A cura di Associazione per il rinnovamento della Sinistra - Centro per le riforme dello Stato - Coordinamento per la democrazia costituzionale

Le prossime elezioni fanno presagire un ridimensionamento della costruzione dell’Unione europea  e il rischio di un cedimento a una politica reazionaria, basata sulle paure e  il senso di insicurezza  di donne e uomini.
Si respira un’inquietante aria “nera”, con terribili rigurgiti del passato. I rischi di guerra aumentano e la difesa della pace torna di estrema attualità.
Le migrazioni,  frutto della gestione “coloniale” degli scambi con l’Africa e, in particolare,  con i paesi del sud del Mediterraneo sono utilizzate come pretesto dell’ondata sovranista, e producono odio invece che proposte.
La costruzione europea, disegnata nei Trattati in luogo di costituire una società democratica, ha  realizzato un ordine giuridico ed un sistema di poteri fondati sul primato del mercato: non solo nelle relazioni economiche, ma pure in quelle sociali e politiche.
Negli anni della recessione, con i dogmi dell’ austerità e della stabilità finanziaria,  si è rafforzato il potere della tecnocrazia e si è  consegnato il mondo del lavoro e del welfare nelle mani delle multinazionali, in particolare quelle dell’era digitale. Gli Stati più forti dettano legge su quelli più deboli mentre distruggono i diritti fondamentali dei loro cittadini.
Una situazione insostenibile che rende l’Ue  una costruzione fragile e incerta, e spinge tutto il continente  in una posizione gregaria e subalterna nel nuovo ordine geopolitico che si profila nel mondo. Con l’allargamento della forbice tra chi ha e chi non ha l’attuale assetto socio-economico produce non solo disoccupazione e precarietà, bensì anche disorientamento, infelicità senza desideri. Ne consegue una realtà  sociale di  relazioni disordinate sempre più segnate dalla violenza, ed i tentativi politici, altrettanto violenti, di restaurare l’ordine “naturale” delle identità nazionali  e dei rapporti tra i sessi.
La politica non sa e non vuole  nominare la singolarità delle vite e la complessità dei problemi.
Per esprimerci, nel voto e non solo, sulle sorti comuni e per  contrastare disagio e  rabbia contro la sussunzione delle vite alla forma globale del capitalismo  dobbiamo rovesciare il messaggio, divenuto senso comune, “ce lo chiede l’Europa”.
Siamo noi che chiediamo all’Europa, come spazio fisico, sociale e culturale, di diventare un luogo vivibile.
Per cominciare a costruirla abbiamo deciso di partire da noi, dai soggetti sessuati, differenti che siamo, dalle pratiche che sperimentiamo, dalle relazioni con cui facciamo legame sociale.  Dal momento che il deficit di relazioni pesa quanto il deficit di beni, si tratta di riaprire il conflitto tra capitale e vite. Per questo proponiamo cinque punti  su cui organizzare l’azione politica europea: democrazia digitale, migrazioni, cittadinanza sociale, ambiente e lavoro, diseguaglianze.
Non ci interessa un astratto modello di società, bensì la capacità di ripartire dai soggetti e dalle loro pratiche. Dalle molte e  diverse esperienze che mirano non solo alla  resistenza, ma soprattutto alla costruzione di spazi di libertà sia  in Italia sia in Europa.
Muoviamo  dalla consapevolezza che, per opera del femminismo e della libertà delle donne, è in atto una trasformazione radicale. Al potere maschile è infatti venuta meno la fondamentale base di appoggio, quella dell’autorità patriarcale. Ne risultano aggravati l’uso del potere, lo sfruttamento e l’ingiustizia.
Ma nella realtà vi è anche rivolta a tutto questo, e nel segno femminista dell’inclusione e della collaborazione tra le varie lotte comincia a delinearsi un percorso comune, come è avvenuto con la grande manifestazione femminista di Verona il 30 marzo scorso in concomitanza con il “Congresso mondiale delle  famiglie”.   
Sono esperienze orientate dal desiderio di trasformare le vite e la politica, mettendo al centro altre priorità e proponendo risposte diverse al malessere e alle aspettative.  Ed è tornato il desiderio di immaginare un’Europa diversa e migliore, e di lavorare per realizzarla.

