Il clima sta cambiando, la terra si sta surriscaldando. Le temperature aumentano, le riserve idriche calano.

L’acqua è ormai diventata una pura questione di business, nonostante il verdetto del referendum del 2011 che ha considerato questa essenziale risorsa per l’uomo e per tutta la vita terrestre un bene pubblico.

Si privatizzano le sue fonti e la si commercia. L’imbottigliamento sta provocando, in maniera sempre più accentuata, la siccità che oggi tutti subiamo.  Prima di fermare l’uso potabile e rischiare di bloccare la filiera agroalimentare – si pensi che una mucca beve 100 litri di acqua al giorno – forse sarà il caso di affrontare il problema dell’imbottigliamento e il controllo sulle concessioni, che spetta alle Regioni: non può succedere che le persone restino senza acqua potabile ma che le concessioni arricchiscano le aziende private. In Umbria dalle sorgenti si estraggono 400 milioni di litri l’anno e il fatturato per il privato è di 53 milioni di euro ma la Regione incassa solo 400mila euro l’anno.

Inoltre si acquistiamo quote di immissione di anidride carbonica da quei Paesi in via di sviluppo ai quali è permesso immettere nell’aria una quantità maggiore dell’8% di CO2. A Chicago esiste una borsa dove vengono cartolarizzate le quote in titoli finanziari, che poi si immettono nel mercato per la compravendita, generando derivati

Si creano bacini interrompendo corsi fluviali, non per governare la natura e migliorare e rendere più sicuro l’assetto idrologico, ma per imporre un sistema che crea ricchezza e benefici solo ad una piccola élite, distruggendo interi ecosistemi.

Ad aggravare la situazione ci si mette anche la situazione in cui versano le nostre strutture ed infrastrutture. La perdita degli impianti è notevole, ed in un momento così drammatico diventa una situazione Kafkiana.

I corsi dei fiumi sono diventati tetri fantasmi, basta vedere il nostro Tevere, dove lo scorrimento delle acque è garantito solo dal rilascio dell’acqua dalla diga del Montedoglio in una quantità pari a 1,6 mc al secondo, mentre per quelli minori lo scorrimento è assente o scarsissimo.

La Coldiretti parla di danni pari a 60 milioni per la nostra regione. In particolare una diminuzione delle rese del 30/40% per la produzione di grano e orzo, mentre per i foraggi si arriva al 50% di produzione i meno.

L’indagine condotta dall’Ispra fornisce un panorama da brivido. Sotto accusa sono gli erbicidi, i fungicidi e insetticidi che rendono le acque superficiali dell’Umbria contaminate da pesticidi nel 95% dei punti controllati. Una media che supera quella nazionale che si ferma al 63,9%.

La siccità non può essere e non deve essere sottovaluta. Rappresenta per la nostra regione una calamità che colpisce nel profondo il nostro territorio e ne mina dalle fondamenta la sua stabilità sociale ed economica.

Il rispetto dell’ambiente, di un bene prezioso com’è l’acqua deve essere la priorità assoluta.

Senza acqua non c’è vita.

Attilio Gambacorta
Associazione Culturale Umbrialeft

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