di Eoghan Gilmartin e Antonio Maestre* - JacobinItalia.

Alcuni giorni fa, nel quinto anniversario della nascita di Podemos, il co-fondatore e principale stratega del partito Íñigo Errejón ha scosso la sinistra spagnola annunciando che avrebbe corso come candidato per una nuova formazione politica alle prossime elezioni regionali di Madrid. Fino a quel momento aveva avuto il mandato di guidare la campagna di Podemos per l’importante presidenza di Madrid.

Ma con i negoziati tra Errejón e la leadership nazionale bloccati sul tema della composizione della sua lista elettorale, il trentacinquenne ha deciso di unirsi a Más Madrid, la nuova piattaforma della sindaca di Madrid Manuela Carmena. E lunedì scorso si è dimesso da membro del parlamento spagnolo, sebbene insista che rimarrà membro di Podemos.

Date le crescenti tensioni del rapporto tra Errejón e il leader del partito, e un tempo amico intimo, Pablo Iglesias, la scissione è stata a lungo una possibilità. Ma l’annuncio ha colto la direzione di Podemos alla sprovvista. Errejón ha telefonato a Iglesias, che è attualmente in congedo di paternità, solamente qualche minuto prima dell’annuncio, e molti hanno appreso della svolta dai social media. In una lettera aperta a Errejón pubblicata giovedì 24 gennaio, Iglesias ha risposto affermando che «gli iscritti del partito meritano di più» di manovre segrete e che «non può credere che Manuela e Íñigo abbiano tenuto nascosti i piani di lanciare il proprio progetto elettorale».

La dirigenza di Podemos ha ripetutamente descritto Errejón come definitivamente fuori dal partito, ritenendo che le sue azioni abbiano «bruciato tutti i ponti». Errejón insiste che la porta rimane aperta per una candidatura congiunta a Madrid, anche se questo ora dovrebbe avvenire attraverso la piattaforma di Carmena, e difende la sua mossa improvvisa sostenendo che, dopo gli scarsi risultati elettorali di Podemos in Catalogna e Andalusia, la sinistra spagnola ha bisogno di ripartire da zero.

La sua scommessa è che con un cartello elettorale congiunto con la popolarissima Carmena, che corre per la rielezione al municipio di Madrid, la sinistra possa riprendere l’energia e lo slancio che hanno catapultato Podemos sul palcoscenico nazionale cinque anni fa. Tuttavia, con una destra sempre più radicale in ascesa, il rischio è che le ulteriori divisioni nella sinistra portino semplicemente a un disastro elettorale.

Il collaboratore di Jacobin Eoghan Gilmartin si è rivolto al giornalista spagnolo Antonio Maestre per analizzare questi sviluppi e discutere le possibili conseguenze per Podemos e per la sinistra spagnola, alle porte di un intenso ciclo elettorale destinato a culminare in elezioni politiche da qui ai prossimi dodici mesi.

Le relazioni tra Iglesias ed Errejón sono tese ormai da anni. Ma cosa ha esattamente portato alla decisione della scorsa settimana di Errejón di rompere con il partito?

C’è stata una chiara rottura tra i due già al secondo congresso di Vistalegre all’inizio del 2017, che li ha posti su percorsi politici divergenti. La disputa allora era incentrata su questioni di strategia ma soprattutto sulle alleanze. Errejón si era opposto all’alleanza con Izquierda Unida [a guida comunista], un ostacolo che non sono mai stati in grado di superare. A sua volta questo ha comportato una rottura della loro relazione personale e di lavoro, con i due che trovavano difficoltà sempre maggiore a separare le differenze politiche da quelle personali.

Dopo il congresso di Vistalegre, i due hanno sottoscritto una tregua poco convincente, con Errejón che accettava la guida della campagna del partito per le regionali a Madrid. Era poco convincente perché allo stesso tempo Ramon Espinar [uno stretto alleato di Iglesias] è leader del partito nella regione. Dato questo equilibrio precario, c’era sempre la sensazione che tutto a un certo punto sarebbe esploso.

È successo la settimana scorsa per due ragioni. La prima è la forte opposizione di Errejón alla reazione del partito agli scarsi risultati alle elezioni regionali in Andalusia a dicembre. Di fronte all’exploit del partito di estrema destra Vox, Podemos ha proclamato il ritorno della battaglia antifascista. Nella visione di Errejón, questa linea può piacere ai fedeli al partito ma non può sperare di capovolgere il calo nei sondaggi di Podemos nell’elettorato più ampio. Il secondo è la convinzione che la dirigenza nazionale gli stia rendendo impossibile condurre la propria campagna elettorale, soprattutto per l’imposizione di un accordo con Izquierda Unida per una lista elettorale congiunta, a cui è contrario.

