di Maria Pellegrini.

«L’inferiorità di genere è un’idea antica. Una storia che comincia in Grecia con il mito di Pandora e arriva fino a noi». Così leggiamo nella IV di copertina del volume fresco di stampa di Eva Cantarella, Gli inganni di Pandora (ed. Feltrinelli, pp. 96, € 12,00).

Ogni cultura e ogni religione deve fare i conti con la creazione della prima donna: in quella biblica fu Eva, per quella greca tale ruolo ingrato fu riservato a Pandora. Come Eva fu in gran parte responsabile della cacciata di lei e di Adamo dall’Eden, così Pandora fu causa della presenza del male nell’esistenza umana. Il mondo cambiò, diventando un luogo poco ospitale, desolato, duro. E gli uomini divennero individui molto diversi dagli dèi, ridotti a “esseri terreni” vittime di tutti i nuovi mali mescolati tra loro.

Eva Cantarella, autrice di numerosi libri di storia antica, tradotti in diverse lingue, su donne, famiglia e sessualità, ricorda al lettore il mito di Pandora narrato dal poeta greco Esiodo (VIII sec. a. C.) che la definisce «la prima donna apparsa fra gli uomini» insieme a un leggendario vaso. A lei era stato raccomandato di tenerlo ben sigillato, ma la curiosità la spinse ad aprirlo e così tutti i mali che vi erano racchiusi, si riversarono sulla terra. Esiodo in polemica aspra nei confronti delle donne afferma che «da lei discende il genere maledetto delle donne». Si compiva così il destino di Pandora, quello per cui era stata creata, cioè per rendere dolorosa la vita sulla terra.

Pandora è l’archetipo e l’antenata di tutte le donne, genere creato dalla divinità con il proposito di procurare il male e la rovina agli uomini. Le donne dunque sono per i greci una razza a sé. Cantarella ci ricorda un altro poeta, il greco Semonide, che nella “Satira contro le donne”, traccia una tipologia dei difetti attribuiti al sesso femminile, facendo derivare dieci tipi di donne da altrettanti animali quindi portatrici dei loro vizi. Un tipo solo è augurabile per un uomo, quella che Zeus ha creato dall’ape: lavoratrice e assennata, dunque una benedizione per il patrimonio e per la casa di chi ha la fortuna di trovarla e farla sua. Nonostante questa rara eccezione, Semonide conclude il suo componimento, proclamando che la donna è «il peggiore tra tutti i mali che Zeus ha imposto al genere umano».

Scorrendo l’indice del libro già abbiamo un’idea della varietà e originalità degli argomenti trattati da Eva Cantarella. Di particolare interesse le notizie sulle scuole mediche e soprattutto l’insegnamento di Ippocrate che raccolse nel “Corpus Hippocraticum” sessanta trattati medici di vario genere di epoche e autori diversi, molti attribuibili a lui stesso.

I medici conoscevano l’esterno dei corpi e di quelli interni sapevano ben poco, inclusi gli organi riproduttivi, perché ancora non si usava sezionare i cadaveri. L’interesse per la diversità degli organi sessuali femminili rispetto ai maschili fu trattata con teorie oggi considerate non scientifiche ma fantasiose, come la stranezza incomprensibile del flusso mestruale che fu un interrogativo al quale si dettero stravaganti risposte (leggere per credere). Curioso il trattamento riservato ai problemi dell’utero prolassato di cui una partoriente spesso era affetta soprattutto nell’antichità, ma anche oggi. La cura riservata era molto drastica, la donna veniva legata a una scala a pioli a testa in giù e lasciata così per un’intera notte affinché quell’“organo vagante” tornasse nel suo posto originario.

Anche i filosofi si interessarono alla diversità del corpo femminile ma l’obiettivo era considerare queste differenze per attribuire un ruolo nella società alle donne: generare figli. Di particolare interesse il capitolo sulle discriminazioni sociali e giuridiche come conseguenza della “differenza di genere”. Numerose sono le testimonianze del mondo greco che permettono di ricostruire la vita sociale e giuridica di uomini e donne e le loro differenze. Il regime matrimoniale era monogamico, ma agli uomini era data licenza di frequentare e amare altre donne oltre la propria moglie destinata soprattutto ad avere figli legittimi. Ogni uomo poteva avere una concubina per prestazioni sessuali a pagamento con la quale intrattenersi quando volesse, e frequentare una giovane istruita, capace di intraprendere conversazioni di carattere politico, filosofico, sociale, durante i simposi o i banchetti ai quali poteva partecipare - mentre la moglie ne era esclusa - esibendosi in danze, canti e rendendosi disponibile a offrire il proprio corpo. Agli uomini greci era concesso anche un rapporto pederastico nei quali il ragazzo fino all’età massima di 16/17 anni, chiamato “eromenos” cioè “amato” ha un ruolo passivo e l’adulto maschio “erastes” cioè “amante”, quello attivo. La relazione non doveva essere episodica, ma neppure durare troppo a lungo, comunque era considerata importante per il giovane che si affacciava alla vita perché dall’adulto, che lo sottometteva sessualmente, otteneva anche affetto e insegnamenti «sul valore della cittadinanza, e di conseguenza sulle virtù del cittadino».

