, nel rinnovato spirito del Titolo V, che al comma 8 dell’art. 117 dispone esplicitamente che “la legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni”.

Le differenze geografiche, sociali, culturali, demografiche, storiche e ambientali tra le regioni dell’Italia mediana, non inficiano i tanti elementi culturali, storici e sociali che le uniscono e che hanno contribuito alla creazione di un forte sostrato comune da cui occorre partire per rilanciare un modello di sviluppo veramente sostenibile e solidale in grado di competere con il Nord, con il Sud, ma anche con le altre macroregioni dell’Unione europea.

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