Questi fattori lo hanno spinto a cercare di comporre un cartello elettorale congiunto con la sindaca di Madrid Manuela Carmena. Nella sua ottica, un tale cartello ha maggiori possibilità. Ma allo stesso tempo, intenzionalmente o no, infligge un colpo mortale alla strategia di Iglesias nella regione. In questo momento, Errejón ha in mano il pallino dell’iniziativa, perché Podemos ha pochi candidati alternativi abbastanza forti da gareggiare contro di lui.

Quindi la scissione è definitiva? O c’è la possibilità di un’ulteriore trattativa?

La scissione in questo momento è un fatto ma la grande debolezza della posizione di Unidos Podemos [la coalizione tra Podemos e Izquierda Unida] può di fatto facilitare un accordo – in altre parole, aumenta la possibilità che Podemos e Iu siano spinti a un accordo con Errejón e Carmena. Altrimenti, ci sarà da vedere se sono capaci di costruire una valida candidatura alternativa ad Errejón che sia in grado di ritagliarsi uno spazio elettorale a sinistra.

Con le elezioni in Andalusia, la sinistra in generale, e Unidos Podemos in particolare, non è riuscita a mobilitare il proprio elettorato, che si è rifugiato in gran parte nell’astensionismo. Quest’ultima scissione creerà un’ulteriore demoralizzazione tra gli elettori di sinistra?

I risultati in Andalusia [che hanno visto eleggere la prima maggioranza di destra in oltre 35 anni in una regione tradizionalmente socialista] hanno generato un terremoto politico in tutta la Spagna. La frammentazione della destra [con il voto diviso tra il tradizionale Partido Popular e le nuove arrivate Ciudadanos e Vox] ci si aspettava danneggiasse le possibilità concrete della destra stessa. Tuttavia alla fine ne è uscita vincitrice, in primis per la smobilitazione della sinistra ma anche per la competizione crescente che ha consentito ai tre partiti di destra di mobilitare elettorati diversi.

Ciò non significa che questa dinamica reggerà nel prossimo ciclo elettorale. Per esempio, la paura di ulteriori vittorie dell’estrema destra potrebbe condurre a una maggiore mobilitazione degli elettori di sinistra. In questo momento siamo in una nuova situazione, in cui tutto è ancora indefinito. È molto difficile dire se la frammentazione a sinistra possa danneggiarla o avere effetti benefici simili a quelli visti a destra, in ogni caso direi che normalmente la dinamica elettorale della sinistra è diversa da quella di destra.

In questa nuova congiuntura, nella quale le analisi tattiche esistenti non sembrano più rilevanti, Errejón ritiene la strategia di Unidos Podemos perdente e una piattaforma congiunta con Carmena l’unica strada per generare un nuovo slancio. Invece di essere costretto a una strategia e a una lista elettorale nelle quali non crede, ora ha completa libertà di scegliere la propria squadra ed è libero dalle restrizioni che il partito stava imponendo al numero delle sue apparizioni sui media. A livello individuale, ha tutto da guadagnare da questa situazione. Ma non sappiamo ancora cosa implicherà questa scissione per la sinistra in generale.

L’altra protagonista principale in questa disputa è la sindaca di Madrid Manuela Carmena. Una figura molto popolare, alle elezioni di quattro anni fa ha guidato un’ampia coalizione che includeva Podemos, Izquierda Unida e varie figure dei movimenti sociali della città. Dove si inserisce in questa situazione e come si può differenziare la sua nuova formazione, Más Madrid, a cui Errejón si è unito, da Podemos?

Ci è voluto tutto il carisma di Carmena per governare il municipio di Madrid con una coalizione così variegata. Parliamo di persone con idee politiche completamente diverse. Sebbene sia stata membro del Partito Comunista [negli anni Settanta] le posizioni politiche di Carmena sono state per lungo tempo molto moderate, più vicine al centro-sinistra del Partito Socialista (Psoe) che a Izquierda Unida. Per gli attivisti di lunga data nella sua coalizione, come Clelia Mayor, o i consiglieri provenienti dall’ala più radicale di Izquierda Unida, è stata un’esperienza molto difficile e non sono riusciti a connettersi con il suo modo di fare politica.

Con il lancio di Más Madrid prima di natale, Carmena ha cercato di far leva sulla propria popolarità per costringere Podemos e Izquierda Unida ad accettare una sua nuova candidatura disegnata da lei per le elezioni di maggio – in modo che avessero scarse alternative ad accettare le sue condizioni.

