di Alfonso Gianni - Il Manifesto - 06.09.2019

Il sospiro di sollievo dopo l’autoaffondamento del ministro della malavita non deve fare dimenticare i nodi tutti aggravati dell’economia e della vita reale. Tanto più che il quadro internazionale indica che potremmo essere alla vigilia di una nuova recessione su scala mondiale. A pagarne il prezzo più alto sarà l’Europa, a causa delle sue politiche restrittive, visto anche che la locomotiva tedesca pare essersi infilata su un binario morto, malgrado tardive autocritiche sulle rigidità di bilancio. E forse tutto ciò ha un nesso con la crescita elettorale dell’estrema destra in Germania e la perdita di consensi della Grossa Coalizione. Da noi si prevede crescita zero, con un Sud avviato alla recessione. In un quadro siffatto ci vorrebbe un programma economico in aperta controtendenza rispetto a quelli che l’hanno preceduto e alle linee portanti della Ue. Anche l’ex capo economista del Fmi Olivier Blanchard è giunto alla conclusione che in una simile situazione l’austerity è una pessima ricetta contro l’incremento del debito. Al contrario la benedizione fornita a Roberto Gualtieri, nuovo ministro dell’economia, da Christine Lagarde sembra il bacio della donna ragno. Per non parlare dell’augurio di Mario Monti rivolto sempre a Gualtieri di “scontentare la gente”, come a suo tempo fece la sua ministra Fornero. La presunta discontinuità del governo non ha ancora mosso i suoi primi passi che già viene richiamata nel più tranquillo alveo della continuità, sia con alcuni assi portanti del Conte uno, quelli del M5S, sia con i precedenti governi a guida Pd. Ha ragione Piero Ignazi a dire che chi rischia di più è il Pd, che potrebbe svenarsi a vantaggio del M5S come Bersani fece con Monti. La definizione dei 29 punti programmatici sembra più dettata dal desiderio di cancellare l’ingombrante eredità salviniana che non a fornire la base per una svolta, che viene percepita ed è tale solo se va subito incontro alle esigenze popolari in termini di reddito e di occupazione. Lo si vede bene sui temi economici. E’ vero che fa capolino l’espressione “politica economica espansiva”, ma a parte la sua assoluta indeterminatezza, essa viene costretta una riga dopo a non “mettere a rischio l’equilibrio della finanza pubblica”. Gualtieri ha costruito la sua fortuna in Europa nel tentativo di coniugare flessibilità e stabilità. In fondo non è che Tria pensasse a qualcosa di molto diverso. I famigerati mercati hanno preso bene la notizia del nuovo governo: lo spread è sceso sotto i 150 punti, il decennale del Tesoro ha continuato la discesa sui minimi storici, ora è allo 0,83% (un dato certamente significativo perché nel resto dell’Eurozona i rendimenti si sono mossi in modo inverso). Indubbiamente un sollievo visto il nostro elevato debito pubblico. Ma ci vorrebbe ben altro per affrontare lo scoglio imminente della legge di bilancio, che dovrebbe ammontare a una cifra che si aggira attorno ai 35 miliardi, ove molto spazio è dovuto ai 27,6 miliardi che sono obbligati (secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio) per sterilizzare completamente le clausole Iva da 23,1 miliardi nel 2020 e per garantire le spese “indifferibili”. Il governo può contare su 8/10 miliardi provenienti dal trascinamento dell’aggiustamento di luglio, dalle spese più contenute per Quota 100 e per il cd reddito di cittadinanza, dalle maggiori entrate fiscali grazie alla fatturazione elettronica, nonché dalla minore spesa rispetto a quella preventivata per interessi sul debito. Ma mancano all’appello più o meno 25 miliardi. La spending review è la solita araba fenice, le privatizzazioni promesse (per fortuna) non sono andate in porto (si prevedevano 18 miliardi), i condoni fiscali sono fin troppo abusati per essere efficaci. Mentre parlare di patrimoniale è vietato. E’ un azzardo morale e di presunzione puntare tutto su nuove tranche di flessibilità dalla Ue. Malgrado la nomina a Commssario europeo, probabilmente all’economia, di Paolo Gentiloni. Nel programma si parla di “neutralizzazione dell’aumento dell’Iva”, ma nulla si dice sul reperimento delle risorse. Non solo, ma circola l’ipotesi di un incremento dell’Iva modulato in modo da creare un impatto sociale più contenuto. L’aumento del costo della vita sarebbe - secondo studi accreditati – non inferiore a 472 euro annui in media per una famiglia tipo. Anche distribuendo meglio l’incremento dell’Iva rispetto alla tipologia dei consumi sarebbe pur sempre il contrario di una manovra espansiva. Del cuneo fiscale si dice che sarà a vantaggio dei lavoratori, ma è bene vedere i modi e i numeri. I precedenti, come quelli di Prodi, sono evaporati prima di raggiungere i meno abbienti. Naturalmente il jobs act resterebbe in piedi e così il decreto “dignità”, malgrado che i dati su scala annua abbiano smentito la diminuzione del lavoro precario. Sul salario minimo la formulazione usata si avvicina alle tesi sindacali con tutti i dubbi che l’estensione dell’erga omnes risolva i problemi di salari vergognosi in settori privi di sindacalizzazione. Non manca, ovviamente, nel programma un cenno alla “transizione ecologica”, ma sono belle parole perché niente si dice su quanti investimenti pubblici si prevedono al riguardo. Non c’è la flat tax universale, essendo il cavallo di battaglia di Salvini - che però già puntava a tante flat tax corporative - ma in compenso si pensa di ridurre le aliquote a tre e soprattutto si finge di non vedere la controriforma fiscale nei fatti già in atto da tempo. Ci sarebbe molto da fare per una sinistra che volesse avanzare e praticare un’alternativa di programma.

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