Europa digitale

L’Europa può, deve diventare luogo di riferimento di un governo democratico dell’era digitale. Non può che essere, infatti, il luogo per la rimessa in discussione del primato e del controllo delle logiche proprietarie nelle infrastrutture tecnologiche, che devono –invece- diventare beni comuni. Contro la dittatura di pochissimi oligopoli  “calcolanti su un popolo di “calcolati”. Dominio  che rende lavoro, democrazia e senso comune fattori di un unico processo di pianificazione omologante.
Il digitale non è, infatti, solo e tanto una tecnologia avanzata e pervasiva. E’ soprattutto un modo di produzione basato sulla potenza di calcolo, attraversato da conflitti sociali persino superiori a quelli che hanno connotato i precedenti modelli.
Il possesso dell’abnorme quantità di dati personali che circolano sotto l’egida degli Over The Top (da Google ad Amazon a Facebook) e la proprietà degli algoritmi che ne costituiscono il principio ordinativo sono l’essenza del capitalismo delle piattaforme: l’altra faccia –coessenziale- del liberismo finanziario.
La crisi del vecchio ordine globalizzato, con i suoi istituti e i suoi riti ben impiantati nelle culture analogiche, ha favorito l’avvento di nuovi poteri oligarchici in grado di utilizzare la fortuna dei social come base per influenzare consumi commerciali e orientamenti politici. Il caso di Cambridge Analytica è la punta dell’iceberg. I profili e le identità di donne ed uomini sono impropriamente diventati uno strumento formidabile per accumulare valore, sapere. Potere smisurato ed estraneo alla stessa sintassi liberale. Qualcosa che ci porta ad una forma inedita di “elettroregime”, di “datacrazia”. Basti rileggere, ad esempio, i recenti discorsi della giornalista di Observer Carole Cadwallard, che ha messo in luce la pericolosità del vastissimo protettorato di Mark Zuckerberg.  E il co-fondatore di Facebook Chris Hughes ha posto il problema di introdurre regole antitrust.
Entra in scena prepotentemente l’intelligenza artificiale, che avrà sempre più un ruolo determinante nell’industria creativa, ora alle prese con un’accelerazione straordinaria della “riproducibilità tecnica”. La risposta europea può diventare dirimente per definire il carattere di bene comune dell’intelligenza umana incorporata nelle macchine.
Al contrario l’Europa, con l’eccezione del buon Regolamento sulla privacy (n.2016/679), si è rivelata assai debole e contraddittoria. Tale limite è apparso evidente nel corso delle polemiche che hanno preceduto il varo della “Direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale” (n.2016/0280), dove è mancata  una sintesi progressiva e non staticamente arretrata tra la doverosa tutela del lavoro intellettuale e le istanze libertarie della Rete. Così è stato pure per la “Direttiva sui servizi di media audiovisivi” (n.2018/1808), chiaramente esposta alle lobby delle televisioni private.
Neppure troppo lusinghieri sono i risultati di “Europa 2020”, il programma volto ai temi dell’innovazione.
E’ fondamentale frenare l’irresistibile ascesa degli Over The Top, attraverso una forte tassazione dei profitti e mediante interventi forti: per rendere trasparenti gli algoritmi utilizzati ed intervenire sulle iniquità. Il salto di qualità decisivo è la “contrattazione della potenza di calcolo”, in un quadro di approccio all’universo digitale come territorio di nuovi conflitti da riconoscere e organizzare.
In tal senso, si possono avanzare alcune proposte concrete: l’istituzione di un”Registro dei dati e delle formule algoritmiche”, da rendere pubblico in base ai criteri del Freedom of Information Act (FOIA); nonché la creazione di una sezione specializzata della Corte di giustizia dell’Unione europea, dedicata specificamente al mondo digitale.
Sul versante radiotelevisivo, tuttora cruciale nella costruzione dell’immaginario collettivo, è necessario fare un salto di qualità, mettendo le basi di un servizio pubblico europeo.