Carmena è sempre stata vicina ad Errejón e condivide la sua convinzione in una politica trasversale e inclusiva. In questo senso potremmo dire che Más Madrid assomiglia molto alla prima Podemos, cioè un ampio movimento trasversale populista nel senso di Laclau, mentre Podemos per come è ora assomiglia di più a una formazione tradizionale e combattiva di sinistra come Izquierda Unida o il Labour Party nel Regno Unito. Errejón era lo stratega e praticamente l’ideologo di questa Podemos delle origini che cercava di attrarre e sedurre un elettorato ad ampio raggio.

Ma sembra esserci una differenza chiave tra la strategia originale di Errejón per Podemos e Más Madrid. Mentre il primo continua ad articolare un’immagine antagonista della società spagnola divisa tra “la casta” (l’élite) e la gente, Más Madrid sembra più influenzata dall’immagine rassicurante della Carmena, che ha ripetutamente enfatizzato l’idea molto anti-politica del “governare per tutti”.

Si, la strategia populista di Errejón si è chiaramente evoluta, in parte perché l’antagonismo percepito nei confronti dei partiti tradizionali non ha più la forza che aveva cinque anni fa. Ora ha assunto l’idea che Manuela Carmena rappresenti un nuovo modo di fare politica [progressista]. Lei rappresenta una politica più gentile e [a differenza di Iglesias] è una figura che provoca piccole, o inesistenti, reazioni negative nell’elettorato più ampio.

Questo parla a una delle costanti preoccupazioni di Errejón: come ridurre la paura della gente nei confronti di Podemos. Per lui questa deve essere una priorità: dimostrare che quando viene dato un mandato a Podemos, è in grado di governare e di migliorare la vita delle persone senza disordini. Ma la costante è ancora l’aspirazione a essere una forza trasversale che può attrarre voti da tutto l’arco politico.

Viceversa l’idea di Iglesias di populismo di sinistra sembra essere diretta verso una maggioranza sociale più chiaramente definita.   

Be’, ciò che è diventato chiaro, in particolare da quando il Psoe è andato al governo, è che Iglesias si sta focalizzando sulle questioni concrete che definiscono il benessere materiale della classe lavoratrice: battaglie del lavoro, incremento del salario minimo, povertà energetica, controllo degli affitti, ecc.

Queste sono questioni chiaramente importanti per la sinistra. Ma allo stesso tempo sembra che Podemos abbia messo da parte tutte le strategie retoriche e simboliche associate al populismo, che un tempo definivano il partito. Per esempio, in quasi tutte le recenti apparizioni televisive di Iglesias, le sue interviste sono state condotte da luoghi remoti dove stavano avvenendo battaglie sul lavoro con lui che parlava alla videocamera circondato da lavoratori in sciopero. Questo ricorda di più un partito tradizionale di sinistra.

Riguardo ai numeri scarsi nei sondaggi, che vedono il partito sotto di sette punti rispetto al risultato elettorale del 2016, intorno al 14-15%, una delle difficoltà per Unidos Podemos è che il loro immediato destino è legato a quello del governo del primo ministro socialista Pedro Sánchez. Lo hanno appoggiato nove mesi fa nella mozione di sfiducia che ha portato alla caduta della precedente amministrazione (conservatrice) del Partido Popular. Hanno scommesso sulla possibilità di poter spingere a sinistra un governo di minoranza del Psoe. Tuttavia, l’agenda di Sánchez è stata in gran parte bloccata dalla crisi catalana e dalla decisione dei partiti pro-indipendenza di ritirare il proprio supporto alla sua manovra anti-austerity.

Sì, ma gli unici avanzamenti sociali e materiali che questo governo si è assicurato, si sono ottenuti grazie alla pressione messa in atto da Podemos. L’esempio lampante è l’incremento del 22% sul salario minimo [che è stato approvato per decreto a dicembre]. Il Psoe non avrebbe mai promosso un tale incremento da solo. Questo è un risultato reale per Pablo Iglesias e per Unidos Podemos e il partito ora sostiene che appoggerà Sánchez nella battaglia in corso sull’approvazione della manovra solamente se lui accetta di regolare i prezzi degli affitti.

Da questo punto di vista l’alleanza di Podemos con il Psoe sta raggiungendo traguardi che, attraverso altri percorsi, sarebbe stato difficile ottenere e, dopo aver sottoscritto questo accordo di governo, tali avanzamenti materiali sono l’unica cosa che possono presentare agli elettori. In ogni caso, non so se ciò sarà abbastanza per capovolgere i numeri del partito.

