di Vincenzo Vita.

Alberto La Volpe ci lascia un grande vuoto, in una stagione già di per sé orrenda, in cui via via vengono meno alcuni dei riferimenti decisivi di un lungo ciclo di anni. Ecco, Alberto va collocato esattamente al vertice dell’immaginario dei ricordi, ora che ci ha lasciato dopo le complicazioni di una difficile operazione cardiaca. Ma fino a qualche giorno fa sorrideva ancora a chi lo andava a trovare, pure stremato e sorretto dall’ossigeno. E attorniato dall’amore della sua bella famiglia, cui facciamo condoglianze sentite prive di ogni retorica.

Il “direttore” fu tante cose, nel corso di una vita tanto intensa: giornalista della Rai, dalla vicedirezione dell’ouverture del Tg3 nel 1979 con Agnes e Curzi, conduttore degli speciali del Tg1, finalmente dal 1987 al 1993 responsabile del Tg2; ma non solo. Fu pure amministratore locale (sindaco di Bastia Umbra per circa un decennio, in cui organizzò –per ricordare una cosa che fece scalpore- un presidio antifascista contro un comizio della destra) e soprattutto dirigente politico. In tale dimensione, per lui essenziale perché l’impegno civile l’aveva nel sangue, si collocano l’esperienza parlamentare e il ruolo di sottosegretario ricoperto nei governi di Prodi e D’Alema.

Socialista mai pentito, sempre autonomo e aperto, riuscì a mantenere il Tg2 nel solco prestigioso inaugurato da Andrea Barbato malgrado il tormentato contesto craxiano dell’epoca. E, infatti, quella testata, grazie al marchio originario e alle sue professionalità, ha tenuto uno stile particolare. Ricordiamo la proposta di far tenere “Lezioni di mafia” a Giovanni Falcone, che non andarono in onda a causa dell’inferno dell’attentato.

Giornalisti si rimane per sempre, anche quando il fisico comincia a cedere. Un lucidissimo articolo critico verso l’atteggiamento chiuso e banalizzante della Rai sull’Islam e la questione mediterranea fu pubblicato, infatti, solo poche settimane fa – lo scorso giovedì 9 febbraio- da “Il fatto quotidiano”. “IL cda, la commissione parlamentare di vigilanza dovrebbero da subito cominciare a discutere su questi temi nuovi”. Così si concludeva il pezzo, con parole che suonano come un monito forte e condivisibile. Chissà se i vertici di viale Mazzini vorranno dare seguito alle indicazioni di chi ha dato lustro e onore al servizio pubblico. Le vicende internazionali, il Medio Oriente, la guerra e la pace sono stati argomenti cruciali dell’attività e della sensibilità. Si ricorda una performance teatrale tratta dalla tragedia di quell’area negletta del mondo messa in scena due anni fa al Teatro Argentina di Roma. E va sottolineata l’appassionata e propositiva presidenza dell’Associazione di amicizia Italia-Palestina, argomento di discussione periodica nei nostri incontri in questo o quel bar del centro. Sì, la Palestina era in testa, giustamente, alle preoccupazioni di una persona ricca di valori etici e assai politicamente acculturata. I nostri erano appuntamenti fugaci e volanti, cui Alberto teneva e che rimarranno per me un patrimonio morale e umano preziosissimo, indimenticabile. La discussione scivolava immancabilmente sullo stato della politica italiana, che lui giudicava con apprensione e severità. Ma il suo cruccio toccava il tema dei temi dell’esistenza di un compagno a tutto tondo: la sinistra deve rialzare la testa, caratterizzandosi come forza moderna e riformista. Non si può abdicare, ripeteva Alberto, persino in quella lunga telefonata: l’ultima, tragicamente. Non potevo immaginarlo allora e non riesco a capacitar meno oggi.

E sì, il rimpianto è tremendo. C’è ancora da fare quasi tutto, per realizzare quegli obiettivi così attuali. Ma le riflessioni garbate e tuttavia decise di un vero socialista gentiluomo hanno cessato di illuminarci e diverrà ancor più difficile orientarsi.

Però, ce lo siamo detti, il socialismo –quello buono- non muore mai.

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