Il variegato tessuto etnico e religioso del Kurdistan si era formato in migliaia di anni di convivenza tra popoli diversi. Questa rispettosa coesistenza venne gravemente minacciata. Nonostante le loro differenze, infatti, tali gruppi condividevano affinità e somiglianze culturali, economiche, politiche, psicologiche e sociali e consideravano le loro differenze come una fonte di ricchezza. Senza interferenze esterne, esse avevano generalmente vissuto in pace. Tuttavia, all’inizio del XX secolo, il modello dello stato nazionale forzatamente imposto dall’accordo Sykes-Picot del 1916 ebbe l’effetto di una pugnalata inferta al cuore del Medio Oriente e contribuì fortemente a seminare odio e ostilità tra i popoli, spingendo curdi, arabi, armeni, assiri, turcomanni e altri gruppi etnici al reciproco genocidio fisico e culturale. Risulta dunque evidente che i confini e i progetti politici “immaginati” e imposti dall’esterno non soddisfano i bisogni reali delle persone e non portano a risultati soddisfacenti. Le politiche imperialiste hanno portato in Medio Oriente la guerra, le cui vittime sono state e sono tuttora le diverse popolazioni e gruppi religiosi.

Le terre che formano il Kurdistan includono parti della Turchia orientale, dell’Iraq settentrionale, dell’Iran nord-occidentale e della Siria settentrionale, tutte abitate principalmente da curdi: in tutto, almeno 45 milioni di curdi che vivevano da molte migliaia di anni nella loro terra ancestrale. La divisione in quattro parti del Kurdistan permane tutt’oggi, sotto il controllo di Turchia, Iran, Iraq e Siria. Dal 2003, il Kurdistan iracheno gode dello status federale all’interno dell’Iraq, ma ancora oltre il 40% della terra del Kurdistan meridionale rimane sotto il controllo del governo di Baghdad (in particolare, l’area ricca di petrolio intorno alla città di Kirkuk). Dal 2012, i curdi hanno proclamato nel nord della Siria un’Autonomia Democratica aperta a tutte le componenti etniche e religiose presenti nell’area.

L’importanza geopolitica del Kurdistan, combinata con le notevoli risorse petrolifere e idriche del suo territorio, ha costantemente ostacolato, piuttosto che aiutato i curdi. Le situazioni e le questioni che i curdi hanno dovuto e devono affrontare nei paesi in cui la loro nazione è stata divisa variano in natura e intensità ma hanno fattori innegabilmente comuni: i curdi sono sospettati di avere idee e aspirazioni separatiste semplicemente in virtù della loro etnia, e hanno subito programmi di pulizia etnica (accompagnati da uccisioni di massa, deportazioni, discriminazioni e divieti di ogni genere).

La Turchia, membro “chiave” della NATO nello scacchiere mediorientale, scelse di restare “seduta da una parte” al di fuori della guerra contro l’autoproclamatosi Stato Islamico della Siria e del Levante (Iraq) e di muovere, invece, guerra proprio contro gli unici che sinora hanno avuto pieno successo nella lotta contro l’ISIL/ISIS: i curdi del Rojava (Kurdistan occidentale/Siria settentrionale). Proprio l’intervento militare dello Stato turco e i continui attacchi e i tentativi di invasione -che non accennano a fermarsi-anzi si stanno facendo più frequenti in Iraq e Siria, hanno sempre più esacerbato il conflitto aumentando la confusione politica già esistente in Medio Oriente, aggravando gli effetti disastrosi di questa lunga guerra e provocando tragedie umane di grandi proporzioni (intese non soltanto in termini numerici di vittime e di profughi).

In concomitanza con la guerra civile siriana iniziata nel 2011, i curdi del Rojava -al culmine di una sorta di “rivoluzione silenziosa” a cui forse erano preparati da tempo- si sono affrancati dal regime baathista e a partire dal 19 luglio 2012 hanno assunto il controllo del Kurdistan occidentale (Siria settentrionale), liberandolo palmo a palmo dall’occupazione dei terroristi dell’autoproclamatosi Stato Islamico e costituendovi una confederazione democratica aperta a tutte le etnie (arabi, armeni, assiri, ceceni, curdi, Turkmeni) residenti nell’area.

I successi curdi sono stati visti dalla Turchia come una seria minaccia all’integrità del proprio Stato unitario. L’affrancamento e l’ottenimento o la conquista dell’autonomia da parte dei curdi in Iraq e in Siria rappresentano, effettivamente, un pericolo per l’ideologia turca di annientamento e di negazione delle minoranze etniche autoctone. In Turchia, i curdi sono oltre venticinque milioni: essi sono non soltanto il più numeroso gruppo etnico del Paese, ma costituiscono una spina nel fianco e la sfida più seria e persistente al nazionalismo turco. Come se non bastasse, la maggior parte dei curdi del Bakur (Kurdistan settentrionale/Turchia sudorientale) vivono nelle aree a ridosso dei confini con la Siria, l’Iraq e l’Iran. Nonostante ripetuti genocidi e operazioni di pulizia etnica su larga scala, nella penisola anatolica vive tuttora la comunità curda più numerosa di tutto il Medio Oriente. Ed è proprio in Turchia che i curdi continuano ad opporre una strenua resistenza che dura ormai da quaranta anni, guidata dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Partîya Karkerén Kurdîstan – PKK) per difendere la loro libertà, per convincere la Turchia ad attuare un radicale cambiamento democratico e per ottenere il riconoscimento costituzionale dell’identità stessa del popolo curdo (prima ancora della sua autonomia). Per tali motivi la questione dei diritti dei curdi in Turchia meriterebbe di essere trattata a parte e con maggiore attenzione e urgenza rispetto alla situazione attuale dei curdi in Iraq, in Iran e in Siria.

Il genocidio pianificato del dittatore Erdogan è intollerabile. Va fermato e l’Europa non può fermarsi a semplici dichiarazioni di condanna. Vanno intraprese azioni concrete, come per esempio può essere il divieto di vendere armi alla Turchia, ma, soprattutto, va sostenuto il popolo curdo da questo violento e disumano attacco militare.

L’Europa è storicamente responsabile del disastro geopolitico nel medio oriente. Risoluzioni prese per puri interessi economici dettati dalla presenza del petrolio in quella regione.

Ci lamentiamo dei profughi che emigrano da quelle terre, ma ci dimentichiamo le loro condizioni materiali, l’assenza di diritti primari, la mancanza assoluta della soddisfazione di bisogni esistenziali per ogni essere umano.

Queste condizioni sono frutto delle egoistiche e scellerate politiche del colonialismo prima e della globalizzazione finanziaria adesso: due facce della stessa medaglia.

Il popolo curdo ha diritto alla sua autodeterminazione, ha diritto di vivere in pace, ha diritto di vivere. Siamo in debito con questa gente per averci salvato dal terrore dello stato islamico dell’ISIS.

Fermiamo il tiranno Erdogan, fermiamo questa guerra, mettiamo pace in quella polveriera le cui scintille possono esplodere in maniera irreparabile per tutto il genere umano.

La Sinistra per l’Umbria
Attilio Gambacorta

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