La vita sentimentale e sessuale delle donne invece aveva regole tassative: doveva avere rapporti sessuali solo con il marito. Del resto scrive Cantarella «il matrimonio non era il luogo dell’amore né per la donna né per il marito», era una sorta di contratto per stringere alleanze politiche o finanziarie tra famiglie spesso concluso senza il consenso dei futuri sposi. Le donne dovevano sopportare tutto ciò come un fatto normale, a loro non era permesso nemmeno chiedere di separarsi dal marito. Euripide, ricorda Cantarella, fa dire a Medea rivolta a Giasone: «Voi uomini, se vi annoiate in casa, uscite e andate fuori con un amico: noi donne, se il matrimonio va male, non possiamo neppure separarci da voi, perché la separazione non porta buon nome alle donne». Se una moglie anche vedova avesse commesso adulterio, se in particolare fosse stata sorpresa in casa con un uomo, ciò era considerato un’offesa per il gruppo familiare che poteva vendicarsi con l’omicidio della donna, “omicidio per causa d’onore”. Poi tale la pena venne abolita, la donna era ripudiata dal marito e la sua vita diventava un inferno perché neppure la famiglia d’origine voleva accoglierla in casa. Nulla invece accadeva all’uomo: restava impunito anche se trovato con un’amante in casa.

Non esistevano leggi che regolavano i rapporti sessuali non consenzienti; sulla violenza sessuale ai danni di una donna c’erano delle differenze: tale crimine era punito solo se commesso ai danni di «donne oneste» cioè sposate, che vivevano protette dalle mura domestiche e fedeli al loro ruolo esclusivamente di madri e mogli. La violenza subìta era considerata un’offesa fatta al marito e alla sua famiglia ed era severamente punita, quella su altre donne che non vivevano sotto la protezione di un cittadino ateniese, non costituiva reato.

Il percorso della vita femminile era esclusivamente domestico. Quale le virtù riconosciute alle donne? Si riteneva che gli dei avessero fatto i corpi delle donne meno forti quindi esse si dovevano occupare dei lavori e delle cure interne alla famiglia: procreare, seguire i neonati, gestire i beni della casa e la sua conduzione. «Difficile essere più chiari - scrive saggiamente Cantarella – la “differenza” delle donne, la loro specificità, dipende dalle caratteristiche biologiche che gli dèi hanno loro attribuito». Il ruolo delle donne non poteva varcare quel confine domestico. Ci furono però già allora menti illuminate che cercarono di rompere questi schemi nati da antichi pregiudizi e portare un soffio di aria nuova, ma spesso contraddicendo in seguito certe posizione di apertura al nuovo modo di considerare il mondo femminile. Platone nella “Repubblica” riteneva che si dovessero concedere alle donne le stesse opportunità concesse agli uomini e per questo le prime femministe lo considerarono un campione dei loro diritti. Tuttavia in altra opera Le Leggi affermava che «le donne sono per natura più inclini a nascondersi e all’astuzia», dunque pericolose se libere dal ruolo familiare. Il filosofo le riconduceva in un ruolo subalterno al potere del marito e a quello dello stato. Dunque è stato lungo il cammino per una parità di genere; per ottenerla si lotta ancora oggi. L’eredità del pensiero greco sulla differenza di genere ha reso più laborioso la via per combattere lo stereotipo della “differenza” della donna dovuta alla sua natura di creatura debole ed emotiva. In realtà la donna è sempre stata frenata dall’intraprendere mestieri e professioni cui sono dediti gli uomini perché a lei si è lasciato esclusivamente il compito dell’educazione, della cura dei figli e della casa, di filare la lana o tessere una tela.

Impagabili e coraggiose le studiose che da anni si sono occupate del ruolo delle donne nel mondo antico. Eva Cantarella ha insegnato Diritto romano e greco all’Università di Milano, e la sua voce si è sempre levata per abbattere le differenze di genere. I suoi studi del mondo antico hanno prodotto una serie di stimolanti pubblicazioni che hanno permesso a molte donne di avere consapevolezza di quanto sia stato difficile combattere l’idea dell’inferiorità del genere femminile così radicato nel mondo antico e tuttora non definitivamente sconfitta. Francesca Cenerini, che insegna “Storia sociale del mondo antico” e “Storia delle donne nel mondo classico” all’Università di Bologna, si è spesso interessata alla rappresentazione della condizione femminile di età romana attraverso l’analisi della documentazione epigrafica. Il libro “La donna romana. Modelli e realtà”, Il Mulino, pubblicato nel 2002, sempre di consigliabile lettura, mette a fuoco con indagini approfondite la vita della donna romana in tutti i suoi aspetti, il ruolo sociale ed economico e la dimensione quotidiana. Nonostante sporadici episodi, l’educazione femminile non aveva mai lo scopo di preparare una donna a un ruolo diverso da quello domestico e riproduttivo. Poche le donne che sapevano leggere e scrivere e in grado di istruire i figli. Le eccezioni riguardavano le appartenenti a élite cittadine che tuttavia passavano sempre attraverso il controllo maschile.

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