Europa e immigrazione

Il tema dell’immigrazione, a prescindere dalla realtà, ma forse potremmo dire a dispetto della realtà, e quindi anche dalle dimensioni e dalle caratteristiche dell’arrivo e della presenza di migranti in Europa, è diventato una delle questioni centrali nella definizione dell’identità europea.
Le destre xenofobe e razziste, spesso direttamente legate a movimenti neo fascisti, hanno costruito il loro spazio politico e culturale, le loro fortune elettorali e non solo, prevalentemente intorno a quest’argomento, rispolverando una vecchia formula usata dal nazismo e anche dal fascismo, che si richiama direttamente al primato dell’appartenenza nazionale e agli interessi da tutelare contro i “nemici stranieri”.
La formula “prima gli italiani”, del tutto sovrapponibile a quel “America First” dell’ultra conservatore Trump e, andando indietro negli anni bui del vecchio continente, al DeutschlandUberAlles” del nazismo, riscuote successo in Italia come, declinata nei diversi Paesi, a quasi tutte le latitudini.
Si tratta solo dell’ultima tappa di una gara che vede forze oscurantiste, conservatrici e xenofobe, insieme a forze democratiche, impegnate da anni a contendersi uno spazio pubblico costruito intorno alla sottrazione di diritti alle persone di origine straniera.
Una corsa che va avanti da più di 20 anni e che ha portato nel nostro Paese ad esempio, ma vale per gran parte dei Paesi europei, a rendere impraticabile l’ingresso regolare agli stranieri sia per motivi di lavoro sia per richiesta d’asilo.
La cultura proibizionista, che favorisce i trafficanti, rende ricattabili e socialmente fragili i lavoratori e le lavoratrici stranieri; caratterizza oramai l’agenda europea sull’immigrazione, sempre più concentrata sull’esternalizzazione delle frontiere e sui programmi di rimpatrio forzato.
Se le destre hanno così ben interpretato il loro ruolo, da riuscire a dettare l’agenda alle Istituzioni Europee, e ai governi nazionali, che oramai parlano e programmano attività e politiche su tali temi, in maniera quasi ossessiva, partendo dalla criminalizzazione dell’immigrazione, le forze democratiche e di sinistra non sono state, fino ad oggi, in grado di trovare una proposta credibile e una strategia alternativa.
Le forze socialiste e democratiche, con pochissime eccezioni,sono da anni impegnate a inseguire le destre, perseverando, dopo numerose sconfitte (e dopo aver perso ogni legame con quella che era la propria base sociale), nel proporre una dose omeopatica di razzismo, per curare le dosi massicce delle destre.
La formula “prima gli italiani”, o “prima i francesi”, resta di gran lunga più efficace se non si costruisce una alleanza tra i lavoratori e le lavoratrici straniere e quelli/e italiani/e, ossia se non si considera la condizione di discriminazione e di violenza che subisce il mondo dell’immigrazione un terreno di battaglia per tutti.
Una strada che va intrapresa promuovendo il protagonismo e l’emancipazione dei migranti, soprattutto delle nuove generazioni. Se non saranno i giovani di origine straniera a prendere la parola e la testa di un movimento per l’emancipazione della loro condizione, non ci sarà nessun passo avanti e l’immigrazione sarà sempre uno strumento usato per la propaganda della destra xenofoba, con il rischio di una mutazione antropologica, oramai in atto da anni, difficilmente reversibile.
L’Unione europea, per invertire la direzione, dovrebbe fare alcune scelte coraggiose quanto ragionevoli:
    1. introdurre, attraverso una direttiva, vie d’accesso per ricerca di lavoro, anche autonomo, nonché modalità permanenti, non straordinarie, di uscita dall’irregolarità che tengano conto della condizione di inclusione sociale e lavorativa delle persone;
    2. riformare, secondo le linee individuate dal documento votato dal Parlamento Europeo in questa legislatura, il Regolamento Dublino, consentendo una ripartizione equa e ragionevole dei richiedenti asilo, a partire dalle esigenze delle persone coinvolte e avendo cura dei territori e dei legami precedenti tra le persone e quei territori;
    3. Chiudere la stagione del “diritto speciale per gli stranieri”, con l’abolizione di ogni forma di detenzione amministrativa legata allo status giuridico;
    4. Trasferire le competenze riguardanti il soggiorno degli stranieri agli enti locali, sottraendole alle forze dell’ordine e al sistema della Sicurezza
    5. Implementare un programma europeo di ricerca e salvataggio e in parallelo un programma di reinsediamento per un numero non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione europea ogni anno.
    6. Interrompere i programmi e gli accordi per il controllo delle frontiere esterne all’UE, soprattutto in paesi come la Libia, l’Egitto, la Turchia, il Niger, il cui effetto è l’aumento dei morti e delle violazioni dei diritti umani, che spesso si traducono in veri e propri crimini contro l’umanità.

