di Roberto Bertoni.

Cosa si riesce a capire di questa stagione incomprensibile? È difficile a dirsi, in quanto mai come ora si naviga a vista, con partiti che non sono più tali, coalizioni di fatto non previste dalle due leggi elettorali ritagliate dalla Consulta sulle spoglie dei due disastri lasciatici in eredità dai governi Berlusconi e Renzi, una nuova legge elettorale che tutti annunciano di voler varare, dunque probabilmente non vedrà la luce nemmeno dopo le Regionali siciliane, una Legge di Bilancio che si preannuncia senza particolari effetti speciali ma comunque condizionata dalle imminenti elezioni, una ripresina senza lavoro cui governo e maggioranza si aggrappano per dimostrare che, nonostante tutto, la legislatura non è stata fallimentare e alla quale l'opposizione si affida, al contrario, per puntare il dito contro la mancanza di nuova occupazione, in particolare tra i giovani, un'incertezza generalizzata e un dibattito politico che vive sostanzialmente di chiacchiere inutili e continue polemiche su tutto.
È difficile, pertanto, persino raccontarla questa classe politica, così come è quasi impossibile provare a immaginare gli scenari che si schiuderanno nel Paese da qui a sei mesi, quando dovremmo aver votato e, con ogni probabilità, preso atto dell'assenza di una maggioranza parlamentare omogenea in grado di guidare autonomamente il Paese e della conseguente necessità di dar vita a chissà quale pateracchio per non fornire ai partner internazionali l'impressione di una Nazione ingovernabile.
Già, ma chi arriverà primo? Quale sarà il non-partito che avrà l'onore e l'onere di provare a formare un esecutivo? Potrebbero essere i 5 Stelle, anche se l'ennesimo guaio cui sono incappati in Sicilia, con la candidatura del fido Cancelleri messa a rischio dal ricorso del solito dissidente escluso dalla corsa che ha deciso di non accettare la pratica di primarie di facciata con il candidato, di fatto, già designato dall'alto, mina in maniera forse irrimediabile la credibilità di una forza politica che aveva fatto della trasparenza la propria bandiera ma che proprio sotto questo aspetto sta venendo drammaticamente meno.
Potrebbe essere il PD di Renzi, ma la vedo dura, soprattutto dopo l'annunciato tracollo in Trinacria; e comunque, sento di poter affermare con una certa sicurezza che non raggiungerà il fatidico 40 per cento, quindi non sarà lui a ricevere l'incarico di formare un governo, essendo da sempre un personaggio di rottura e non certo un tessitore in grado di far coesistere una coalizione eterogenea.
Potrebbe essere il centrodestra, ma anche quest'ipotesi, pur non essendo da scartare a priori, avrebbe bisogno di alcune coincidenze che difficilmente si verificheranno, a cominciare dalla convivenza fra Berlusconi e il duo Salvini-Meloni: può accadere in Sicilia, anche grazie all'astuzia di quel vecchio volpone di Miccichè e alle peculiari caratteristiche dell'isola, ma dubito che il miracolo possa ripetersi nel resto d'Italia, eccetto forse la Lombardia di Maroni e Salvini, del potente ex ministro ciellino Lupi, del "celeste" Formigoni e di luogotenenti forzisti di peso come Romani e la Gelmini. In Lombardia sì, il miracolo potrebbe accadere e coinvolgere anche gli alfaniani di Alternativa Popolare, i quali altrove sembrano, al contrario, preferire il patto con Renzi e con il PD.
Infine la sinistra, ossia la più delicata fra tutte le realtà che stanno nascendo o comunque riorganizzandosi in questa fase, la quale dovrà riuscire nell'impresa di far convivere l'anima più movimentista e battagliera incarnata da Sinistra Italiana e Possibile e quella più ulivista propria dei bersaniani, con sullo sfondo le frizioni e i malesseri continui che lacerano il Partito Democratico e quel Pisapia che, col suo Campo Progressista, sta condizionando il dibattito di un'intera area politica pur disponendo di consensi oggettivamente esigui e limitati ad alcune aree della Lombardia.
Il tutto sullo sfondo di un Paese che pare davvero all'anno zero, in cui le difficoltà abbondano, il disagio sociale è al culmine, la questione migratoria, al netto delle politiche sceriffesche di Minniti, è tutt'altro che risolta, le prospettive sono tutte da definire, il debito pubblico rimane insostenibile, il Quantitative easing volge al termine, al pari dell'esperienza a Francoforte del suo promotore, e si resta appesi alla saggezza di Mattarella e alla speranza che qualche riserva della Repubblica sia disposta, in primavera, a sobbarcarsi l'ingrato compito di traghettarci verso nuove elezioni: magari non subito ma quasi certamente non alla scadenza canonica della prossima legislatura.
Stiamo correndo a grandi passi, dunque, verso elezioni di transizione, in cui perderanno tutti e perderemo soprattutto noi cittadini, vittime in parte colpevoli della peggior classe dirigente che si ricordi a memoria d'uomo.

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