di Maria Pellegrini

In questi tempi avari di amicizia e di solidarietà, sia sul piano privato che pubblico, è utile rivisitare un testo di Cicerone, uno dei sui ultimi frutti dell’attività letteraria, “L’amicizia”, titolo latino “Laelius, de amicitia”.

Cicerone non fu sempre maestro di vita, con tutte le sue contraddizioni, la sua vanità, il suo opportunismo, i suoi “cambiamenti di fronte”, ad esempio, il suo passaggio dall’iniziale schieramento democratico alla causa aristocratica, fino a mandare a morte nell’anno del suo consolato, ma contro la costituzione romana, i catilinari Lentulo e Cetego, e infine a seguire con simpatia, sia pure non apertamente dichiarata, le trame dei congiurati che avrebbero soppresso Cesare nelle Idi di marzo del 44 a. C. Ma fu senza dubbio un grande dell’oratoria e della letteratura latina. Nella sua vastissima produzione, la lettura di un suo piccolo trattato dialogico “L’amicizia” è quella che forse potrebbe più giovare alla diffusione del suo civile messaggio indirizzato a un vasto pubblico, rendendolo più sensibile a un grande sentimento di ogni tempo: l’amicizia, un valore riconosciuto dai poeti e letterati di ogni età, esaminato da Cicerone con profonda sensibilità e umanità.

Nell’estate del 44 a. C. dopo l’uccisione di Cesare, pugnalato a morte nella Curia di fronte al Senato riunito, Cicerone ormai più che sessantenne, emarginato dalla vita politica dove covavano odi, paure, delusioni che sfoceranno drammaticamente nella guerra civile, scrive “L’amicizia”, sotto forma di un dialogo avvenuto nel passato tra personaggi del cosiddetto “circolo degli Scipioni”, un gruppo di intellettuali e scrittori, aperti alla cultura ellenica, che gravitavano intorno a questa grande famiglia aristocratica

Il nobile sentimento dell’amicizia è oggetto di discussione fra Caio Lelio e i suoi due generi, Mucio Scevola e Caio Fannio andati a far visita nel 129 a.C. al suocero, che ha perso da poco l’inseparabile amico Scipione l’Emiliano (sotto il cui comando ha combattuto nella terza guerra punica - terminata con la distruzione di Cartagine, nel 146 - e la guerra numantina - che vede la distruzione di Numanzia nel 133).

Il dialogo è avvenuto in anni ormai lontani, nell’88, Cicerone ha solo sedici anni, ma ne è venuto a conoscenza da Scevola che in occasione della notizia di un’improvvisa inimicizia fra due famosi uomini politici ha tenuto un discorso, riportando quanto suo suocero, Lelio, in quell’occasione aveva detto sull’amicizia. Naturalmente il pensiero riportato è quello di Lelio, ma le parole sono scritte dal grande oratore che ha interpretato con grande passione e condivisione quel pensiero.

Nel 44, mentre si sono scatenate ben più gravi inimicizie, Cicerone ritiene utile far conoscere a tutti quella conversazione tra uomini dotti. Attico, suo carissimo amico, spesso gli ha chiesto di scrivere sull’amicizia e lui lo accontenta e gli dedica l’opera con queste parole “ad amicum amicissimus”. “Io amicissimo (ho scritto) per un amico”.

Cicerone fa parlare direttamente i tre protagonisti, personaggi storici illustri, che sono ancora nella memoria di tutti, ma è Lelio che espone il suo concetto di “amicizia”, considerato il più forte e più profondo dei affetti umani:

“Non so se dagli dei sia stata data agli uomini, eccettuata la sapienza, cosa migliore. Alcuni antepongono la ricchezza, altri la buona salute, altri la potenza, altri gli onori, molti anche i piaceri … Ci sono poi quelli che pongono il bene supremo nella virtù, fanno bene, ma è questa stessa virtù che genera e mantiene l’amicizia, né può esservi amicizia senza virtù.”