Cittadinanza sociale

La proposta centrale è quella di lavorare per una cittadinanza sociale europea.
Uno status di diritti che l’Unione garantisca a donne ed uomini. Capace in primo luogo di abbattere in ogni campo ogni discriminazione , di uniformare i diversi livelli di servizi sociali tra i paesi dell’Unione e garantirne la piena agibilità ed esigibilità.Noi puntiamo a un riconoscimento dei singoli cittadini e delle singole cittadine europei/e che non passi attraverso la mediazione degli Stati. Noi pretendiamo che la stessa Unione sia diretta responsabile dei diritti fondamentali (reddito, lavoro, salute, casa etc.). Non è sufficiente che l’Europa consenta al corpo intermedio 'Italia' di fare più debito. Il bilancio comunitario deve pagare i servizi sociali europei, garantendo a tutti i cittadini europei livelli uniformi.
Per garantire l’universalità dei diritti sociali è indispensabile  che l’Unione economica e monetaria sia dotata di un vero e proprio governo politico ed economico e di un bilancio idoneo fondato su una capacità fiscale autonoma. Occorre allora  ripensare e democratizzare l’attuale struttura istituzionale europea, costruendo un sistema realmente rappresentativo, che le attuali regole non garantiscono, mettendo il Parlamento in grado di esercitare il potere legislativo e un reale controllo politico sugli altri organi europei.
E’ quindi necessario lavorare con gli altri europei democratici a una proposta di riforma istituzionale dell’Unione, con l’obiettivo di trasformare la stessa in una democrazia parlamentare piena.
In tale quadro di democratizzazione dell’Unione è necessario promuovere un “processo costituente” e definire una riforma elettorale che preveda liste per le elezioni europee non più su base nazionale, bensì con candidature di carattere europeo. Per portare l’Unione ad adottare una Costituzione condivisa dai popoli. Per un’Europa davvero federale.
E’ doveroso affrontare non solo nei singoli paesi bensì a livello comunitario i grandi temi che permettano una conversione ecologica dell’economia. La difesa dell’ambiente e del territorio, la lotta contro le perniciose mutazioni climatiche  non possono essere scisse da quelle per un nuovo modello di sviluppo, fondato su una innovazione non distruttiva dell’ambiente naturale e sociale; per una politica fiscale che permetta la giusta tassazione dei nuovi soggetti economici globali (Google, Facebook, Amazon e così via); per una giustizia fiscale, basata sulla progressività delle imposizioni, sulle tassazioni delle grandi ricchezze nelle loro varie forme e delle transazioni speculative (Tobintax); per l’eliminazione dei paradisi fiscali, eliminando da subito quelli che sono all’interno della Ue; per la creazione di lavoro puntando sui settori innovativi; per una giusta retribuzione, abbattendo i dumping salariali, e per un’efficace tutela del lavoro, attuando livelli retributivi e diritti di livello europeo, con politiche attive del lavoro unificate a livello continentale; per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione; per il diritto a un reddito di base che sottragga giovani e disoccupati dal ricatto dei lavori precari o in nero; per il diritto alla casa, all’ assistenza e previdenza pubbliche.  
Si tratta in sostanza di dare vita a un grande progetto, un new deal a livello continentale, di cui la stessa Unione deve essere direttamente responsabile in modo unitario, senza fare venire meno le responsabilità specifiche dei singoli stati nazionali nell’attuazione di tali politiche.