Questo in parte avviene perché l’attuale congiuntura in Spagna è dominata dalla questione territoriale. La crisi catalana ha polarizzato il campo politico a danno di Unidos Podemos, che aveva puntato sulla possibilità da parte delle autorità catalane e spagnole di raggiungere un qualche accordo su un referendum riconosciuto in modo condiviso.

Invece, le forze che stanno beneficiando di questa continua impasse sono quelle che in Catalogna stanno spingendo per una chiara rottura con la Spagna, vale a dire l’indipendenza, o quelle che in Spagna esigono una linea dura contro gli indipendentisti. La questione nazionale è da sempre il punto debole della sinistra e per quasi diciotto mesi ha completamente dominato l’agenda politica.

Questo è stato per Unidos Podemos un contesto estremamente difficile in cui operare e quando una situazione è polarizzata fino a questo punto, si può fare ben poco. Finché il conflitto nazionale non si raffredda, sarà molto difficile per loro fare alcun progresso.

Errejón spera di mettere in piedi un’organizzazione nazionale rivale che gli permetta di presentarsi alle elezioni generali?

In questo momento, no. Al momento, è concentrato sulle elezioni regionali di Madrid che si terranno a maggio e punta a lanciare un progetto in questo contesto, quello in cui spera di essere capace di spezzare questa dinamica che ha portato i numeri elettorali di Unidos Podemos ad assomigliare a quelli di Izquierda Unida mentre il Psoe si concentra sulla battaglia dei voti con Ciudadanos [il partito liberal di centro-destra]. Non sappiamo quale scenario è possibile: dipende dai risultati di maggio.

Ma alla fine penso che Podemos dovrà accettare una sorta di accorpamento nella candidatura di Errejón, o un accordo con lui, prima delle elezioni regionali. Se Podemos decidesse di correre da sola e ottenesse un brutto risultato, provocherebbe più danni al proprio progetto che accettando una lista unitaria. Darebbe maggiore legittimazione a Errejón per costruire una campagna nazionale.

Una delle debolezze di Podemos così come di molte delle formazioni municipaliste spagnole è non essere riusciti a sviluppare meccanismi interni e processi democratici per affrontare queste dispute e differenze. Perché pensi sia successo?

Il livello di conflitto interno in Podemos va rintracciato nel fatto che, dopo il primo exploit del partito alle elezioni europee del 2014, Errejón era stato lasciato a costruire la macchina del partito, e a riempirne l’organigramma, mentre Pablo Iglesias era a Bruxelles al Parlamento Europeo. Quando Iglesias è tornato e le loro differenze politiche hanno cominciato a essere evidenti, il segretario ha cominciato a rimuovere le persone più vicine a Errejón dalle posizioni interne più rilevanti, rimpiazzandole con persone a lui fedeli.

Di conseguenza, ci siamo ritrovati con questa lotta di potere che ha allontanato molte persone che avevano sostenuto inizialmente il progetto, anche perché queste battaglie interne hanno dominato la copertura mediatica di Podemos. Conflitti interni di questo tipo esistono anche in altri partiti, ma loro sono più abili a tenerli lontani dai riflettori.

Alla fine, il partito non è stato capace di trovare modi per integrare le diverse fazioni nella stessa formazione; al contrario ogni settore sa che se non fai parte della fazione che vince [elezioni interne e primarie], sarai escluso.

Quanto questa scissione ha colpito la leadership di Pablo Iglesias? Qual è il suo futuro politico?

È complicato. È in paternità e non può impegnarsi in questa battaglia quotidiana né guidare un contrattacco a Errejón. Ora tocca a Irene Montero [sua compagna e numero due di Podemos]. Ma più in generale, la forma di iper-leadership che ha praticato all’interno della formazione comporta che ogni qualvolta c’è una controversia o una crisi associata a Podemos, la sua autorità subisca un colpo. Perciò, la scissione di Errejón porterà più probabilmente a una ulteriore erosione della sua posizione.

In questo momento le mani di Errejón sono libere, e con Iglesias fuori dallo scenario politico fino agli inizi di aprile, apparirà costantemente in televisione, sviluppando ulteriormente il suo profilo e la sua candidatura.

*Antonio Maestre è un giornalista e documentarista spagnolo collaboratore de La Marea, El Diario e del canale Tv La Sexta. Qui l’articolo orginale uscito su Jacobin Mag. La traduzione è di Francesco Santimone.

Condividi