La vera amicizia - dice Cicerone per bocca di Lelio - non può esistere che tra uomini onesti perché essa è fondata sulla virtù. L’uomo virtuoso è un uomo giusto, generoso, leale, retto, lontano da ogni sregolatezza. Più possiede queste qualità, più è capace di amicizia. Essa nasce quando una persona onesta ne incontra un’altra le cui attitudini si accordano con le sue e si sviluppa naturalmente tra persone virtuose, perciò sono rare le vere amicizie che non hanno come scopo l’utilità, nascendo da un impulso naturale: chi aspira alla rettitudine si avvicina sempre più a coloro nei quali tale rettitudine sia evidente per poter godere reciprocamente dell’amicizia e della familiarità ed essere inclini ad aiutare e a domandare aiuto quasi in una nobile gara.

“La vera e perfetta amicizia offre grandissimi vantaggi. Quale cosa è più dolce che avere qualcuno con cui tu possa dire tutto come con te stesso?...Se l’amicizia nascerà dalla natura piuttosto che dalla debolezza umana, questo sentimento sarà più nobile e autentico e da ciò si avranno maggior vantaggi. Se infatti fosse l’utilità ad annodare le amicizie, la sua cessazione le scioglierebbe; invece, le amicizie nate dalla natura durano eterne poiché essa non si può mutare”.

L’amicizia comporta anche dei doveri, soprattutto quello della reciproca lealtà, e fedeltà. L’adulazione e il servilismo distruggono ogni amicizia. La finzione rovina questo sentimento:

“Come sarà possibile fare di due anime una sola, se una di queste non sa neppure andare d’accordo con se stessa, ma è volubile e molteplice?”

Non possiamo inoltre pretendere dagli amici quello che non sappiamo dare noi; se siamo buoni noi, potremo pretenderlo dagli altri, allora l’amicizia raggiungerà il suo fine, cioè diventare un mezzo per essere migliori. Lelio ricorda i discorsi di Scipione: nulla è più difficile d’una amicizia che duri fino all’ultimo giorno della vita poiché spesso accade che gli interessi dei due amici non coincidano e che in politica non abbiano entrambi la medesima opinione; diceva, inoltre, che spesso anche il carattere degli uomini muta, a volte per le avversità, a volte con il passare degli anni e dell’età può interrompersi per qualche contrasto, quando ci si trovi in competizione per una carica onorifica: non c’è infatti calamità maggiore per l’amicizia che la lotta per le cariche pubbliche, da ciò, infatti, sono nate grandissime inimicizie fra uomini che erano molto amici. I gravi dissidi nascono quando si pretende dagli amici qualcosa che non è onesto: chiedere cioè a loro di essere nostri complici nella soddisfazione di un capriccio o nel recare offesa a qualcuno; e quelli che si rifiutano di accondiscendere a queste richieste, sebbene facciano ciò per onestà, sono accusati di violare i diritti dell’amicizia da coloro cui non vogliono essere compiacenti. Queste sono, per così dire, le fatalità che minacciano le amicizie in così gran numero che saperle evitare tutte a Scipione sembrava un privilegio non solo della sapienza ma anche della fortuna.

“Questa dunque sia la prima legge dell’amicizia: chiediamo agli amici solo cose oneste e compiamo su richiesta degli amici soltanto cose oneste, anzi non permettiamo neppure d’esserne richiesti; siamo sempre solleciti, mai esitanti, abbiamo il coraggio di dare consigli con franchezza; nell’amicizia abbia molto peso l’autorità di quegli amici che danno buoni consigli e, se il caso lo richiederà, si usi questa autorità per ammonire non solo apertamente, ma anche energicamente, e si obbedisca all’autorità di questi amici”.

Cicerone si pone il problema della degenerazione dell’amicizia a scopi solamente utilitaristici perché aveva sotto i suoi occhi e viveva quotidianamente tali forme di amicizia, ed era preoccupato vedendo come in un momento di sconvolgimento politico e di lotte per il potere fosse facile sfruttare per fini politici questi legami miranti soprattutto all’utile personale. Il suo intento è promuovere un rinnovamento etico della società romana. Sceglie di parlare di amicizia narrando la nobile relazione tra Lelio e Scipione Emiliano, completa e perfetta, mai uno screzio, ma un medesimo volere in tutto, specialmente nella passione per lo studio. Anche Cicerone nella sua vita aveva sperimentato il ruolo e l’importanza dell’amicizia soprattutto grazie al fedele e affezionato Attico con il quale ebbe una continua relazione epistolare durante tutta la sua vita. A lui che gli fu amico anche nei momenti bui non poteva fare a meno di dedicare quest’opera.

Immagine: busto di Cicerone presso Musei Capitolini.

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