Ambiente e lavoro
Le scelte europee sono nelle mani di poteri che rispondono agli interessi della grande finanza.
Poteri che, con la logica del libero mercato e del massimo profitto, hanno aggravato il degrado ambientale del pianeta, dell’Europa e di ognuno di noi.
Una delle grandi sfide che l’umanità ha davanti a sé sono i cambiamenti climatici che provocano desertificazione e innalzamento dei mari, siccità, scioglimento dei ghiacciai e devastanti alluvioni.
Entro brevissimo tempo la temperatura del pianeta toccherà punte non più sostenibili sia per le popolazioni più povere ( le meno responsabili e le più colpite),  sia per vaste zone del pianeta. Tutto ciò sconvolgerà l’economia mondiale, saranno compromessi coste e ghiacciai, le città e le infrastrutture. I beni comuni subiranno sconvolgimenti ed emergeranno nuovi pericoli per la salute delle attuali e delle future generazioni così come per le altre specie. Tutto ciò può e deve essere evitato attraverso immediate e profonde riforme ecologiche, economiche e sociali.
La Conferenza internazionale sul clima di Parigi (2015) non ha inciso, si è risolta in un’esortazione agli Stati a non superare la crescita della temperatura di 1,5-2 gradi nei prossimi decenni, ma nulla di più.
E ciò perché gli impegni degli Stati sono stati ancora una volta rimessi alla volontarietà dei governi. Per di più il presidente americano Trump ne contesta sciaguratamente il merito.
Greta e con lei milioni di adolescenti, in 100 paesi del mondo, si sono mobilitati e si mobilitano contro i cambiamenti climatici. La loro richiesta è quella di avere un futuro. Non servono onorificenze paternalistiche, bensì soluzioni. La risposta più onesta è quella di rimuovere il proprio colpevole immobilismo, operando una svolta ecologista epocale.
La lotta contro il cambiamento climatico è intrecciata al cambiamento civile delle società. Essa richiede una visione d’assieme e una forte determinazione politica che può nascere solo da una nuova idea di società fondata sulla solidarietà tra i popoli, sull’uguaglianza e sulla tutela della natura. La globalizzazione liberista e la risposta neonazionalista e razzista del trumpismo non solo hanno arricchito pochi e creato forti diseguaglianze, ma hanno acuito il degrado ecologico e continuano ad aggravarlo.
Il tempo è poco e non va sprecato. Alle istituzioni europee si richiede una drastica inversione di rotta.
È necessario stabilire una responsabilità diretta dei singoli Stati, in un quadro di sostegno e coordinamento europeo, per predisporre politiche pubbliche di mitigazione e adattamento necessarie per guidare la transizione verso un modello energetico decarbonizzato e per far crescere un’economia circolare per il risparmio delle materie. L’intervento delle istituzioni europee per accompagnare e concretizzare l’azione dei singoli Stati è fondamentale.
Cosa può fare l’Europa e quali proposte servono?  
Su alcuni settori strategici economico-sociali sono da avviare e/o consolidare politiche di sostenibilità ecologica: energia; riciclaggio delle materie dai rifiuti; difesa del territorio dal consumo e dalla cementificazione; biodiversità: difesa e ripristino di habitat, aree verdi e parchi; mobilità sostenibile; acqua potabile, bacini e rete idraulica delle città e delle campagne;  bioagricoltura e qualità del cibo; innovazione ecologica dell’industria della chimica e bioplastica; abbattimento degli inquinamenti industriali e bonifiche; piani per la qualità ecologica delle città; tutela dei beni artistici e storico-archeologici.
Occorre intervenire per superare i limiti più gravi e strategici delle politiche europee che sono, da una parte, la separazione delle politiche ambientali da quelle dell’occupazione, della produzione e del commercio; dall’altra parte, la strutturale debolezza degli strumenti necessari per raggiungere gli obiettivi.
Pertanto vanno ripensate e cambiate metodologie e funzioni delle istituzioni europee:
gli accordi volontari vanno sostituiti con accordi di programmazione esigibili e verificabili; gli Stati vanno accompagnati nella fase di programmazione concordando obiettivi, professionalità, tecnologia, strumenti tecnici e finanziari, tempi e controlli nella fase di realizzazione

