di Roberto Bertoni.

Non potevano trovare un modo peggiore il leghista Maroni e la sedicente opposizione del PD per rendere omaggio ad Antonio Greppi, primo sindaco socialista di Milano dopo la Liberazione, di cui ricorre il trentesimo anniversario della scomparsa.
Non potevano scegliere una data più infausta, al pari dei colleghi veneti, di maggioranza e di sedicente opposizione, per celebrare un referendum che non ha nulla a che spartire con la tragicità della consultazione catalana, in quanto, nonostante il primo articolo dello Statuto leghista, non prevede la proclamazione di alcuna indipendenza bensì la mera richiesta di tenersi gli "sghei" sul territorio, così da potersi rafforzare in vista delle imminenti Regionali e da consolidare un impero di centrodestra che appare inscalfibile. Sul perché molti esponenti del PD, a cominciare dal probabile candidato in Lombardia, nonché attuale sindaco di Bergamo, Gori, appoggino questa scelta, è presto detto: perché non è solo la Sicilia ad essere un laboratorio politico nazionale ma anche, più che mai, la regione più ricca e produttiva d'Italia, la quale ha lanciato il fascismo, l'antifascismo, la Strategia della tensione con la strage di piazza Fontana, la DC inclusiva del buon borghese Bassetti, la svolta a sinistra del Corriere della Sera, il socialismo craxiano, Tangentopoli, il berlusconismo e molti altri fenomeni politici, culturali, sociali ed economici.
Una regione che ora si prepara a lanciare la nuova grande intesa, l'unica probabilmente in grado di governare nel corso della prossima legislatura, ossia quella composta da PD, Forza Italia e una Lega più a trazione Maroni che a trazione Salvini, anche se non è da escludere che, pur di mantenere potere e prestigio, l'uomo in felpa si allinei  alle nuove tendenze di una politica ormai del tutto priva di valori, ideali, ideologie e aliena da qualsivoglia forma di coerenza.
Non a caso, basta sentir parlare Gori e altri illustri esponenti del PD lombardo per domandarsi in cosa differiscano da Maroni: dal referendum alle questioni fiscali, con la piccola ma lodevole eccezione, speriamo non solo di facciata, dei diritti civili e dello Ius soli; una riforma indispensabile che, tuttavia, se necessario per stringere un accordo di governo, verrebbe sacrificata in quattro e quattr'otto sull'altare della "responsabilità" e del "bene nel Paese", ossia dell'argine da porre all'avanzata dei 5 Stelle.
Non staremo qui a riflettere sul fatto che, dopo un pateracchio del genere, se oggi si parla di "pasokizzazione", in futuro sui manuali di politologia italiani e non solo, per indicare la dipartita di un partito un tempo progressista, si parlerà di "pidinizzazione"; non staremo qui a riflettere sulla necessità di ricostruire subito una sinistra degna di questo nome; e non staremo nemmeno qui a mettere in discussione i disastri del renzismo, in quanto ormai siamo veterani della materia e sappiamo bene che al diretto interessato importa poco o nulla dell'opinione di chiunque non gli dia sempre ragione.
Riflettiamo, piuttosto, sul fatto che mentre la politica blatera e cincischia indegnamente sul nulla, parlando unicamente di se stessa con il massimo possibile di arroganza e autoreferenzialità, decine di migliaia di giovani, la scorsa settimana, sono scesi in piazza in tutta Italia per protestare contro la peggiore delle tante pessime riforme varate dal governo Renzi, ossia l'alternanza scuola-lavoro all'interno della Buona scuola.
Intendiamoci: l'alternanza scuola-lavoro, se ben fatta, tutelata e realizzata insieme e non contro gli studenti, potrebbe essere un'ottima cosa, una possibilità di connettere il mondo della scuola e quello del lavoro e di rendere meno nozionistica la prima e meno chiuso e scioccante il secondo. Se realizzata bene, però: se realizzata secondo le modalità del duo Renzi-Giannini, con i ragazzi spediti a pulire bagni, friggere patatine e svolgere altre mansioni che sono l'emblema dello sfruttamento e del sottoutilizzo delle risorse umane cui sono sottoposte le nuove generazioni, siamo invece al cospetto di una forma insostenibile di barbarie.
L'alternanza così intesa altro non è che il simbolo di una certa concezione della società e del lavoro: una società piramidale, un lavoro senza diritti, senza dignità e senza alcuna prospettiva, in cui l'uomo è esso stesso un robot, chiamato unicamente ad obbedire, senza la benché minima possibilità di ribellarsi, di far valere le proprie idee e di chiedere il rispetto cui dovrebbe avere diritto ogni essere umano.
Una generazione sta, dunque, manifestando, da anni, per chiedere un altro domani, un'altra visione sociale, un altro mondo, senza gli eccessi dei sessantottini, senza la violenza tipica del '77 ma con la consapevolezza di chi non accetta di ricevere solo un tozzo di pane sporco ma vorrebbe pure non dico le rose ma, quanto meno, un po' di civiltà nei rapporti.
Una generazione che non accetta la subalternità esistenziale cui vorrebbero costringerla, che per questo condanna con rabbia il PD e i suoi vertici a sconfitte tremende e che, sempre per questo, ha compiuto un divorzio temiamo epocale dalla sinistra, cui solo la rinascita di una sinistra autentica, e non fasulla come i tardi epigoni del blairismo, potrebbe porre un argine.
E no, non si tratta neanche di citare Berlinguer: si tratta di prepararsi ad anni di opposizione durissima, sia a livello locale che nazionale, ad una futura maggioranza che mescolerà il razzismo leghista, il turbo-liberismo berlusconiano e l'indefinitezza del PD renziano, ossia il peggio del peggio.
Una maggioranza che, di fatto, esiste già adesso, basti pensare all'approvazione con mille forzature del Rosatellum, e che pensa di poter risolvere ogni problema a sganassoni: dalla questione migranti al rapporto con i giovani. Falliranno miseramente ma noi dovremo farci trovare pronti quando sarà il momento.

 

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