di Roberto Bertoni.

Ci meritiamo tutto. Ogni lacrima, ogni sconfitta, ogni sofferenza, queste ore in cui davvero c'è da interrogarsi se la sinistra possa avere ancora un futuro in questo Paese.
Ci meritiamo Salvini, soprattutto noi giornalisti, in quanto lo abbiamo preso intorno al 4 per cento e traghettato oltre il 17 perché ci faceva comodo, secondo lo schema dell'Italicum, in cui Renzi sarebbe stato Macron e Salvini la Le Pen, l'avversario ideale, invitato e coccolato da tutti i talk show fino a quando le sue idee, che definire discutibili significa usare un eufemismo, non hanno dilagato. E così cade Pisa: nobile città in cui hanno studiato, fra gli altri, Mussi e D'Alema, due presidenti della Repubblica, Gronchi e Ciampi, la città della Normale, del Sant'Anna e dell'eccellenza a misura d'uomo, la città di Pardini e Serantini, dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta e dell'ex ministra dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza. Si diffonde, dunque, l'effetto Cascina, dove governa da anni la prode Susanna Ceccardi: giovane, piuttosto bella ma impressionante per le idee che esprime e per il modo in cui amministra la città. E a breve, a mio giudizio, rischiano di cadere anche Pisa, alle Amministrative di quest'anno, e Firenze, l'anno prossimo, dove Nardella non dorme certo sonni tranquilli, essendo il centrodestra passato dalla linea morbida e collaborazionista di Verdini a quella dura del Carroccio.
Sarà una barbarie, sarà un dramma, sarà quel che vi pare, ma le colpe vanno cercate nell'arroganza di quanti hanno difeso acriticamente la pessima legge Fornero, di quanti hanno rivendicato le scelte devastanti compiute in questi anni, di quanti hanno offeso e umiliato le minoranze interne, di quanti si sono lasciati andare ad un antifascismo di maniera e ad una posizione insostenibile sull'immigrazione, quasi indistinguibile dall'originale della peggior destra, di chi ha svenduto la nostra identità in nome di un consenso facile ed effimero, di chi sapeva e ha taciuto, dei tanti sostenitori del servo encomio che ora dimostrano ancor meno dignità abbandonandosi al codardo oltraggio, di chi ha difeso persino le sparate relative alla difesa della razza e la linea salviniana dell'"aiutiamoli a casa loro".
E i 5 Stelle? Umiliati, offesi e tenuti ai margini per anni, si ritrovano oggi alla guida di importanti città e dell'intero Meridione: non aver saputo né voluto ascoltare questo bizzarro soggetto politico ha fatto sì che esondasse dagli argini, senza che molti si rendano ancora conto che senza di loro tutte le periferie sarebbero nelle mani dei fascisti di CasaPound.
Se lo meritano anche i Liberi e Uguali, mi duole dirlo, perché non basta mettere in piedi una lista raffazzonata a tre mesi dal voto per raccogliere il consenso di chi la scissione dal PD la chiedeva sul Jobs Act o sulla Buona scuola, di chi avrebbe voluto maggiore coraggio, maggiore determinazione, liste migliori, uno strappo netto rispetto ad un passato non proprio edificante, meno cedimenti e meno dichiarazioni ambigue. Inutile e offensivo prendersela con Grasso: non è un animale politico; è un galantuomo cui è stato chiesto un sacrificio e lo ha compiuto con grande passione e impegno, guai a pretendere che si comportasse o si comporti ora in un modo che non gli appartiene.
Se lo merita Berlusconi, che ha devastato l'Italia per vent'anni, l'ha trascinata nel baratro dello spread, l'ha umiliata con i suoi scandali e i suoi processi, l'ha condotta ad un passo dall'abisso e infine nell'inferno della non politica dei tecnici montiani.
Non se lo meritano i deboli, gli ultimi, gli esclusi, coloro che pure hanno votato Lega e 5 Stelle in quanto "forgotten men" che nessuna classe dirigente occidentale sedicente progressista ha avuto il coraggio e l'intelligenza di ascoltare, al punto che in America abbiamo Trump, il Regno Unito è fuori dall'Unione Europea e in Francia i consensi di Macron sono in caduta libera; senza dimenticare la Germania, dove i sondaggi dicono che i socialdemocratici, che in un referendum fra gli iscritti hanno confermato il proprio appoggio alla Merkel, sarebbero oggi sotto il partito xenofobo e quasi nazista di Alternative für Deutschland.
Mi dispiace per quanti ancora credono nel PD ma quel partito ormai non esiste più, figlio com'è del maggioritario, del benessere sociale ed economico e del bipolarismo, ossia di tre condizioni che non hanno nulla a che spartire con la situazione attuale del Paese.
Mi dispiace per i militanti che ci hanno creduto, per gli elettori che lo hanno votato in buona fede e per quanti stanno vivendo oggi il dramma che personalmente ho vissuto quattro anni fa, quando ho deciso di dire addio ad un soggetto politico che vede ora il proprio segretario dimettersi per finta, rivendicare strabilianti risultati mai conseguiti, insultare implicitamente il Capo dello Stato, attaccare il fronte interno di quanti non vogliono ulteriori avventure, sottolineare con gusto che i ministri del governo Gentiloni, che ha candidato appositamente in collegi difficili, non ce l'hanno fatta e confermare di essere disposto ad andare ad un altro congresso fasullo per stravincerlo, dopo aver dato le carte nella partita delle nomine, e trasformare il fu PD in una sorta di En Marche! all'amatriciana, senza essere Macron e senza avere a disposizione il sistema elettorale francese.
Ci meritiamo tutto perché ci sono mancati due elementi senza i quali non esiste alcuna sinistra: l'umiltà e la capacità di guardare il mondo con gli occhi di chi è lontano da noi e non ne può più, affrontando la fatica del vivere fino al punto di voler sfasciare tutto.
Rabbia, rancore, finanche odio: questi elementi hanno dominato l'ultima campagna elettorale e, di conseguenza, il voto di domenica.
Ora non sappiamo cosa ci attenda: se un governo a guida Di Maio, un centrodestra a trazione lepenista o qualcosa di peggio, fra pateracchi, inciuci e maggioranze artificiali che, inevitabilmente, impattano con la realtà del Paese non appena viene consentito agli elettori di esprimersi.
L'aspetto sconcertante è che nessuno nel PD abbia più la forza per opporsi, al netto di qualche dichiarazione roboante e di qualche presa di posizione fuori tempo massimo ad opera di un gruppo dirigente colpevole quanto Renzi di uno sfacelo le cui proporzioni erano evidenti già dopo le Amministrative del 2016, per non parlare del referendum costituzionale, ma che nessuno ha voluto vedere.
Diceva uno straordinario intellettuale del Novecento: "Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio. [...] Occorre armarsi di una pazienza illimitata". Si chiamava Antonio Gramsci: ripartiamo da qui.

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