le risorse e gli strumenti finanziari della BCE e delle Banche nazionali vanno potenziati e rinnovati, cominciando dai finanziamenti per lo sviluppo sostenibile che debbono risultare nei bilanci degli Stati come investimenti e non come costi, e messi a disposizione di politiche pubbliche su  precisi settori.
Nella lotta contro i cambiamenti climatici le priorità sono:
    1) Energia. Accelerare la transizione dall’attuale sistema energetico basato sulle fonti fossili (petrolio, carbone, gas) a quello sostenibile predisponendo, entro il 2019, un piano di transizione che preveda la riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030 attraverso: l’aumento dell’uso delle fonti rinnovabili (energia solare, idrogeologica, idroelettrica, eolica); un forte incremento dell’efficienza energetica per gli immobili, gli impianti caloriferi, i sistemi d’illuminazione, gli elettrodomestici, i cicli produttivi e la rete di distribuzione.
Ciò che renderà credibile la volontà dell’Europa di avviare la transizione energetica è mettere fine della guerra per il petrolio, che da decenni devasta il Medio Oriente e i paesi dell’Africa del nord.

    2) Trasporti. Istituti finanziari e fondi dedicati per l’estensione della mobilità sostenibile: cabotaggio; treni, tram, metrò; incremento del parco mezzi pubblici elettrici; ciclabilità, auto elettriche, car pooling e car sharing.
    3) Rifiuti. Organizzazione del mercato del riciclaggio su scala europea e riorganizzazione del ciclo dei rifiuti: produzione, consumo, raccolta, riciclaggio. Non è sufficiente indicare linee guida generali (logica del comando e controllo). Occorre, bensì, intervenire a monte con la programmazione pubblica e con azioni di collaborazione diretta tra imprese e istituzioni, tra Stati, regioni e comuni su: tecnologia, sistemi di raccolta, impianti di selezione, recupero materia, mercati, formazione e occupazione.
    4) Tutela delle acque. Piano per la tutela dei bacini idrici, precise responsabilità per il governo unitario dei fiumi, fondo europeo per la riorganizzazione della rete idraulica delle città e delle campagne che è sottoposta a pesanti stress a causa degli sbalzi climatici che determinano forti oscillazioni tra siccità, devastanti alluvioni e allagamenti.
    5) Provvedimenti per pulire i mari e le terre dalla plastica: riconversione dell’industria chimica per la produzione di plastiche biodegradabili e superamento del consumo delle confezioni e delle bottiglie di plastica.
    6) Tutela della biodiversità e dei diritti degli animali.

