di Leonardo Caponi.

Quello che è in corso oggi in Italia si sarebbe chiamato, con linguaggio di altri tempi e con una chiave di lettura dalle quali personalmente non riesco a distaccarmi senza perdere ogni orientamento, un conflitto interno alla borghesia che ha trovato in un approdo e accordo populista un punto di prevalenza ed equilibrio (provvisorio?) e che si incarna in una crisi politico istituzionale aperta anche a esiti pericolosi e autoritari (che in altre epoche ha avuto). Da questo conflitto la sinistra è totalmente avulsa e per nulla incidente. Il Pd non può più essere considerato una forza di sinistra e quello che di essa è rimasto è talmente microscopico e screditato da non poter essere considerato né un interlocutore attendibile, né un nemico da temere. La sinistra, semplicemente, in termini sia sociali che politici, non esiste più.

Non tragga in inganno il fatto che sulla scena dello scontro (che oppone gran parte della piccola e media borghesia del commercio e delle professioni ai grandi capitalisti e finanzieri) compaia una cospicua componente popolare (è bene ricordare che il fascismo andò al potere col sostegno di grandi masse e di un popolo intero) o che i termini del conflitto possano spesso presentarsi con caratteri ambigui, contraddittori, esplicitamente di destra, ma anche di (finta) sinistra. Vuol dire che è sul serio finita la distinzione tra destra e sinistra e che quindi bisogna abbandonare le vecchie categorie analitiche per aggiornarle ai nuovi presunti (interminabili e irraggiungibili da alcuni decenni) sconvolgimenti? Vuol dire semplicemente che il pensiero unico dominante ha raggiunto una pervasività e un dominio tale da potersi permettere conflitti interni anche violenti e radicali, purché rimangano nella propria cornice culturale e non ne mettano in discussione le compatibilità di fondo.

Siamo oggi al compimento di una sicuramente abile e intelligente operazione politica che affonda le sue radici ormai molto lontano nel tempo e che ha condotto alla crisi e alla messa fuori gioco della sinistra comunista e delle sue idee e anche della sinistra riformista e di quella movimentista. Questa operazione è passata attraverso varie fasi, dal “sono tutti uguali” che vorrei ricordare era la critica principale rivolta all’ultimo Pci, non già quella di essere comunista e ha avuto come maggiori strumenti il discredito della politica (che per evidenti ragioni ha colpito prima la sinistra che ad essa era maggiormente legata) e la diffusione di una incultura e ignoranza istituzionale di massa che ha costituito la base per un disorientamento generale, la fine dell’epoca delle identità e delle appartenenze, che oggi autorizza posizioni, giudizi, idee superficiali, qualunquistiche, bizzarre che hanno consentito (perché questo era in realtà l’obiettivo che si voleva conseguire) di scaricare su miti o problemi falsi o marginali quelli veri e il disagio e la protesta sociale.

Su questo sbocco per la sinistra catastrofico hanno pesato certo ragioni oggettive (le trasformazioni sociali, dei modelli produttivi, la finanziarizzazione ecc.) ma, più ancora io credo, le responsabilità soggettive. La parte maggioritaria del gruppo dirigente dell’ultimo Pci si è assunta una responsabilità storica imperdonabile abdicando e abbandonando, col Pds prima, coi Ds poi, i valori e i principi della sinistra e assumendo, fino a diventarne protagonisti, la cultura liberistae presidenzialista facendo, cadere l’argine principale che ad essa avrebbe potuto opporsi e producendo, come ultimo stadio il Pd e il “mostro” Renzi.

Anche la componente minoritaria che si oppose allo scioglimento del Pci e gli altri gruppi e compagni che dettero vita alla esperienza di Rifondazione comunista e di successive formazioni che hanno continuato a insistere su una opposizione di sistema, sono uscite sconfitte. I motivi sono molti, non sono mai stati in realtà analizzati e, anche essi, hanno origini oggettive (si pensi alle leggi elettorali maggioritarie) e soggettive, la rissosità tra diverse culture, l’impossibilità e la scarsa volontà di farle convivere insieme, un eccesso di governismo da una parte e una progressiva deriva movimentista dall’altro, lo scadimento del costume per alcune sue componenti.

Il punto che abbiamo di fronte oggi è come ricostruire la sinistra. L’opposizione a questo governo dovrebbe, a mio giudizio, riguardare l’introduzione in essa, anche per distinguerla dalle altre, finte o vere che siano, di (uso un'altra espressione desueta) un punto di vista di classe.

Ma il problema principale(al primo collegato e poiché penso che la sinistra debba liberarsi dall’elettoralismo e dall’incubo della rincorsa alle elezioni che sono stati anche essi una delle cause della sconfitta) riguarda l’impianto culturale e l’identità che dovrebbe caratterizzare questa nuova formazione.

Non sono d’accordo con la tesi, che mi pare sia prevalsa, della “sinistra novecentesca da buttare”. Cioè non credo che le categorie teoriche, analitiche e di azione del movimento operaio nel secolo scorso siano un ferrovecchio inservibile, per affrontare le presunte novità della situazione. Questa tesi mi evoca un occhettismo con trentanni di ritardo. L’unico comunismo che ha vinto è stato quello di matrice terzinternazionalista e leninista. Tutto il resto sono chiacchere. In questi anni si sono sviluppati, con fasi di esplosione anche clamorose, movimenti prevalentemente giovanili e studenteschi, pure generosi e importanti (il pacifismo, l’ambientalismo ecc.) che, non ancorate ad una visione di classe, si sono disciolti come neve al sole.

Esiste ancora la contraddizione capitale lavoro? Io penso di si e penso che una nuova sinistra debba ripartire da lì, criticando e mettendo in discussione le basi strutturali del sistema capitalistico, senza la pretesa di elaborare una nuova pretesa teoria del progressismo di sinistra la quale, a mio giudizio, non esiste se non in forma attinente alla filosofia idealista, che cancella il materialismo storico, risolvendosi (penso ai documenti di LeU o ai sogni mutualistici di Potere al popolo) che si risolvono in una sequenza di buone parole e di ottimi propositi di carattere generico e generale che tutti possono alfine condividere.

Detto questo penso, penso per la sinistra ad un largo contenitore che possa contenere culture diverse al quale forse, sarebbe utile non dare nemmeno il carattere di un partito rigidamente strutturato, ma quello di movimento aperto e inclusivo sorto da una Costituente che superi le divisioni attuali. In questo contenitore penso, personalmente, che possa continuare a vivere una appartenenza di classe e comunista.

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