Diritti diseguali

 Viviamo una crisi che è molto più grande rispetto a quella del ’29 e attraversiamo tempi segnati da disuguaglianze, ingiustizie sociali e ambientali profondissime, come mai prima. Oltre 120 milioni di cittadini/e europei/e sono a rischio povertà e già decine di milioni sono in povertà assoluta, mentre disoccupazione, precarietà e lavoro povero sono diventati la regola per troppi. Abbiamo a che fare con la generazione di giovani più impoverita di sempre in tempi di pace, a cui stiamo negando non solo il futuro ma persino la possibilità di avere speranza.  Le pulsioni sul campo tendono a ricordare tempi nefasti, tremendamente importanti per la nostra memoria e, dunque, per comprendere e intervenire sul futuro.
Il continente fondato sui diritti sociali e il benessere di tutte e tutti è oggi segnato da politiche profondamente sbagliate e ingiuste che stanno facendo crescere povertà e disuguaglianze a livelli così gravi da aver fatto saltare già in molti luoghi la coesione sociale e il processo di partecipazione dei cittadini e delle cittadine  alle scelte politiche. Scelte che la maggior parte di loro vedono a esclusivo vantaggio delle élite economiche e finanziare, le uniche a essersi arricchite grazie alle norme e alle scelte fatte dalla governance di Bruxelles e di Francoforte.
 In tale  scenario e nell’assenza di visioni politiche capaci di ridare forza e passione al progetto di un’Europa sociale, libera e solidale, fondata sulla cooperazione tra i popoli ed ecologicamente orientata, sono le forze nazionaliste, xenofobe e antieuropee ad avanzare. La ricetta è sempre la stessa: spostare le responsabilità della crisi sui più deboli, sugli impoveriti, sui migranti, sui ricattabili, su coloro che non accedono alle informazioni e ai processi decisionali, nascondendo il furto di diritti e democrazia operato proprio da quelle stesse forze politiche che per anni hanno sostenuto politiche di austerità, tagli al sociale, finanziarizzazione dell’economia, controriforme del lavoro,privatizzazioni dei principali servizi basici e dei beni comuni.
Se si vuole cambiare simile quadro, si deve partire da chi è in difficoltà, investendo in politiche sociali e servizi. La lettura tossica e bugiarda prevalente va spezzata, se vogliamo disarticolare la guerra tra poveri e trasformare la nostra rabbia in sete di giustizia, orientando le nostre attenzioni e proposte verso i ceti dominanti. Questo è vero una volta di più, se pensiamo che in Europa in questo tempo di crisi – come denunciato nella campagna (IM)Patto Sociale portata avanti circa due anni fa da centinaia di realtà e associazioni della Rete dei Numeri Pari - sono stati tagliati 2300 miliardi di euro dalle politiche sociali e dal welfare in generale. Una cifra enorme cui si contrappongono gli oltre 3000 miliardi di euro destinati al salvataggio delle banche dopo la crisi finanziaria provocata da un sistema bancario e finanziario speculativo fuori controllo e ormai sganciato dall’economia produttiva.
La tendenza, insomma, è quella di guardare sempre a chi sta peggio, invece che capire insieme a chi sta male il perché della nostra condizione, di chi sono le responsabilità e, soprattutto, se ci sono alternative rispetto a quanto ci propone l’attuale fase politica che ci vuole privi/e di speranza e confinati/e tra la politica del rancore, la democrazia inefficace ed incoerente del televoto o le suicide politiche di austerità delle forze allineate alla governance di Bruxelles.
Gli scenari che abbiamo davanti, in assenza di alternative efficaci sono: la nascita di un’Europa a due velocità con i paesi del sud sempre più in difficoltà, oppure la disgregazione dell’Europa stessa a causa delle forze politiche di ispirazione neonazionalista. Noi crediamo che esistano alternative, ma bisogna dare loro voce e gambe in Europa sulle quali camminare per raccontare con forza la verità su questi ultimi dieci anni: abbiamo bisogno di costruire iniziative politiche, proposte e attività che diano forza e slancio a un nuovo umanesimo europeo, capace di dare continuità ed evoluzione a quel progetto di Europa sociale iniziato anni fa.

 

 

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